Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ieri il quotidiano La Repubblica se ne è uscito con un super-scoop: Pier Luigi Bersani starebbe pensando di andar lui al Quirinale e Silvio Berlusconi starebbe considerando la cosa come possibile. La giornata politica se n’è così volata sulle elucubrazioni intorno a questa ipotesi sorprendente, ma poi in serata il sito del quotidiano romano titolava «Il Pd: “Bersani non è candidato al Colle”», prendendo atto della parziale retromarcia dei democratici. Comunque sia, la cosa non è del tutto insensata...
• Il completamento – molto elegante – dell’operazione sarebbe che Bersani, una volta eletto presidente, incaricasse Napolitano di formare un governo istituzionale. Chi più istituzionale di Napolitano? Napolitano assumerebbe come programma la trentina di cartelle programmatiche preparate dai dieci saggi da lui stesso insediati, in gran parte condivise dai due schieramenti e che dovremmo conoscere oggi.
Oppure, Bersani al Quirinale potrebbe rendere possibile, a ricompensa del voto favorevole del Pdl (indispensabile per passare al primo colpo), il governo di larghe intese che vuole Berlusconi. A guidare questo governo sarebbe l’attuale presidente del Senato Pietro Grasso, un magistrato che il Cav considera morbido e che infatti Travaglio, Ingroia e gli altri cosiddetti giustizialisti avversano con tutte le loro forze. La presidenza del Senato, tornata libera, andrebbe a Gaetano Quagliariello, uomo del Cavaliere e saggio di Napolitano. Insomma, tutto torna.
• Come mai questa notizia ce l’aveva solo “Repubblica”?
Non è perché sono più bravi. È perché la fonte che ha messo in circolazione questa informazione voleva che venisse accreditata da un giornale parecchio bersaniano. Molto probabilmente la fonte è nemica del progetto, e infatti il vicedirettore Massimo Giannini, nel suo videoeditoriale di ieri sul sito del quotidiano, ha giudicato assai grave da parte di Bersani l’eventuale scambio della poltrona più alta disponibile con il governo che vuole Berlusconi. La Bindi ha dato un’intervista di fuoco a La Stampa: «Quando leggo che dovremmo fare un governo che vive grazie al fatto che un po’ di senatori del Pdl escono dall’aula e che magari poi arriva qualche voto grillino, mi viene da dire che stiamo dando a Berlusconi le chiavi del nostro cosiddetto “governo del cambiamento”». E aggiunge: «Nessun baratto sull’elezione del presidente della Repubblica, ma questo deve valere anche per noi: nessuno scambio improprio, nemmeno per ottenere il “si parta” per il cosiddetto governo di minoranza». Bersani peraltro, come detto, smentisce tutto: «Gli unici colli che mi interessano sono quelli piacentini». E però: nell’incontro di martedì scorso, a un certo punto Berlusconi e Bersani hanno fatto uscire dalla stanza Franceschini e Alfano e sono rimasti soli a parlare per un quarto d’ora. Che cosa si saranno detti di tanto delicato da dover essere tenuto nascosto anche ai loro numeri due?
• Capisco. Ma i renziani voterebbero per Bersani al Quirinale?
Perché no? Tolto di mezzo il segretario, che così tenacemente ha perseguito la sua idea di “governo del cambiamento”, chi potrebbe negare a Renzi la leadership del Partito democratico? È troppo presto per mettere in campo Fabrizio Barca, che gode di grande considerazione un po’ ovunque (è un formidabile conoscitore della macchina dello Stato, competenza indispensabile oggi per ottenere qualcosa), e dunque l’ascesa di Renzi sarebbe, più che facilitata, inevitabile. Bersani troverebbe una via di fuga fenomenale al calvario che lo aspetta dopo la salita al Colle di un nuovo inquilino che non fosse lui. Parliamoci chiaro, con un mister X diverso da Bersani al Quirinale, Berlusconi non permetterà al segretario la nascita del governo di cambiamento. E fallendo il governo del cambiamento, nel Pd comincerà il grande processo al suo leader che non è stato capace di vincere quella che sembrava la più facile delle campagne elettorali.
• Scissioni?
Tutti dicono di no. Ieri sia Bersani che D’Alema hanno sostenuto che non c’è pericolo di scissioni. Però per il solo fatto che lo dicano, risulta evidente che un rischio scissione c’è. Rischio di scissione a sinistra, sia chiaro, nel senso che una parte del Pd non ammette di essere guidata da un moderato come il sindaco di Firenze. Hanno già calcolato che una formazione di sinistra comprendente i bersaniani, i vendoliani e quelli di Ingroia varrebbe il 15%.
• Grillo?
Grida all’inciucio, e mi sembra fuori gioco. Mentre scriviamo è in corso una consultazione in rete sul candidato preferito dai grillini. È una faccenda in due turni: i dieci più votati correranno una finale lunedì prossimo. Software e organizzazione della consultazione a cura della Casaleggio Associati.
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