Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La spaccatura nel Pd è sempre più visibile, e avrà ripercussioni sull’elezione del presidente della Repubblica. Allo stato, l’idea di Bersani di eleggere il successore di Napolitano al primo turno, quando ci vorranno i due terzi dei voti, appare infatti sempre più remota.
• Che è successo?
Renzi se l’è presa — molto civilmente — per il fatto che la Regione Toscana non lo ha incluso nel terzetto destinato a partecipare alle elezioni presidenziali della prossima settimana. Ecco la sua dichiarazione: «Qualcuno mi aveva detto vai avanti tranquillo, ti votiamo, ma poi è arrivata qualche telefonata da Roma per fare il contrario... Sono cose che succedono, non era un diritto né me lo aveva prescritto il medico, ma non mi abituerò mai alla doppiezza».
• Come mai Renzi pretendeva di venire a Roma? Di solito partecipano alle elezioni presidenziali, sul lato dei rappresentanti regionali, il governatore, il presidente del consiglio e un membro dell’opposizione.
È giusto, ma allora perché spingere il sindaco di Firenze a farsi avanti garantendogli che non ci sarebbero stati problemi? La discussione al gruppo l’altro giorno è durata ore ed è stata molto accesa. I bersaniani hanno pensato che spedire Renzi a Roma avrebbe significato dargli un riflettore e, come sappiamo, in questo momento è in corso una lotta furibonda dentro il Pd per la conquista del partito. Bersani non molla e gli altri incalzano. Bersani, su questa faccenda, ha detto: «Nella sequela di quotidiane molestie mi vedo oggi attribuiti non so quali giochini tesi ad impedire la nomina di Renzi a grande elettore per la Toscana. Smentisco dunque di aver deciso o anche solo suggerito, o anche solo pensato alcunché, a proposito di una scelta che riguarda unicamente il consiglio regionale della Toscana». Qualcuno aveva parlato di una telefonata di Franceschini, e Franceschini ha smentito dichiarando che vedere Renzi a Roma gli avrebbe fatto piacere. Il governatore Enrico Rossi ha difeso la sua Regione e il suo partito dichiarando che «non è più il tempo delle telefonate da Roma». Renzi però aveva messo nella sua spiegazione del caso una certa malizia, sottolineando che al posto suo verrà a Roma Alberto Monaci, «autorevole personaggio della politica e del mondo bancario senese». Col caso Mps in piedi, non proprio una carezza.
• Questa baruffa è tanto più fastidiosa in una giornata in cui avremmo potuto dare qualche buona notizia…
Allude alla Borsa, eh? Una giornata davvero fuori del comune. A 24 ore dalle dichiarazioni funeree del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, Piazza Affari s’è permessa di salire del 3,19%, il ministero ha venduto a raffica i suoi titoli spuntando anche tassi d’interesse molto bassi, lo spread a un certo punto è sceso sotto quota 300. Quindi, mentre noi ci strappiamo le vesti, la politica è paralizzata, a febbraio la produzione industriale è andata giù, la Ue ci avverte che potremmo contagiare con i nostri problemi il resto del mondo, questo resto del mondo ci guarda stranamente con un mezzo sorriso, compra i nostri titoli di Stato e pure le nostre azioni.
• Come mai?
Premesso che tutte le analisi fatte sul tamburo rischiano altamente di essere fuori strada, beneficeremmo del fatto che la Federal Reserve e la Banca centrale del Giappone stanno stampando a tutto spiano cartamoneta. Con due effetti: ci sono soldi in giro e, in attesa di finire nel mercato del lavoro, cioè nell’economia reale, spingono in su le Borse. Seconda conseguenza: stampando banconote le due banche centrali indeboliscono dollaro e yen e, di conseguenza, rafforzano l’euro, che a questo punto risulta una valuta su cui investire. Noi, almeno per ora, stiamo nell’euro…
• Lei ci ha detto tante volte che un euro troppo forte colpisce le esportazioni. Non stiamo andando bene con le esportazioni?
È l’unico settore che tira. L’altro giorno a Vinitaly, per esempio, ci hanno spiegato che l’Italia è di nuovo il primo esportatore al mondo di vino. E in generale le nostre piccole imprese che stanno sui mercati mondiali stanno reggendo in questo momento l’economia. Quella che è debole è la domanda interna, come ci hanno spiegato sempre a Vinitaly: gli italiani bevono meno vino, sia per ragioni economiche che per questioni legate allo stile di vita (leggi: dieta). Ma rifletta sul fatto che la crisi ha colpito, per esempio, ristoranti e turismo e le difficoltà di questi settori si riflettono inevitabilmente sul consumo di cibi e bevande. Più della metà delle nostre imprese appartengono al settore cosiddetto terziario, quello dei servizi. E per queste imprese quello che conta è soprattutto la domanda interna. Bisognerebbe trovare il modo di mettere soldi nelle tasche degli italiani, magari adottando il metodo di cui si discute tanto in questo momento in Inghilterra, quello di far volare un elicottero sulle città e lasciargli sganciare, a mo’ di benefico bombardamento, sacchi di banconote sui cittadini.
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