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 2013  aprile 11 Giovedì calendario

LUSSEMBURGO, ADDIO AL SEGRETO BANCARIO

BRUXELLES. Dal nostro corrispondente
Il Lussemburgo ha annunciato ieri che dal 2015 accetterà finalmente di condividere informazioni bancarie con i propri vicini, inaugurando probabilmente una nuova era nella lotta all’evasione fiscale in Europa. La scelta giunge dopo anni di pressioni da parte dei partner europei (e degli Stati Uniti). La crisi a Cipro, gli scandali in Francia, e soprattutto il forte aumento del debito pubblico in molti paesi europei stanno provocando un ripensamento del segreto bancario.
«Possiamo senza pericolo adottare dal 2015 lo scambio automatico di informazioni», ha detto in Parlamento il premier lussemburghese Jean-Claude Juncker. In un comunicato, il governo del Granducato ha precisato che lo scambio di dati riguarderà «l’ammontare degli interessi delle persone fisiche residenti in un altro paese dell’Unione europea, in modo che questi beneficiari siano tassati secondo la legislazione del loro paese di residenza, salvaguardando i dati che non hanno incidenza fiscale».
La direttiva risparmio prevede attualmente lo scambio automatico di informazioni sugi interessi maturati. Il Lussemburgo e l’Austria hanno potuto finora derogarvi con una ritenuta fissa alla fonte del 35 per cento. Ieri Juncker ha annunciato di essere pronto a rinunciare a questa deroga dal 2015 in poi, quando peraltro entrerà in vigore lo scambio automatico di informazioni su cinque categorie di redditi: lavoro, pensioni, assicurazioni-vita, redditi immobiliari e gettoni di presenza.
Il premier lussemburghese ha attribuito la scelta di cedere su questo aspetto soprattutto alla posizione degli Stati Uniti, che hanno imposto a molti Paesi lo scambio di dati bancari. «Gli americani vogliono lavorare solamente con chi accetta lo scambio automatico di informazioni - ha spiegato Juncker -. La nostra piazza finanziaria non si può ritirare dal mercato americano (...) Non possiamo rifiutare agli europei ciò che accettiamo con gli americani».
Le pressioni internazionali stanno pesando nel cambio di posizione del Lussemburgo, che per anni ha difeso il segreto bancario e rifiutato nuove norme sulla tassazione del risparmio. Oberati dai debiti (come l’Italia) o segnati da scandali fiscali (come la Francia), i vicini europei stanno rafforzando la lotta all’evasione fiscale. Due giorni fa i governi di Germania, Francia, Italia, Spagna e Regno Unito hanno annunciato di voler lavorare su «una piattaforma multilaterale di scambio di informazioni».
Dietro alla decisione del Granducato c’è anche la paura di isolarsi politicamente in Europa dopo che la crisi cipriota ha messo in luce i rischi di Paesi come il Lussemburgo che hanno sistemi bancari molto, se non troppo sviluppati. La Commissione ha accolto positivamente l’annuncio di Juncker facendo notare che ormai «l’unico Paese a non avere dato il benestare allo scambio automatico di informazioni è l’Austria». Nei giorni scorsi, Vienna si è detta però pronta a discutere.
Da Berlino, la Germania ha espresso «grande rispetto» per la scelta del Lussemburgo. L’evasione fiscale non è più solo una partita europea, ma mondiale, quindi ancora tutta da vincere. La recente pubblicazione di dati bancari su cittadini europeo con conti all’estero ha dimostrato che molti non trasferiscono più i propri risparmi in Lussemburgo o in Svizzera, ma in paradisi fiscali off-shore. Della questione si discuterà domani e dopodomani in un incontro informale dei ministri finanziari dei 27 a Dublino.

Beda Romano

LA STORICA CAPITOLAZIONE DI MONSIEUR JUNCKER –
Fa un certo effetto vedere Jean-Claude Juncker, dopo anni di strenue battaglie, ammainare lo stendardo del segreto bancario. Soprattutto per chi ricorda il premier di lungo corso del Lussemburgo, livido in volto, al vertice europeo di Feira del 2000, lamentarsi perché, invece di concentarsi sull’armonizzazione fiscale, i leader europei avevano puntato sull’obiettivo «meno ambizioso» dello scambio di informazioni per lottare contro l’evasione. O se si ricordano le sue agguerrite schermaglie in tante riunioni dell’Ecofin e dell’Eurogruppo (da lui presieduto dal 2005 all’inizio di quest’anno) al fine di strappare per Lussemburgo, con Belgio e Austria, una trattenuta alla fonte sui redditi dei risparmiatori non residenti, in alternativa allo scambio di informazioni che entrò in vigore nel resto dell’Ue il 1° luglio 2005. E poi di vincolarne l’applicazione all’esito di difficili negoziati con Svizzera, Lichtenstein e altri paradisi extra-Ue.
Per oltre un decennio l’"europeista" Juncker ha difeso con pervicacia un interesse nazionale: la proverbiale discrezione che ha facilitato il boom di un settore bancario e finanziario nazionale di dimensioni equivalenti a 20 volte il Pil di un Paese di 500mila abitanti, che ospita 141 banche di 26 Stati e 3.840 fondi di investimento venduti in 70 altri Stati, con attività per 2.500 miliardi, in questo caso pari addirittura a 55 volte il Pil del Granducato. Proprio strano, sentire ora Juncker affermare con nonchalance che il Lussemburgo può introdurre lo scambio automatico di informazioni dal gennaio 2015.
Le ragioni della storica capitolazione? In tempi di feroce crisi e di bilanci nazionali austeri, si fa asfissiante la pressione degli Stati Uniti e dei grandi Paesi europei su Svizzera, Lussemburgo e ogni altro Stato che si presti, con l’opacità del suo sistema bancario, ad agevolare l’evasione fiscale dei grandi investitori inernazionali. L’annuncio dell’altro ieri di Italia, Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna di voler lavorare a «una piattaforma multilaterale di scambio di informazioni» non è che l’ultimo segnale.
E poi c’è stata la crisi di Cipro e la crescente consapevolezza nell’Eurozona che un settore bancario ipertrofico (otto volte il Pil per Nicosia) sia comunque un fattore di malsana fragilità. Certo, le situazioni dell’isola e del Granducato sono diversissime. Però una domanda sull’argomento (riferendosi al Lussemburgo senza citarlo espressamente) è già stata posta all’ultima conferenza stampa a Francoforte di Mario Draghi. Alla quale il presidente della Bce ha risposto che in effetti «Paesi in cui il settore bancario è svariate volte più grande dell’economia sono, in media, più vulnerabili». Le due opzioni indicate da Draghi in questi casi sono state: o di ridimensionare il settore bancario o di accantonare riserve statali aggiuntive e, in ogni caso, «di gestire sia il Paese che il settore bancario in modo più prudente». Un ulteriore stimolo, forse, per monsieur Juncker a tirar giù l’ormai sgualcita bandiera del segreto bancario per la quale aveva tanto combattuto.

Enrico Brivio