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 2013  aprile 11 Giovedì calendario

CITTÀ DEL VATICANO

LA“fabbrica dei santi” non si ferma. E continua a macinare beati e santi, strumento di governo efficace attraverso il quale i Pontefici esprimono un modello di Chiesa. Canonizzare o non canonizzare una persona, infatti, significa anche scegliere se esercitare o meno un potere reale, concesso da secoli soltanto a chi siede sul soglio di Pietro. Un esempio per tutti riguarda papa Francesco. Da pochi mesi ha dato il via libera al processo di beatificazione dell’arcivescovo salvadoregno Oscar Arnulfo Romero, assassinato mentre celebrava l’eucarestia. Per anni la causa è rimasta ferma alla Congregazione per la Dottrina della fede, sembra a motivo dell’influenza che sullo stesso Romero aveva esercitato il gesuita
Jon Sobrino, esponente di punta della teologia della liberazione e figura poco gradita ad alcuni esponenti della curia romana.
Benedetto XVI, sul finire del suo pontificato, aveva dato un primo via libera alla causa, ma c’è voluto Francesco perché il sì papale divenisse di fatto ufficiale. Per Jorge Mario Bergoglio, insomma, Romero e la sua vita spesa per i poveri e gli ultimi sono un modello a cui tutti oggi devono guardare.
Francesco, nel suo primo anno di pontificato, ha mantenuto i numeri da record che furono dei suoi due predecessori: nel 2013 ci sono state 18 cerimonie di beatificazione con 540 nuovi beati, dei quali 528 martiri e 12 confessori. Sempre lo scorso anno Francesco ha canonizzato 804 nuovi santi, ovvero 800 martiri di Otranto uccisi dai turchi nel 1480 e quattro confessori. Cinque, inoltre, le canonizzazioni
equipollenti in tutto il suo pontificato: quelle di Angela da Foligno, di Pietro Favre, di Francesco de Laval, di Giuseppe de Anchieta e di Maria dell’Incarnazione. Ritmi che anche Benedetto XVI, che pure aveva deciso di presiedere di persona solo
le proclamazioni dei nuovi santi lasciando a un cardinale il compito di presiedere le beatificazioni, sapeva tenere: 45 le cerimonie di canonizzazioni presiedute personalmente dal 2005 al 2012.
Fu comunque con Giovanni Paolo II che il Vaticano divenne a tutti gli effetti quella “fabbrica dei santi” capace di macinare numeri da record come mai era avvenuto prima. Karol Wojtyla fece più canonizzazioni che tutti i Papi degli ultimi quattro secoli messi assieme. Durante il suo pontificato ha fatto 1.345 beati e 482 santi, che da soli rappresentano più della metà delle santificazioni della Chiesa cattolica a partire dalla nascita della Congregazione dei Riti, l’attuale Congregazione per le cause dei santi. Come ha scritto Valentina Cicliot, in una tesi dedicata alla “politica delle canonizzazioni” di Wojtyla, “se si analizzano i dati relativi alle
beatificazioni e canonizzazioni wojtyliane, l’elemento che appare preponderante è la forte presenza di martiri (1.032 beati su 1345, il 76 per cento, e 402 santi su 483, l’83 per cento). Il pensiero, espresso dal Pontefice, che la Chiesa del Novecento e del terzo millennio sia nuovamente Chiesa martiriale, con la riproposizione dell’antica immagine sanguis martyrum se-men christianorum, trova nelle glorificazioni non solo conferma, ma attuazione concreta”.
Altro elemento importante è l’interesse per le figure polacche: 11 santi e 158 beati. “La motivazione di tale significativa presenza non è solamente dettata da affetti e devozioni personali, ma rientra in una strategia più ampia legata tanto al concetto wojtyliano di patria e di Europa, quanto al confronto tenuto con il regime sovietico e le democrazie occidentali prima e dopo la caduta del muro di Berlino,
spartiacque nell’azione del magistero pontificio. Inoltre, si palesa la volontà di proporre la Chiesa e il cattolicesimo polacco come modelli per gli altri Paesi”.
Joseph Ratzinger non lesinò il numero di beatificazioni e canonizzazioni. Decidendo, tuttavia, di non presiedere direttamente i riti di beatificazione diede un segnale di discontinuità significativo rispetto a Wojtyla. A suo avviso, infatti, finché un candidato agli altari non è santo resta una figura a cui non tutta la Chiesa deve essere costretta a guardare. Disse alla rivista “30Giorni” quando ancora era cardinale: «La distinzione tra beatificazione e canonizzazione è secondo me uno strumento del tutto ragionevole per differenziare figure che possono esercitare una funzione di esempio solo per un determinato ambito e quelle che hanno da trasmettere un messaggio a tutta la Chiesa».
Francesco si è avvalso per cinque volte della proclamazione per equipollenza. Ovvero, cinque dei suoi beati sono stati canonizzati non con la procedura ordinaria, che esige il riconoscimento canonico di un miracolo attribuito alla loro intercessione, ma attraverso un canale straordinario definito appunto “canonizzazione equipollente”. Ha detto il cardinale Angelo Amato, prefetto delle Cause dei Santi, all’Osservatore Romano: «Per tale canonizzazione si richiedono tre elementi: il possesso antico del culto; la costante e comune attestazione di storici degni di fede sulle virtù o sul martirio; la ininterrotta fama di prodigi». In questo casi il Papa «può procedere alla canonizzazione
equipollente».
Giovanni Paolo II usò una “procedura abbreviata”, il 3 ottobre 1982, per beatificare Giovanni da Fiesole, meglio noto come Beato Angelico. Benedetto
XVI fece una sola canonizzazione equipollente, quella di Ildegarda di Bingen. Francesco, invece, ha fatto ricorso a questa modalità speciale in una quantità di casi inferiore al solo Leone XIII, che l’ha usata però in un arco di vent’anni (tra il 1880 e il
1899). E anche la canonizzazione di Giovanni XXIII del prossimo 27 aprile, che pure si avvale della prassi ordinaria, avviene senza che sia stato canonicamente accertato un miracolo attribuito alla sua intercessione e avvenuto dopo la sua beatificazione: un modo, questo, per esercitare in pieno tutte le prerogative che gli spettano in qualità
di Pontefice. Ma non una scorciatoia: Francesco ha semplicemente accolto con favore le motivazioni presentate dalla Congregazione delle cause dei santi su istanza della postulazione della causa dello stesso Giovanni XXIII.
Anche per Bergoglio, dunque, tanti santi, seppure con equità. È entrato in vigore, all’inizio di questo nuovo anno, un tariffario di riferimento, affinché, spiega il cardinale Amato, «venga garantito, in maniera sobria ed equa, che non vi siano «sperequazioni tra le varie cause ». Una causa di beatificazione non particolarmente impegnativa tra spese per il processo e cerimonia arrivava a costare non meno di mezzo milione di euro. Con il risultato che chi non raccoglieva abbastanza denaro non poteva portare sugli altari un testimone di santità. Con
Francesco non è più così.