Antonio Rossitto, Panorama 11/4/2013, 11 aprile 2013
IL TESORIERE DELLA MAFIA MAI INDAGATO PER MAFIA
I crocicchi che con cadenza pomeridiana si riuniscono in piazza Ciullo, davanti al Comune di Alcamo, ebbero chiaro chi era Vito Nicastri nell’estate del 2001. Quando, alla festa per il diciottesimo compleanno di Erika, l’amata figliola, fece arrivare dal continente l’idolo della ragazza: il tormentato cantautore Marco Masini. Allora divenne lapalissiano. Nell’elegante cittadina siciliana tra Palermo e Trapani, i retroscenisti locali sentenziarono: «Nicastri si n’acchianau», ossia è salito. Meglio: è diventato ricco, potente e con le amicizie giuste. Grazie a pannelli solari e pale eoliche che ha disseminato nell’isola «Il signore del vento» lo osannava il Financial Times. «Un prestanome di Matteo Messina Denaro, il capo trapanese di Cosa nostra» sostiene la Direzione investigativa anti mafia (Dia): il 4 aprile 2013 ha confiscato il suo favoloso patrimonio, stimato 1,3 miliardi di euro, il sequestro di beni record in Italia. Gruzzolo che ne farebbe l’uomo più ricco di Sicilia: le sue fortune, per esemplificare, potrebbero ripianare metà del deficit dell’isola.
Nicastri ha 57 anni. Negli ultimi 30 ha accumulato i suoi averi: 43 società, 98 immobili, 17 conti correnti, automobili di lusso e un catamarano da sogno. Negli anni Ottanta comincia come elettricista installa climatizzatori. Ma appena si comincia a parlare di energie alternative Nicastri fiuta il business. Soldi pubblici a fondo perduto, autorizzazioni facili e veloci grazie a burocrati e politici corruttibili. E grandi gruppi disposti a pagare cifre folli. Con questo sistema allestisce centinaia di impianti fotovoltaici. Ma nel 1994 finisce in un’inchiesta della Procura di Palermo, che indaga su un giro di frodi fiscali. Stretto dalle evidenze l’imprenditore racconta ai magistrati i grandi affari del fotovoltaico. Afferma di avere pagato 3 miliardi di lire al segretario particolare dell’allora assessore all’Industria in regione, Luigi Granata. Per ottenere finanziamenti pubblici servono tangenti, poi in parte girate al Psi. I magistrati apprezzano la collaborazione dell’imprenditore. Nicastri patteggia: un anno e sei mesi.
È un «confidente», ormai: patente che negli affari non lo aiuta. Ma l’odore dei «piccioli» questa volta prevale, sostiene la Dia. Nicastri ritorna in auge grazie alla protezione di Cosa nostra alcamese, racconta il pentito Giuseppe Ferro. Da allora Nicastri avrebbe legato le sue magnifiche sorti ai boss. Tanto che nel covo dove furono arrestati i capimafia palermitani Salvatore e Sandro Lo Piccolo, il 5 novembre 2007, viene trovato un pizzino che citava l’uomo d’affari di Alcamo.
Con l’appoggio di Cosa nostra, scrive la Dia, Nicastri sarebbe diventato il dominus dell’eolico nell’isola. In gergo si chiamano sviluppatori: imprenditori che ottengono le autorizzazioni per costruire i parchi e poi le rivendono ai grandi operatori del settore. Nel 2009, in un’intervista a Panorama Economy, Nicastri si compiace: «l’Enel sa convincere i contadini a cedere in affitto i terreni? Sa presentare adeguatamente i suoi progetti ai funzionari e dirigenti locali e regionali chiamati a dare il loro parere?». Lui invece a fare queste cose era bravissimo: in cambio di «qualche assunzione». E grazie all’abilità nel trattare con la pubblica amministrazione: «In modo grazioso, come si dice dalle mie parti».
Nicastri individua le aree, convince i proprietari a cederle, affronta la burocrazia, ottiene fondi pubblici. Per poi rivendere e incassare, fino a 500 mila euro per megawatt. In questo modo avrebbe ottenuto e poi ceduto il 35 per cento delle concessioni date in Sicilia: circa 1.000 megawatt. Un ruolo importante nella sua irresistibile ascesa l’avrebbero avuto pure i politici. Tanto che la Dia, nel provvedimento di confisca, tratteggia uno «scenario sconfortante» riferendosi ai «rapporti con la pubblica amministrazione». Gli investigatori io di un viaggio in Tunisia con Mimmo Turano, l’ex presidente della Provincia di Trapani, adesso parlamentare regionale. E di rapporti molto stretti con un altro onorevole dell’assemblea: Riccardo Savona, eletto nelle file di Forza del Sud, adesso con il presidente Rosario Crocetta. I due, afferma la Dia, sarebbero stati perfino soci in affari. Di certo, però, ci sono telefonate equivoche. E tre bonifici da 15 mila euro versati a Savona da due aziende del gruppo Nicastri: «Contributi elettorali» ha minimizzato il deputato.
Del resto Nicastri è noto ad Alcamo anche per la sua generosità. Prestava denaro pure a semplici conoscenti. Non faceva nulla per mascherare la sua buona sorte. Guidava fuoriserie, come moglie e figli. E si rosolava su un catamarano di 14 metri, ormeggiato nel vicino porticciolo di Castellammare del Golfo. Le sue aziende, negli anni, si erano ingrandite; lui stesso si vantava di dare lavoro a oltre un centinaio di persone. E i suoi interessi non si limitavano alle energie alternative. Non c’era affare in città in cui non si infilasse con il suo portafoglio, dicono ad Alcamo. Nella città siciliana la confisca record non ha stupito nessuno. Quanto in alto era arrivato Nicastri qui lo sanno tutti. E tutti ne parlano, chiedendo però massima discrezione.
Solo uno degli avvocati dell’imprenditore, Sebastiano Dara, in un bar del centro, accetta di parlare.
Contesta il provvedimento del Tribunale di Trapani: «A parte quel vecchio patteggiamento, il mio cliente non è stato mai condannato. E neppure indagato per associazione mafiosa». Il legale racconta che «è distrutto, umiliato dall’accostamento con Cosa nostra». Chiuso nel suo palazzo nobiliare di due piani, le imposte verdi socchiuse, l’uomo che fu «padrone del vento» ora è sotto sorveglianza, con l’obbligo di dimora ad Alcamo per i prossimi tre anni. «Non ha più niente» spiega Dara. «Ora proverà a ricominciare, con la manutenzione delle pale eoliche. Ritorna alle origini, quando aggiustava condizionatori». Ma in piazza Ciullo, tra i compaesani, passano veloce di bocca in bocca le ultime novità: «Aggiustare le pale? Macché: ha già spostato tutti i suoi interessi in Sud Africa».
(Antonio Rossitto, twitter@AntonioRossitto)