Sette, venerdì 5 aprile, 11 aprile 2013
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La morte di Primo Levi (articolo del 5/4/2013)
Sette, venerdì 5 aprile
Scale Primo Levi, scrittore, giornalista, chimico, sopravvissuto ad Auschwitz, che la mattina dell’11 aprile 1987, dopo aver ricevuto la posta, si buttò nella tromba delle scale dello stabile in cui viveva al terzo piano. Alle 10.20 del mattino in corso re Umberto 75 a Torino.
Tonfo Tra le lettere ricevute «niente di particolare: qualche dépliants pubblicitario, un libro, una rivista. Niente, insomma, che avesse potuto turbarlo. Mi ha accolto come al solito. Un sorriso, un grazie. Non ho notato in lui nulla di strano. Sapevo che da tempo era depresso. (...) La moglie, la signora Lucia, era uscita per la spesa. Sono tornata giù. Ho sentito un tonfo. Ho guardato dai vetri della guardiola e ho visto il corpo sfracellato» (testimonianza della portiera).
Gabbiotto Prima di schiantarsi a terra, il corpo probabilmente ha sbattuto più volte nelle strutture dell’ascensore, rimbalzando tra la ringhiera e il gabbiotto.
Membra «Sul pavimento, l’infame tumulto di membra stecchite, la cosa Somogyi» (Se questo è un uomo).
Somogyi La cosa Somogyi, un vecchio compagno di baracca nel lager di Auschwitz. Morì la sera prima che arrivassero i russi, il 27 gennaio 1945.
Apple Primo Levi, che da qualche mese aveva cambiato vita e si era barricato in caso, aveva un unico svago: il computer Apple, acquistato per scrivere I sommersi e i salvati, col quale giocava come un ragazzino.
Computer «Sono sconvolto. È una morte tragica che mi riempie di stupore. È una perdita enorme perché era persona di tale onestà e serietà... L’avevo incontrato mercoledì scorso, e quasi mi aveva convinto a comprare un personal computer, spiegandomi il funzionamento del suo, dicendo che mi avrebbe dato altre lezioni... Quando parlavamo del lavoro, della casa editrice che si riprende, era vivace. Quando toccavamo cose sue più personali cadeva nella cupezza, prendeva lo sguardo triste dell’ uomo che non ha avvenire. Diceva: Non riesco più a scrivere. Levi era depresso da qualche tempo, ma nella discreta Torino la cosa non trapelava». (Giulio Einaudi)
Lettera Ricorda Ferdinando Camon: «Primo Levi è morto di sabato, il martedì dopo m’è arrivata una sua lettera. Mi viene addosso una tristezza infinita e mi dico: “Ecco, adesso mi spiega perché ha deciso di uccidersi”. Mi aspetto la confessione che vivere gli è impossibile, che dopo Auschwitz lui non viveva ma sopravviveva, che vivere ancora per lui è una colpa, che sulla Terra non c’è spazio per le vittime dello Sterminio e per chi lo nega, che lui si uccide adesso ma doveva farlo quarant’anni prima, e che dunque le spiegazioni non vanno cercate in quel che succede adesso, ma in quel che era successo 45-40 anni prima. Questo m’aspetto, aprendo la lettera, che dev’essere stata l’ultima che ha scritto e imbucato. Se m’è arrivata al martedì, doveva averla imbucata il sabato: dunque durante la passeggiata che faceva ogni mattina. La apro: un inno alla vita, un vortice di programmi, speranze, attese, da riempire settimane, mesi e anni».
Malattie Operato due settimane prima alla prostata, all’anestesista che gli chiedeva le malattie da dichiare rispose, sollevando la manica del pigiama e, mostrando i numeri tatuati sul suo braccio dai nazisti: «Sì, questa».
Mai «L’esperienza del campo di concentramento può venire superata e resa indolore, addirittura resa utile come tutte le esperienze della vita. Ma non si cancella mai» (Primo Levi).
Greco Primo Levi, nelle sue visite all’Einaudi descritto da Carlo Fruttero come «un eroe greco che per un capriccio del fato fosse stato espulso dal palcoscenico della tragedia e stesse lì, a prendere assurdamente un caffè».
Nonno Il nonno Michele, suicida pure lui: si buttò dalla finestra del secondo piano, in via S. Francesco da Paola a Torino.
Epitaffio L’epitaffio che avrebbe voluto primo Levi: le parole che Omero dedica ad Ulisse, pollà plànkthe, ovvero uno che ha molto errato.
Scale Primo Levi, scrittore, giornalista, chimico, sopravvissuto ad Auschwitz, che la mattina dell’11 aprile 1987, dopo aver ricevuto la posta, si buttò nella tromba delle scale dello stabile in cui viveva al terzo piano. Alle 10.20 del mattino in corso re Umberto 75 a Torino.
Tonfo Tra le lettere ricevute «niente di particolare: qualche dépliants pubblicitario, un libro, una rivista. Niente, insomma, che avesse potuto turbarlo. Mi ha accolto come al solito. Un sorriso, un grazie. Non ho notato in lui nulla di strano. Sapevo che da tempo era depresso. (...) La moglie, la signora Lucia, era uscita per la spesa. Sono tornata giù. Ho sentito un tonfo. Ho guardato dai vetri della guardiola e ho visto il corpo sfracellato» (testimonianza della portiera).
Gabbiotto Prima di schiantarsi a terra, il corpo probabilmente ha sbattuto più volte nelle strutture dell’ascensore, rimbalzando tra la ringhiera e il gabbiotto.
Membra «Sul pavimento, l’infame tumulto di membra stecchite, la cosa Somogyi» (Se questo è un uomo).
Somogyi La cosa Somogyi, un vecchio compagno di baracca nel lager di Auschwitz. Morì la sera prima che arrivassero i russi, il 27 gennaio 1945.
Apple Primo Levi, che da qualche mese aveva cambiato vita e si era barricato in caso, aveva un unico svago: il computer Apple, acquistato per scrivere I sommersi e i salvati, col quale giocava come un ragazzino.
Computer «Sono sconvolto. È una morte tragica che mi riempie di stupore. È una perdita enorme perché era persona di tale onestà e serietà... L’avevo incontrato mercoledì scorso, e quasi mi aveva convinto a comprare un personal computer, spiegandomi il funzionamento del suo, dicendo che mi avrebbe dato altre lezioni... Quando parlavamo del lavoro, della casa editrice che si riprende, era vivace. Quando toccavamo cose sue più personali cadeva nella cupezza, prendeva lo sguardo triste dell’ uomo che non ha avvenire. Diceva: Non riesco più a scrivere. Levi era depresso da qualche tempo, ma nella discreta Torino la cosa non trapelava». (Giulio Einaudi)
Lettera Ricorda Ferdinando Camon: «Primo Levi è morto di sabato, il martedì dopo m’è arrivata una sua lettera. Mi viene addosso una tristezza infinita e mi dico: “Ecco, adesso mi spiega perché ha deciso di uccidersi”. Mi aspetto la confessione che vivere gli è impossibile, che dopo Auschwitz lui non viveva ma sopravviveva, che vivere ancora per lui è una colpa, che sulla Terra non c’è spazio per le vittime dello Sterminio e per chi lo nega, che lui si uccide adesso ma doveva farlo quarant’anni prima, e che dunque le spiegazioni non vanno cercate in quel che succede adesso, ma in quel che era successo 45-40 anni prima. Questo m’aspetto, aprendo la lettera, che dev’essere stata l’ultima che ha scritto e imbucato. Se m’è arrivata al martedì, doveva averla imbucata il sabato: dunque durante la passeggiata che faceva ogni mattina. La apro: un inno alla vita, un vortice di programmi, speranze, attese, da riempire settimane, mesi e anni».
Malattie Operato due settimane prima alla prostata, all’anestesista che gli chiedeva le malattie da dichiare rispose, sollevando la manica del pigiama e, mostrando i numeri tatuati sul suo braccio dai nazisti: «Sì, questa».
Mai «L’esperienza del campo di concentramento può venire superata e resa indolore, addirittura resa utile come tutte le esperienze della vita. Ma non si cancella mai» (Primo Levi).
Greco Primo Levi, nelle sue visite all’Einaudi descritto da Carlo Fruttero come «un eroe greco che per un capriccio del fato fosse stato espulso dal palcoscenico della tragedia e stesse lì, a prendere assurdamente un caffè».
Nonno Il nonno Michele, suicida pure lui: si buttò dalla finestra del secondo piano, in via S. Francesco da Paola a Torino.
Epitaffio L’epitaffio che avrebbe voluto primo Levi: le parole che Omero dedica ad Ulisse, pollà plànkthe, ovvero uno che ha molto errato.
Lucrezia Dell’Arti