Edoardo Boncinelli, Corriere della Sera 11/04/2013, 11 aprile 2013
L’ADDIO AL MEDICO PAPA’ DI 5 MILIONI DI BAMBINI - È
morto Robert Edwards, il padre di milioni di bambini. Aveva 87 anni, gli avevano assegnato il premio Nobel nel 2010 per la scoperta e la messa a punto della tecnica della fecondazione in vitro. La prima bambina nata con questa metodica, Louise Brown, compirà presto 35 anni. Un lasso di tempo enorme che ha visto nascere grazie a questa metodica circa 5 milioni di bambini e bambine da persone che altrimenti non ne avrebbero avuti. Si è trattato di un lavoro assolutamente pionieristico che ha trasferito con successo alla nostra specie alcune tecniche messe a punto originariamente in piccoli mammiferi. Edwards era un medico, ma non era un ostetrico, e infatti si avvalse della collaborazione di Patrick Streptoe per la parte di tecnica ginecologica. Questi due ricercatori hanno lavorato disciplinatamente per anni a questa fantastica impresa che ha liberato tante coppie dall’afflizione della sterilità.
Quando l’ho conosciuto io, più di venti anni fa, era un rispettabilissimo signore inglese, sempre gioviale e aperto a un brindisi, che ormai pago del successo riscosso dalla sua opera maggiore, cercava di dare impulso alla biologia molecolare della fecondazione umana e allo studio dei meccanismi dello sviluppo embrionale. Non era un esperto in questo difficile campo, ma ascoltava con grande attenzione qualsiasi contributo potesse arrivare ad accrescere le conoscenze. Con l’interesse e la modestia di un giovane allievo. Discuteva di frequente e vedeva con grande favore ogni novità in questa affascinante branca dello scibile. Io stesso gli ho spiegato diverse volte alcune cose e l’ho trovato sempre giovanilmente appassionato, anche se non potevo essere sicuro che lui non le conoscesse già.
Rappresentava un tipo di ricercatore molto originale, un po’ scienziato e un po’ medico, operante in quella Cambridge che ha visto il realizzarsi di tanti miracoli per tutto il secolo scorso. E un miracolo è stata la sua tecnica, un miracolo di coraggio e di affidabilità, che ha proiettato negli anni la sua luce liberatoria. In sé la tecnica è semplice. Si prendono delle cellule-uovo della futura mamma e si fecondano in provetta con gli spermatozoi di chi dovrà essere il padre; si tengono queste cellule di uovo fecondate qualche giorno in provetta e poi si impianta quello che nel frattempo è diventato un piccolo embrione nell’utero della futura mamma. Oggi è divenuta una pratica così comune che si fa fatica a rendersi conto della sua portata rivoluzionaria.
Ma il significato è enorme, perché così facendo si riescono a superare delle gravi limitazioni che il destino biologico aveva posto a un gran numero di individui, sulla via di un progressivo affrancamento della nostra specie dai vincoli naturali, spesso crudeli e insensati. Così come gli occhiali permettono una regolare visione ai miopi, o la somministrazione di insulina salva alcuni diabetici da una morte certa, questa tecnica ha messo in condizione di procreare un numero enorme di persone che si vedevano quella via sbarrata o quasi sbarrata.
Ci sono state ovviamente negli anni polemiche su questo modo «non naturale» di procreare e sul fatto, molto opinabile, che il diritto ad avere figli non può essere messo sullo stesso piano del diritto alla salute. Ma, a parte il fatto che ci sono state polemiche nella storia per tutti i tipi di nuovi presidi clinici che l’uomo ha escogitato, ragioniamo un po’. Questo non è un modo naturale di procreare, è vero; ma è naturale infilarsi un ago nel corpo per iniettarsi una medicina o trasferire del sangue da un individuo che ne ha abbastanza a uno che ne ha invece bisogno? Sono secoli ormai che la medicina, e la tecnica in generale, ci fanno fare cose innaturali, perché l’uomo ha avuto la capacità di non accontentarsi di ciò che gli riservava la sorte e ha preferito intervenire per curarsi, o in generale per rendersi la vita più agevole.
In questi giorni vedo dalla mia finestra una gigantesca gru al lavoro per tirare su un palazzo. È un bestione enorme, pesantissimo, pieno di snodi, di tiranti e di motori. E nel gabbiotto piccolo piccolo lassù c’è un uomo che si limita a spingere bottoni e ad azionare leve, facendo muovere tutto quello senza alcuno sforzo. Questo è l’uomo, nella sua parte migliore.
Edoardo Boncinelli