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 2013  aprile 11 Giovedì calendario

PERCHÉ NON È SCONTATO SCIOGLIERE LE DUE CAMERE

All’intenso dibattito sul futuro destino della legislatura appena iniziata è sottintesa una questione cruciale, che sarebbe invece opportuno esplicitare.
L’eventuale scioglimento disposto dal futuro presidente della Repubblica dovrebbe riguardare entrambe le Camere oppure il solo Senato, e cioè l’unico ramo del Parlamento impossibilitato a funzionare per l’assenza di una maggioranza? Mi pongo questa domanda perché leggo che gli attuali sondaggi darebbero vincente il Pdl «almeno alla Camera» e l’onorevole Berlusconi dà per scontato che lo scioglimento riguarderà anche la Camera.
Per la verità, perché lo scioglimento coinvolga entrambe le Camere, sarebbe necessario che il presidente del Consiglio incaricato (che al momento in cui scrivo ipotizzo essere l’onorevole Bersani, leader del partito che ha la maggioranza assoluta alla Camera e relativa al Senato, e che come tale ha avuto un “preincarico” esplorativo e non un “incarico” a formare un governo) si presentasse, con una buona dose di masochismo, in primo luogo, proprio davanti al Senato, dove non ha la certezza di avere una maggioranza favorevole.
Qualora il Senato non votasse la fiducia al governo Bersani, l’ulteriore passaggio parlamentare dinanzi alla Camera dei deputati sarebbe del tutto inutile, dovendo il governo godere della fiducia di entrambi i rami del Parlamento. Pertanto ove, a tale data, persistesse l’attuale impossibilità di formare un governo con una diversa maggioranza e/o con un diverso incaricato, il futuro capo dello Stato non potrebbe non disporre lo scioglimento di entrambe le Camere.
Diverso lo scenario qualora l’onorevole Bersani si presentasse prima alla Camera dei deputati. Qui il governo da lui presieduto, se le cose non cambieranno nel frattempo, dovrebbe ottenere senz’altro la fiducia, data la netta maggioranza di cui gode la coalizione Pd-Sel, e se il Senato, contro tutte le aspettative, facesse altrettanto, la legislatura sarebbe salva. Il problema dello scioglimento del solo Senato o anche della Camera sorgerebbe quindi solo nell’ipotesi che il Senato, diversamente dalla Camera, non gli votasse la fiducia. Ebbene a tale problema la Costituzione dà esplicita risposta all’articolo 88, secondo il quale «il presidente della Repubblica può, sentiti i loro presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse».
Due sole osservazioni sul punto. La prima è che i costituzionalisti sono tutti d’accordo sull’ipotesi dello «scioglimento funzionale», che si ha quando una Camera non è in grado di funzionare per l’impossibilità di formarvi una maggioranza. Nel Senato si è infatti verificata l’ipotesi “paralizzante” di un solo ramo del Parlamento che la dottrina escludeva sulla base del presupposto che il sistema elettorale dovesse essere in grado di produrre nelle due Camere rappresentanze politiche simili (il che non è il caso del “porcellum”).
La seconda osservazione attiene invece
all’attuale situazione della Camera dei deputati, per la quale non ricorre l’ipotesi dello “scioglimento funzionale” in quanto, come già ricordato, vi è una netta maggioranza, ancorché dovuta al “porcellum”. (Il mancato funzionamento delle commissioni parlamentari della Camera ha una causa ben diversa, in quanto il Pd e il Pdl ritengono che le commissioni parlamentari, nelle quali si articola l’attività legislativa e di sindacato ispettivo, non possano essere costituite se non dopo la formazione di una effettiva maggioranza di governo).
Ribadito quindi che la Camera, al contrario del Senato, non può dirsi in uno «stato di disfunzionalità politica o istituzionale », deve aggiungersi che tra i costituzionalisti è pacifico che lo scioglimento di una Camera nella quale sussista una maggioranza non può essere altro che un “autoscioglimento”. Deve essere la maggioranza della Camera stessa, per il tramite dei presidenti dei gruppi parlamentari, ad esprimersi in favore dello scioglimento. Per poter sciogliere la Camera oltre al Senato, il futuro presidente della Repubblica dovrebbe pertanto avere non solo il parere favorevole del presidente del Senato (del tutto scontato), ma anche quello del presidente della Camera, niente affatto certo.
Ulteriormente diverso sarebbe lo scenario qualora nel frattempo – ma non si sa come, con quale governo e presieduto da chi – venisse approvata dalle Camere una modifica al “porcellum” o addirittura una nuova legge elettorale. In tal caso lo scioglimento riguarderebbe ovviamente entrambe le Camere, essendo nuovi i criteri di scelta sia per i senatori che per i deputati.