11 aprile 2013
Mirco Sacher, 67 anni, meccanico delle Ferrovie in pensione, robusto, celibe, mai visto né con donne, né con uomini, unica passione il calcio, a detta degli amici bravissima persona, «una larva d’uomo, se si può dire con affetto»
Mirco Sacher, 67 anni, meccanico delle Ferrovie in pensione, robusto, celibe, mai visto né con donne, né con uomini, unica passione il calcio, a detta degli amici bravissima persona, «una larva d’uomo, se si può dire con affetto». Trovato morto nelle campagne della periferia di Udine, riverso a terra, la camicia sbottonata, i pantaloni leggermente abbassati, nessun segno di violenza. Il medico legale certifica la morte come naturale, poi però la notte dopo due studentesse quindicenni, compagne di scuola, bussano alla porta dei carabinieri di Pordenone: «L’abbiamo ucciso noi perché ci voleva violentare». Dicono di essere studentesse, amiche, di conoscere bene Sacher in quanto amico di famiglia e perché spesso dava loro un passaggio in città. Anche domenica erano salite nella sua Fiat Punto. Ma fatte poche centinaia di metri il pensionato ha deviato verso uno sterrato e si è fermato poco più in là. Raccontano di un amico di famiglia irriconoscibile, trasformatosi di colpo in molestatore. Ci sarebbe stata una colluttazione: «Alla fine l’abbiamo strangolato». Dai primi accertamenti sul corpo della vittima non sono stati però riscontrati segni evidenti di strangolamento, tanto che il medico legale aveva certificato la morte di Sacher come naturale (probabile infarto). Il procuratore capo Antonio Biancardi parla di vicenda poco chiara: «Nulla esclude che vi siano coinvolgimenti di maggiorenni, quindi prima di spogliarci degli atti faremo ulteriori accertamenti». IL GIALLO DELLE 15ENNI KILLER “ABBIAMO UCCISO L’ORCO” – UDINE – Erano in tre, almeno in tre, lungo una strada sterrata. Uno l’«uomo robusto», è stato trovato morto, con i pantaloni abbassati, e la camicia tirata su. Le due quindicenni, che stavano con lui, e che sono fuggite con la sua auto, sostengono di averlo strangolato «insieme, contemporaneamente». Se sono diventare assassine, così spiegano, è «perché lui ha tentato di stuprarci». Ma più parli con poliziotti, carabinieri e magistrati più risuona un monosillabo: «Mah!». Oggi ci sarà l’autopsia sul corpo di Mirco Sacher, 66 anni, e una certezza esiste già: l’unico segno di violenza notato su questo meccanico delle ferrovie, in pensione anticipata grazie alla riforma Dini, e sfaccendato da più di una dozzina d’anni, è stato un graffio sulla guancia sinistra: unghia? O uno dei rovi, mentre veniva buttato giù dall’auto? Il corpo è stato trovato l’altro ieri pomeriggio, dono di sole pallido, e la polizia scientifica è arrivata in una zona di periferia, frequentata da coppiette, e non raramente dalle prostitute nigeriane, dopo la telefonata di un signore che portava a spasso il cane. Nessun livido sul collo taurino. E nessuno di quei segni tipici dello strangolamento, o del soffocamento. «Per me è morte naturale», dicevano i medici, mentre tutti, dal pubblico ministero di turno, al capo della mobile Massimiliamo Ortolan, al capitano dei carabinieri Fabio Pasquariello, andavano a vedere quel corpo senza vita. Sacher non era sposato. Rimasto solo in un appartamento popolare al terzo piano dopo la morte della madre, era considerato «uno a posto», che «non parlava di donne», un grande frequentatore delle partite che divertono e non costano nulla, quelle del calcio dilettanti. Se proprio bisogna frugare nella sua vita, ci viene raccontato che sì, una volta, era stato fermato accanto a una prostituta africana, e spiace anche scriverlo, ma è necessario in questa situazione, e che ogni tanto il suo telefonino squillava, diceva di essere amico di una badante. Un uomo, dunque, molto semplice. Parlare delle due ragazze è più difficile, almeno sinora. Sono due amiche, compagne di scuola, un istituto professionale, e vicine di casa. Una, A., un po’ più «avanti» di F., se «avanti» significa essere più sveglie. Questo essere «più sveglia» dipende soprattutto dall’essere stata fidanzata con un giovane nomade. Uno con una vita balorda, come capita a volte. Uno che rubava le auto. Ed è sempre A., grande chioma di capelli rossi tinti, che conosceva Sacher: il pensionato era un amico dell’intera famiglia, della madre di A., di sua zia. Uno, si dice, che qualche volta si offriva di dare alle amiche un passaggio in auto dal quartiere dove stavano, dietro lo stadio Friuli, verso il centro città. L’altra ragazza, F., figlia di un cuoco che nella sua stessa scuola insegna, aveva ricevuto nei giorni scorsi una lettera dal preside: un forte richiamo sulla «cattiva condotta». Sono dettagli che possono tornare utili agli investigatori? Se restiamo ai fatti certi, ce n’è un altro che proietta un’ombra ancora più oscura sulla dinamica degli avvenimenti. Le due giovani amiche si lasciano alle spalle l’amico di famiglia. Lo lasciano là, schiena nel terreno. Senza giubbotto, senza soldi, senza documenti. Tanto che il cadavere del ferroviere rimarrà senza nome per lunghe ore. Anche le mutande sono leggermente abbassate. In un modo particolare, che lascia scoperte le parti intime. La polverosa e datata Punto bianca di Sacher sparisce dunque dalla scena del crimine. E spariscono anche le due ragazze. Dove? Con chi? Sole? Parlano con qualcuno? Ci vuole ben un’ora e mezza per rivedere la vecchia utilitaria: viene «censita» al casello autostradale di Udine Sud e sparisce in direzione di Padova, ma a Limenella «abbiamo finito la benzina», e l’auto resta nel piazzale dell’autogrill. E là viene trovata quando i carabinieri si mettono in allarme, alle 22.30. E cioè quando il padre di F. e la madre di A. si presenta- dai carabinieri di Udine e denunciano la scomparsa delle figlie. I cellulari delle ragazze sono “attaccati” all’antenna di Dolo. Nel frattempo, queste figlie, che si sono ben guardate dall’avvisare casa, proseguono il viaggio: «Abbiamo fatto l’autostop, siano arrivate a Vicenza, là abbiamo preso il treno per Venezia Mestre, e abbiamo conosciuto due ragazzi». Sono un artigiano di Torre e uno studente africano, che le invitano a Pordenone, e durante il viaggio le ragazze confessano: «Abbiamo ucciso un uomo». E i due le convincono ad andare in caserma: sono le 2.30 della notte tra domenica e lunedì, dodici ore dopo aver «ucciso », come dicono loro, il pensionato. E cominciano a narrare la loro storia anche ai carabinieri: «Ci accompagnava qualche volta, ma sino a ieri non era mai successo niente che ci avesse messo paura. Poi…». La squadra mobile di Udine e i carabinieri stanno verificando in queste ore alibi, spostamenti e dichiarazioni, ed è così che quel «mah!», accertamento dopo accertamento, continua a risuonare. L’appartamento del pensionato è stato messo sotto sequestro e sigillato. Come si sa, i telefonini raccontano molte cose, è possibile ricostruire a ritroso gli spostamenti di chi l’aveva e lo usava per mandare sms, ricevere e fare chiamate. Sono stati interrogati i parenti delle ragazze. Risentiti i testimoni: «M’ero incamminato con il pastore tedesco, ho visto un uomo e due donne discutere animatamente dentro la Punto bianca, una era castana, l’altra con i capelli rosso ramato, non particolarmente magre. Quando sono tornato, l’auto non c’era più, e il mio cane è partito, s’è sganciato dal guinzaglio, e non tornava. Sono anmenica dato a vedere, c’era l’uomo, e mi sembrava proprio quello che litigava con le due». Nella tarda serata, dopo le 19, la magistratura dei minorenni di Trieste ha cominciato gli interrogatori, con il pubblico ministero Chiara De Grassi. Anche la procura di Udine tiene aperto il fascicolo, senza un titolo di reato preciso, ma lo fa con l’ipotesi che una terza persona – un altro teste parlava di una donna più adulta, insieme alle due ragazze, che pure dimostrano qualche anno in più della loro età – possa aver collaborato, se non addirittura istigato, o persino ucciso, lasciando le due amiche ad autoaccusarsi e ad invocare la legittima difesa: «Può essere sopraggiunto un malore, mentre le due ragazze cercavano, come dicono, di strangolare l’uomo», dice il procuratore capo Antonio Biancardi. Inspiegabile resta la logica della fuga. Che senso ha avuto, per le due amiche, quel loro «sparire» da Udine, dopo aver subito – come denunciano – un clamoroso tentativo di violenza carnale? E quando mai s’è visto nei dossier e negli archivi un violentatore solitario che attacca da solo due ragazze contemporaneamente? Nelle risposte a queste domande passa anche il con fine – e va detto – tra l’ergastolo e la libertà quasi a portata di mano. E più parli con poliziotti, carabinieri e magistrati più risuona un monosillabo: «Mah!».