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 2013  aprile 11 Giovedì calendario

Mirco Sacher, 67 anni, meccanico delle Ferrovie in pensione, robusto, celibe, mai visto né con donne, né con uomini, unica passione il calcio, a detta degli amici bravissima persona, «una larva d’uomo, se si può dire con affetto»

Mirco Sacher, 67 anni, meccanico delle Ferrovie in pensione, robusto, celibe, mai visto né con donne, né con uomini, unica passione il calcio, a detta degli amici bravissima persona, «una larva d’uomo, se si può dire con affetto». Trovato morto nelle campagne della periferia di Udine, riverso a terra, la camicia sbottonata, i pantaloni leggermente abbassati, nessun segno di violenza. Il medico legale certifica la morte come naturale, poi però la notte dopo due studentesse quindicenni, compagne di scuola, bussano alla porta dei carabinieri di Pordenone: «L’abbiamo ucciso noi perché ci voleva violentare». Dicono di essere studentesse, amiche, di conoscere bene Sacher in quanto amico di famiglia e perché spesso dava loro un passaggio in città. Anche domenica erano salite nella sua Fiat Punto. Ma fatte poche centinaia di metri il pensionato ha deviato verso uno sterrato e si è fermato poco più in là. Raccontano di un amico di famiglia irriconoscibile, trasformatosi di colpo in molestatore. Ci sarebbe stata una colluttazione: «Alla fine l’abbiamo strangolato». Dai primi accertamenti sul corpo della vittima non sono stati però riscontrati segni evidenti di strangolamento, tanto che il medico legale aveva certificato la morte di Sacher come naturale (probabile infarto). Il procuratore capo Antonio Biancardi parla di vicenda poco chiara: «Nulla esclude che vi siano coinvolgimenti di maggiorenni, quindi prima di spogliarci degli atti faremo ulteriori accertamenti». IL GIALLO DELLE 15ENNI KILLER “ABBIAMO UCCISO L’ORCO” – UDINE – Erano in tre, almeno in tre, lungo una strada sterrata. Uno l’«uomo robusto», è stato trovato morto, con i pantaloni abbassati, e la camicia tirata su. Le due quindicenni, che stavano con lui, e che sono fuggite con la sua auto, sostengono di averlo strangolato «insieme, contemporaneamente». Se sono diventare assassine, così spiegano, è «perché lui ha tentato di stuprarci». Ma più parli con poliziotti, carabinieri e magistrati più risuona un monosillabo: «Mah!». Oggi ci sarà l’autopsia sul corpo di Mirco Sacher, 66 anni, e una certezza esiste già: l’unico segno di violenza notato su questo meccanico delle ferrovie, in pensione anticipata grazie alla riforma Dini, e sfaccendato da più di una dozzina d’anni, è stato un graffio sulla guancia sinistra: unghia? O uno dei rovi, mentre veniva buttato giù dall’auto? Il corpo è stato trovato l’altro ieri pomeriggio, dono di sole pallido, e la polizia scientifica è arrivata in una zona di periferia, frequentata da coppiette, e non raramente dalle prostitute nigeriane, dopo la telefonata di un signore che portava a spasso il cane. Nessun livido sul collo taurino. E nessuno di quei segni tipici dello strangolamento, o del soffocamento. «Per me è morte naturale», dicevano i medici, mentre tutti, dal pubblico ministero di turno, al capo della mobile Massimiliamo Ortolan, al capitano dei carabinieri Fabio Pasquariello, andavano a vedere quel corpo senza vita. Sacher non era sposato. Rimasto solo in un appartamento popolare al terzo piano dopo la morte della madre, era considerato «uno a posto», che «non parlava di donne», un grande frequentatore delle partite che divertono e non costano nulla, quelle del calcio dilettanti. Se proprio bisogna frugare nella sua vita, ci viene raccontato che sì, una volta, era stato fermato accanto a una prostituta africana, e spiace anche scriverlo, ma è necessario in questa situazione, e che ogni tanto il suo telefonino squillava, diceva di essere amico di una badante. Un uomo, dunque, molto semplice. Parlare delle due ragazze è più difficile, almeno sinora. Sono due amiche, compagne di scuola, un istituto professionale, e vicine di casa. Una, A., un po’ più «avanti» di F., se «avanti» significa essere più sveglie. Questo essere «più sveglia» dipende soprattutto dall’essere stata fidanzata con un giovane nomade. Uno con una vita balorda, come capita a volte. Uno che rubava le auto. Ed è sempre A., grande chioma di capelli rossi tinti, che conosceva Sacher: il pensionato era un amico dell’intera famiglia, della madre di A., di sua zia. Uno, si dice, che qualche volta si offriva di dare alle amiche un passaggio in auto dal quartiere dove stavano, dietro lo stadio Friuli, verso il centro città. L’altra ragazza, F., figlia di un cuoco che nella sua stessa scuola insegna, aveva ricevuto nei giorni scorsi una lettera dal preside: un forte richiamo sulla «cattiva condotta». Sono dettagli che possono tornare utili agli investigatori? Se restiamo ai fatti certi, ce n’è un altro che proietta un’ombra ancora più oscura sulla dinamica degli avvenimenti. Le due giovani amiche si lasciano alle spalle l’amico di famiglia. Lo lasciano là, schiena nel terreno. Senza giubbotto, senza soldi, senza documenti. Tanto che il cadavere del ferroviere rimarrà senza nome per lunghe ore. Anche le mutande sono leggermente abbassate. In un modo particolare, che lascia scoperte le parti intime. La polverosa e datata Punto bianca di Sacher sparisce dunque dalla scena del crimine. E spariscono anche le due ragazze. Dove? Con chi? Sole? Parlano con qualcuno? Ci vuole ben un’ora e mezza per rivedere la vecchia utilitaria: viene «censita» al casello autostradale di Udine Sud e sparisce in direzione di Padova, ma a Limenella «abbiamo finito la benzina», e l’auto resta nel piazzale dell’autogrill. E là viene trovata quando i carabinieri si mettono in allarme, alle 22.30. E cioè quando il padre di F. e la madre di A. si presenta- dai carabinieri di Udine e denunciano la scomparsa delle figlie. I cellulari delle ragazze sono “attaccati” all’antenna di Dolo. Nel frattempo, queste figlie, che si sono ben guardate dall’avvisare casa, proseguono il viaggio: «Abbiamo fatto l’autostop, siano arrivate a Vicenza, là abbiamo preso il treno per Venezia Mestre, e abbiamo conosciuto due ragazzi». Sono un artigiano di Torre e uno studente africano, che le invitano a Pordenone, e durante il viaggio le ragazze confessano: «Abbiamo ucciso un uomo». E i due le convincono ad andare in caserma: sono le 2.30 della notte tra domenica e lunedì, dodici ore dopo aver «ucciso », come dicono loro, il pensionato. E cominciano a narrare la loro storia anche ai carabinieri: «Ci accompagnava qualche volta, ma sino a ieri non era mai successo niente che ci avesse messo paura. Poi…». La squadra mobile di Udine e i carabinieri stanno verificando in queste ore alibi, spostamenti e dichiarazioni, ed è così che quel «mah!», accertamento dopo accertamento, continua a risuonare. L’appartamento del pensionato è stato messo sotto sequestro e sigillato. Come si sa, i telefonini raccontano molte cose, è possibile ricostruire a ritroso gli spostamenti di chi l’aveva e lo usava per mandare sms, ricevere e fare chiamate. Sono stati interrogati i parenti delle ragazze. Risentiti i testimoni: «M’ero incamminato con il pastore tedesco, ho visto un uomo e due donne discutere animatamente dentro la Punto bianca, una era castana, l’altra con i capelli rosso ramato, non particolarmente magre. Quando sono tornato, l’auto non c’era più, e il mio cane è partito, s’è sganciato dal guinzaglio, e non tornava. Sono anmenica dato a vedere, c’era l’uomo, e mi sembrava proprio quello che litigava con le due». Nella tarda serata, dopo le 19, la magistratura dei minorenni di Trieste ha cominciato gli interrogatori, con il pubblico ministero Chiara De Grassi. Anche la procura di Udine tiene aperto il fascicolo, senza un titolo di reato preciso, ma lo fa con l’ipotesi che una terza persona – un altro teste parlava di una donna più adulta, insieme alle due ragazze, che pure dimostrano qualche anno in più della loro età – possa aver collaborato, se non addirittura istigato, o persino ucciso, lasciando le due amiche ad autoaccusarsi e ad invocare la legittima difesa: «Può essere sopraggiunto un malore, mentre le due ragazze cercavano, come dicono, di strangolare l’uomo», dice il procuratore capo Antonio Biancardi. Inspiegabile resta la logica della fuga. Che senso ha avuto, per le due amiche, quel loro «sparire» da Udine, dopo aver subito – come denunciano – un clamoroso tentativo di violenza carnale? E quando mai s’è visto nei dossier e negli archivi un violentatore solitario che attacca da solo due ragazze contemporaneamente? Nelle risposte a queste domande passa anche il con fine – e va detto – tra l’ergastolo e la libertà quasi a portata di mano. E più parli con poliziotti, carabinieri e magistrati più risuona un monosillabo: «Mah!». *** DAL NOSTRO INVIATO UDINE — Come in un videogame, come in Grand theft auto (Gta), dove il protagonista è un criminale che gira libero nel traffico della città per compiere qualche missione non proprio edificante: omicidi, rapine, crimini vari. «Più di una volta l’hanno detto: "Ci siamo sentite l’eroe del Gta"». Lo raccontano Sonny e Walter, 21 e 18 anni, i ragazzi di Pordenone che hanno incontrato le due studentesse di Udine nella folle notte di domenica, dopo il delitto del 67enne Mirco Sacher e dopo la rocambolesca fuga in auto per strade e autostrade friulane e venete. «È stato un film — dice Sonny aggiustandosi il berretto da baseball —. Le abbiamo viste alla stazione di Mestre, sembravano piccole, fragili, calme. Erano senza soldi. Al capotreno abbiamo detto che erano scappate di casa e che noi eravamo andati a prenderle. Così non hanno pagato il biglietto». Poi, sul treno, le prime confidenze. «Raccontavano di essere andate a prendere dei superalcolici con un uomo anziano e che lui aveva chiesto di appartarsi e dicevano tranquillamente di averlo ucciso. Avevano messo in moto la sua macchina attaccando i fili dell’accensione ed erano fuggite a 150 all’ora in autostrada». Ieri i due amici sono stati inseguiti da taccuini e telecamere. «Era un racconto confuso e strano, al punto che volevamo andare a Udine a vedere se davvero c’era il cadavere — hanno detto a Tv7 Triveneta —. Ma arrivati a casa, a Pordenone, me l’hanno confermato i miei genitori e allora abbiamo convinto le ragazze, che erano rimaste con noi, a presentarsi dai carabinieri». Particolare non trascurabile: nelle loro confidenze le studentesse non avrebbero mai parlato di un tentativo di violenza da parte dell’uomo. Nel frattempo prosegue l’inchiesta della Procura per il Tribunale per i minorenni di Trieste. L’autopsia sul corpo della vittima ha dato la certezza del delitto, ma non quella dello strangolamento confessato dalle indagate. «Ci troviamo di fronte a un decesso per cause non naturali — ha concluso prudentemente il procuratore della Repubblica del Tribunale per i minorenni di Trieste Dario Grohmann —. Per noi si tratta di un esito in linea con l’ipotesi d’accusa». In linea cioè con il reato di omicidio volontario o preterintenzionale contestato alle quindicenni di Udine, attualmente chiuse in una casa protetta del capoluogo giuliano. «Cartilagine carotidea integra, due costole fratturate, rossore interno», ha riferito tecnicamente uno dei medici legali che ha rinviato le sue conclusioni all’esito di nuovi accertamenti istologici e tossicologici. Per l’avvocato Federica Tosel, difensore di una delle ragazze, significa che «lo strangolamento è un po’ difficile. Direi piuttosto soffocamento». Come sta la ragazzina? «È disperata perché non vede la mamma e piange quando la sente. Mi ha chiesto una sua foto. Sembra che non si renda ancora conto di cos’ha fatto». Spunta la testimonianza oculare di un uomo che dice di aver visto all’autogrill di Padova la Fiat Punto con a bordo le due studentesse, da sole. «Lo stiamo verificando», ha tagliato corto Grohmann. Andrea Pasqualetto, Cds 11 aprile apasqualetto@rcs.it *** Giudici contro le quindicenni “Hanno ucciso per i soldi” Non credono alle ragazzine. Non ci sarebbe stata violenza sessuale. Quindi neppure una reazione al tentato stupro. Per la procura è stato omicidio volontario aggravato. Di più: hanno ammazzato il pensionato Mirco Sacher per rubargli dei soldi. Per furto. Come si legge nel capo B della richiesta di convalida del fermo, su cui oggi il gip del Tribunale dei minori di Trieste dovrà pronunciarsi: «Perché in concorso fra loro, al fine di trarne profitto per sé o per altri, si impossessavano dell’autovettura Fiat Punto targata BM876RP di proprietà di fu Mirco Sacher... Nonché della tessera bancomatcarta di credito... sottraendola a quest’ultimo e conservandola nel portafoglio». Due ladre molto violente. E se non fosse stato omicidio volontario, sostiene la procura, allora si tratterebbe di un omicidio preterintenzionale. Una violenza sfuggita al controllo. Questa è la scena descritta dagli investigatori: «Gli saltano entrambe addosso. L’una sul torace, l’altro sull’addome, afferrandolo per le mani e per il collo, sino a provocarne il decesso». Non concedono attenuanti. I primi risultati dell’autopsia sembrerebbero confermare la prima ricostruzione. Non c’è lesione della cartilagine della carotide, frattura al collo. Ma in compenso l’ex ferroviere Mirco Sacher è morto con le costole spaccate. Come e perché esattamente - e con quale nesso casuale - verrà chiarito entro sessanta giorni dai periti. Ma intanto c’è la conferma di una colluttazione. Prolungata e violenta. Fra l’asfalto e il prato, dove il pensionato è stato ritrovato cadavere domenica pomeriggio. La procura non sembra credere alla ricostruzione delle due ragazzine: «Abbiamo reagito perché voleva violentarci». Il movente sfugge. È ancora presto per trarre delle conclusioni. Chi sono davvero le due amiche che hanno confessato l’omicidio di Mirco Sacher? «Sono state descritte quasi come due femmes fatales. Ma non è così. Stiamo parlando di due bambine. Quella che difendiamo noi, oggi ha chiesto la fotografia di sua madre, è sconvolta, non riesce a realizzare quello che è accaduto. Sembra addirittura più piccola e immatura della sua età». Così gli avvocati Federica Tosel e Luigi Francesco Rossi. Alle prese con una storia delicatissima, che si giocherà con una battaglia di perizie e controperizie. E intanto iniziano a saltare fuori anche i peggiori prototipi da scena dei delitti italiani. Come i due ragazzi Sonny e Walter, che alla dodicesima intervista, aggiungono sempre nuovi particolari e promettono scoop in esclusiva alla prossima televisione. Loro hanno incrociato le due ragazzine alla stazione di Mestre. Era domenica sera. Si conoscevano di vista. Hanno pagato il biglietto del treno per loro. Si sono fatti raccontare quella fuga pazzesca e strampalata senza patente. Fino a convincerle a presentarsi dai carabinieri. Ebbene, le ragazzine avrebbero raccontato il viaggio in questi termini: «Sembrava di essere in GTA, il videogame. Ci siamo sentite come l’eroe del gioco». La testimonianza è stata raccolta dall’emittente Tv7 Triveneta. Oggettivamente è impressionante: «Le abbiamo viste alla stazione di Mestre. Erano calme, sole, tranquille e senza soldi. Quasi ridendo, e comunque non tradendo nessuna emozione, ci hanno raccontato di aver ucciso un uomo, messo in moto la sua auto e di essere fuggite a 150 all’ora in autostrada». E la violenza sessuale? «Nel viaggio in treno non ne hanno mai parlato». "Gli amici di Mestre «Con noi non hanno mai detto del tentativo di violenza sessuale»" N.Z. La stampa 11 aprile *** “Gli siamo saltate addosso sembrava di stare dentro un videogioco” Vogliono scappare a Firenze senza sapere minimamente in che direzione muoversi. Una crede di esserci arrivata, salvo ritrovarsi a Mestre. Vanno in contromano. Imboccano l’autostrada con il motore che si spegne. Accelerano fino a 150 chilometri all’ora. Urlano. Imprecano. «Era come stare in un videogioco». È il mondo stravolgente di queste due ragazzine di 15 anni. Un po’ Thelma e Louise, molto bambine. Mettono la loro Sim nel telefono dell’uomo che ritengono di aver appena ucciso. Strangolato. Intanto scappano. Gli fregano il bancomat. Ma ogni volta che devono fare retromarcia, chiedono aiuto a un passante. E quando dopo undici ore, vengono convinte a confessare da due ragazzi - Sonny e Walter - ecco le parole che mettono a verbale. Alle 2,15 di domenica notte. Incomincia la ragazzina che ha guidato. Aspirante estetista. Forse quella con la vita più complicata. L’ex fidanzato è in carcere per un’estorsione. Dice: «Mi chiedete di come Mirco Sacher sia rimasto sul terreno. Io ricordo solo di aver impressa la sua faccia. Quindi credo fosse rimasto a faccia in su. Ricordo che forse i pantaloni erano abbassati, ma non sono sicura. Il maglione che ho addosso era suo, era in macchina e l’ho messo perché avevo freddo... Preciso che non avendo mai guidato in vita mia, per trovare l’autostrada ho girato un po’. Infatti all’inizio ho preso quella in direzione Tarvisio e poi sono tornata indietro». Sempre lei. Ora descrive la dinamica dell’aggressione: «Abbiamo pranzato a casa di Sacher. Eravamo solo noi tre. Lui ha fatto una pasta in bianco. Verso le 13.50 ha detto che doveva andare via, che ci avrebbe accompagnato alla stazione. Ma mentre eravamo già in macchina, ha detto: “No, aspettate, venite un attimo con me”». Da casa, sulla Punto bianca del ferroviere in pensione Mirco Sacher, si dirigono verso il prato, al fondo di via Buttrio. «Lì fermi - continua il verbale - Mirco ha iniziato a toccare X. Non so chiaramente dove e come, perché io ero seduta dietro. Ma so che l’ha toccata. Perché lei ha detto: “Lasciami!” Ed è uscita bruscamente dall’auto. Sono scesa anche io. Anche Mirco è uscito e X gli ha chiesto perché fossimo lì. Lui ha risposto che si era fermato perché voleva parlare un po’. Poi, scherzando e senza usare forza eccessiva, ci afferrava e tentava di portarci verso di lui». Ora. Questo è il momento in cui succede. «Ricordo che a un certo punto, Mirco ha sbattuto la testa di X contro un palo verde lì vicino. Abbiamo iniziato a dargli pugni per difenderci. Poi ci siamo trovati per terra su dei rovi e lui continuava a tentare di trattenerci, ma questa volta usando molta più forza di prima. Mentre eravamo giù, lui ha morso X sul seno sinistro, ma non ne sono sicura. Dopo questo ci siamo ritrovate entrambe a tenergli il collo, nel tentativo di fermarlo e di bloccarlo. E poi lui ha smesso di respirare, abbiamo preso paura e siamo scappate». X, cioè l’altra ragazzina, è un’aspirante parrucchiera. Il padre insegna nel suo stesso istituto. Erano emigrati all’estero, ma sono tornati in Italia quando è mancata la madre. Allora X aveva solo tre anni. Ed ecco la sua versione dei fatti: «Siamo entrati in casa di Mirco verso le 13. Abbiamo preso il caricabatterie e siamo usciti senza pranzare. Lui ci ha detto che doveva andare via e che ci avrebbe accompagnato alla stazione. Guidava, io ero seduta davanti. La strada era quella per andare al Bennet. Ma a un certo punto si è fermato su uno sterrato vicino a un prato con alberi». È la scena del delitto, descritta dalla seconda ragazzina: «Ha detto che voleva parlare un po’. Ma a un certo punto ha iniziato a provarci. Nel senso che mi ha appoggiato le mani sulle gambe, poi ha incominciato a toccare il seno. Io cercavo di allontanarlo, ma lui insisteva. Quindi io sono scesa dall’auto e anche Y, che era seduta dietro. Ma anche lui è sceso dalla macchina e continuava a cercare di toccarci. Noi continuavamo a urlargli di smetterla, ma lui insisteva. A un certo punto mi ha preso la testa e me l’ha sbattuta contro un palo di ferro. Io mi sono arrabbiata e l’ho buttato a terra. Y gli è saltata addosso, ed io anche. Ma lui cercava di alzarsi. Così l’ho bloccato con le mani a terra, Y l’ha preso per il collo. Stringevamo. Non pensavamo di stringere troppo forte perché lui continuava a parlare». Però Mirco Sacher, a un certo punto, ammutolisce. «Quando siamo scappate, mi ricordo che era viola in faccia». Sono frammenti di ricordi. Pezzi di un incubo: «Mi ha morso sul seno destro e mi ha sbattuto la testa contro un palo, non ho subito alcun altro tipo di violenza. Non ricordo se si è abbassato i pantaloni in macchina o quando è sceso». NICCOLÒ ZANCAN La Stampa 11 aprile *** Udine, una lo teneva fermo l’altra ragazza lo strangolava “Sembrava un videogame” Il pm: l’autopsia conferma il delitto. “Usarono il suo bancomat” PIERO COLAPRICO DAL NOSTRO INVIATO UDINE — Archiviato Mirco Sacher (ucciso o non ucciso? Non lo sapevano, dicono), per le due ragazze il problema è diventato rapidamente un altro: viversi il «videogame» della fuga. Lasciano l’amico di famiglia tra i rovi, con i pantaloni abbassati, e pare con «qualche colpo di tosse che abbiamo sentito». Lasciano l’umanità e se la squagliano sulla sua Punto bianca. Le due amiche simbiotiche, A. e F., quindicenni, scappano via, accelerando in autostrada: «Era come stare dentro Gta, ci siamo sentite come l’eroe del videogame». Una frase potente. È loro. E l’avrebbero detta a Sonny Rizzetto e Walter Wisdom, i due ventenni di Pordenone che, domenica notte, le hanno poi convinte a costituirsi ai carabinieri. I due, a loro volta, l’hanno raccontato ieri a una tv locale, e adesso vengono presi a verbale dalla squadra mobile. Se uno dei personaggi della fiction del videogame uccide, fugge in auto, ruba denaro, fa a pezzi quanto lo ritarda nella fuga, bisogna dire che le due nella realtà sono state più pacifiche: si sarebbero fatte una canna. Le analisi, subito effettuate, parlano di tracce di cannabis recenti. E per altro, erano entrambe già piuttosto alticce: avevano mangiato con Mirco, a casa sua, e avevano bevuto vino in abbondanza. Tutti e tre. È questo clima di festa — se consideriamo festa lo “sballare” — che potrebbe spiegare come mai A. ed F. sembrano non ricordare come siano finite, dalla casa dell’amico di 67 anni, con mezzo secolo di più, nella strada sterrata, nella tragedia di domenica. Le ultime novità di quest’inchiesta che tenta di mettere ordine nel disordine, devono partire da un dato di fatto: anche se le ragazze nel resoconto si contraddicono, una delle due sembra più vicina ai risultati dell’autopsia eseguita ieri. «Lei — ha riferito, più o meno — gli aveva afferrato le mani, e le teneva ferme, io ho messo una mano sul volto di Mirco, poi un’altra, e poi mi sono seduta sul torace…». A queste parole delle ragazze, seguono altre parole. Mettiamole in sequenza, perché “Csi” non abita a Udine, e nemmeno nel resto d’Italia. Per il procuratore dei minori di Trieste, Dario Grohmann, dall’autopsia viene «confermato con ogni probabilità» un decesso che «sicuramente è dovuto a terzi». Ed «è plausibile l’ipotesi che le ragazze lo abbiano strangolato». Per altre fonti accreditate, ma che preferiscono restare anonime, non è così: «Il soffocamento non è stato confermato dall’autopsia». Per l’anatomopatologo Carlo Moreschi, che con i medici Giovanni Castaldo e Vincenzo De Leo, ha lavorato dalle 12 a metà pomeriggio, l’autopsia «qualcosa ha chiarito», ma «faremo ulteriori accertamenti ». A Repubblica risulta questo: escluso al momento un segno tipico dello strangolamento, e cioè la lesione della cartilagine della carotide; nessun livido all’esterno del collo, ma all’interno sì; ci sono un paio di costole rotte, ma i polmoni sono integri. La sintesi migliore della situazione viene quindi espressa dall’avvocato di F., Inuccia Campo, siciliana: «Non vorrei citare Pirandello, ma le verità sono spesso due... Non si può propendere per alcuna causa certa. Non ancora, non adesso». E quel tentativo di stupro che aveva allarmato tutti? Le ragazze confermano, ma l’ipotesi sembra perdere credibilità di ora in ora. E pure i due ragazzi di Pordenone, indirettamente, la smentiscono: «Nel viaggio fatto insieme da Venezia a Pordenone — rivela Sonny — non ce ne hanno mai parlato». Quindi? «Ci hanno riferito di un insieme di cose, una ricostruzione così incredibile da sembrare soltanto fantasiosa». Ci sono indagini su un telefonino sparito, sui prelievi al Bancomat (l’ultimo è alle 9.30 di domenica), sui tentativi delle ragazze, che credevano di avere trovato il codice pin nell’auto, di prelevare qualche soldo per la fuga, senza riuscirci. Si sono fatti avanti quattro tifosi del Chievo: le hanno riconosciute, domenica pomeriggio, e ci hanno parlato: erano sole, in autostrada. Non si trovano ancora padre e figlio, che le hanno aiutate a fare retromarcia, qui a Udine. Ma anche altri accertamenti tecnici — telefonini, filmati — portano ad escludere un autista. Erano sole, nel videogame, e come dicono Federica Tosel e Luigi Francesco Rossi, difensori di A., «il setting probaborio è molto confuso. Le due amiche hanno parlato tra loro, e poi con tante persone, come distinguere vero da falso? Un accertamento sulla capacità d’intendere per noi s’imporrà». Oggi, a Trieste, udienza di convalida dell’arresto. Titolo di reato chiesto dal sostituto procuratore Chiara Degrassi: omicidio preterintenzionale. Non volevano uccidere, sono andate «al di là». Al di là dell’intenzione, certo. Ma, viene da dire, anche al di là del bene e del male: a quindici anni.