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 2013  aprile 11 Giovedì calendario

DALL’IPOCRISIA ALL’ESIBIZIONE

Quando troppo e quando niente. Nel paese nemico delle mezze misure, occhiuto e spudorato ad un tempo, la trasparenza è il più ambiguo dei traguardi, per non dire il più ingannevole. È trasparenza sapere che Raissa Skorkina, una delle graziose ospiti di Arcore, ha in casa un pappagallo di nome Silvio? O che Grillo ha battezzato il cane “Delirio”, che Bersani versa tele-lacrime per il vecchio parroco, che la cucina acquistata da Fini non entra nella casa di Montecarlo o Monti ha filmato col telefonino la carica dei carabinieri a cavallo? Ancora. Sono trasparenti il verbale, il fuorionda, il microfono aperto, il messaggino rubato, l’intercettazione, la paparazzata, il bigliettino ingrandito dai teleobiettivi, la telefonata sotto mentite spoglie, la moviola con la lettura del labiale, la delazione della ex?
E non per rendere la faccenda più problematica o irrorarla di nostalgia, ma quando la trasparenza era un obiettivo, e insieme una conquista, a Montecitorio i giornalisti indossavano il grembiule degli addetti alle pulizie; o anche spiavano Craxi da una finestrella che dava su un certo bagno, stando in piedi sulla tazza; oppure ai congressi dello scudo crociato sfoggiavano con allegra noncuranza l’universale badge “Stampa Dc”, così come ai Comitati centrali del Pci appassionatamente partecipavano a quello che D’Alema designò “il mercato nero” dell’informazione.
Mentre oggi, beh, oggi i giornalisti devono piuttosto difendersi dalla pressione immane delle immagini, dei video, delle “scoperte”, e “rivelazioni”, e “confessioni” e inaudite scemenze che gli piovono addosso; o magari devono attraversarle, a fatica, per cogliere infine quel po’ di sensato che regolarmente se ne sta nascosto dietro una fantasmagorica coltre di fuffa, sempre più spesso allestita in streaming.
Perciò si fa presto a dire trasparenza. Nell’arco di un ventennio si sono consolidate modificazioni profonde. Le logiche pervasive e contagiose del consumo. La rivoluzione tecnologica. Il moltiplicarsi degli schermi, per dire. E poi l’erosione delle culture politiche; il tramonto della rappresentanza; il regime degli spettacoli; la dittatura dell’intimità; la caduta dei confini tra sfera pubblica e privata – aiuto!
Fosse solo che i neo parlamentari del M5S diffondono la verità in diretta e poi scappano a blindarsi in un agriturismo. Fortuna che la memoria è corta e selettiva, ma forse si è persa l’idea di che cosa in omaggio alla divinità della Trasparenza – o meglio: in termini di malintesa trasparenza – negli ultimi anni si è rovesciato addosso al gentile pubblico.
Compleanni di leader con torte e candeline, agenzie di Pr che illustrano flirt di ministri con accluse foto di coppia, nozze di potenti con addobbi ecclesiali e proteste di precari in dotazione, panni sporchi e sfoggio di biancheria intima, gare di burlesque, tele-divulgazione di molestie subite in tenera età, compulsioni endoscopiche, conversioni pseudoreligiose, accessioni prostatiche, travestimenti, prove del capello in massa, gravidanze show, ostensione di cerotti, bende, denti, lividi, nudità, obesità, vanità di ogni ordine e grado.
E così l’antica riservatezza borghese, come pure l’opaca gelosia che tutelava gli arcana imperii, si sono ribaltate non tanto nel loro limpido e virtuoso contrario, la salvifica trasparenza, ma nel suo più equivoco surrogato: un esibizionismo impudico e coatto, un dissennato mettersi in vetrina e anche in vendita, comunque un sentimento oscuro e sgangheratissimo. Meglio perderlo che trovarlo.