Chiara Maffioletti, Corriere della Sera 11/04/2013, 11 aprile 2013
COSI’ LE ULTIME SENTENZE TUTELANO LE UNIONI DI FATTO (E BLOCCANO GLI ALIMENTI) —
Quel che resta di un amore... spesso ha parecchi zeri alla fine. Quando ci si separa (e, successivamente, quando poi si divorzia), la questione economica diventa uno degli argomenti principali su cui discutere e — a volte — anche litigare. Ansie, preoccupazioni, paure per il proprio futuro che si materializzano in tre parole: assegno di mantenimento (due quando si divorzia: assegno divorzile). Una cifra che cambia a seconda di una serie di variabili ma che comunque mira a mantenere il potenziale tenore di vita della coppia anche quando la coppia non c’è più.
«Il matrimonio è basato sul consenso, dopodiché ci sono dei diritti e dei doveri. Se ci si vuole limitare alla scelta affettiva allora c’è la convivenza», premette l’avvocato Annamaria Bernardini de Pace. Eppure, anche in questa materia, la giurisprudenza sembra arrivare prima delle leggi. Perché se è vero che la famiglia tradizionale è da sempre tutelata (e l’assegno di mantenimento ne è un esempio), la famiglia di fatto sta comunque venendo sempre più legittimata da sentenze come quella dell’altro giorno della Corte di Appello di Bologna secondo cui, se l’ex coniuge ha una nuova famiglia di fatto, si possono non corrispondere più gli alimenti perché il nuovo legame «altera o rescinde la relazione con il tenore e il modello di vita caratterizzante la pregressa convivenza matrimoniale».
«La giurisprudenza si è più volte espressa in questo senso ultimamente», conferma l’avvocato Cesare Rimini, ricordando ad esempio la «fondamentale» sentenza della Cassazione dell’agosto del 2011 in cui «in caso di divorzio, l’instaurazione di una famiglia di fatto, quale rapporto stabile e duraturo di convivenza, attuata da uno degli ex coniugi, elimina ogni connessione con il modello e il tenore di vita caratterizzanti la pregressa convivenza matrimoniale, ed elimina, altresì, il presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile».
Insomma, se si ha una convivenza «stabile e duratura», l’assegno dell’ex coniuge può essere sospeso. Entra «in quiescenza», e può essere contemplato nuovamente «nell’ipotesi di rottura tra i familiari di fatto». Ogni anno, quattro matrimoni su dieci finiscono in tribunale mentre si stima che in Italia ci siano circa due milioni di coppie di fatto. Troppe per far finta che non esistano. E troppe anche per non considerare che se una persona che ha un matrimonio finito alle spalle decide di ricostruirsi una vita con qualcun altro, la cosa non abbia delle implicazioni anche economiche.
«Infatti — prosegue Rimini — il principio che sta dietro a queste sentenze è che la convivenza fa cambiare il tenore di vita. E non sorprende dunque sapere che esiste chi evita la convivenza o la dissimula per sfuggire a questi orientamenti». Affitti intestati a un’unica persona, niente doppio nome sui campanelli. Cose di questo genere. Traducendo il tutto nel sentire comune, l’assegno di mantenimento versato in circostanze simili diventa spesso ancora più antipatico per l’ex coniuge che pensa: «Usa i miei soldi per vivere con un altro/un’altra».
«Il problema è che questi assegni, che dovrebbero essere considerati "assistenziali", a volte diventano invece una "rendita parassitaria"», prosegue Rimini. Termine forte ma eloquente. «Molta gente non convive con i nuovi compagni per continuare a godere di tale rendita». Come si distingue? «Se si dà un assegno all’ex moglie, che ha 30 anni, un titolo di studio e che non cerca lavoro, questo è un caso evidente di rendita parassitaria». E, come tale, può essere ridiscusso. In ogni caso, il groviglio tra vecchi e nuovi nuclei, matrimoni e convivenze non è di semplicissima soluzione, ma ciò che «è di assoluta rilevanza è il riconoscimento nella coppia di fatto di una valenza giuridica pari a quella del rapporto coniugale», come spiega l’avvocato Gian Ettore Gassani, presidente dell’Associazione degli Avvocati Matrimonialisti Italiani. Che aggiunge: «Viene confermato il principio che l’assegno divorzile può essere concesso o ripristinato solo in caso di effettivo bisogno dell’avente diritto».
Chiara Maffioletti