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 2013  aprile 11 Giovedì calendario

POLETTI: «DOPO I GIOVANI UN CONTRATTO PER GLI OVER 50»

Ci sono troppe persone che hanno più di cinquant’anni e sono state espulse dal mondo del lavoro e non riescono più a rientrare. Sta diventando un’emergenza sociale, ecco perché vorrei al più presto introdurre un contratto per il reinserimento dei lavoratori over 50». Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ieri a Torino per partecipare a «IoLavoro» e nel pomeriggio alla Piazza dei Mestieri, una scuola professionale innovativa che a settembre festeggerà i 10 anni, ha spiegato a La Stampa che «la Garanzia Giovani è ormai pronta a partire». E quindi «ora è venuto il momento di pensare a chi è troppo vecchio per lavorare e troppo giovane per andare in pensione».
Ma, cosa ha in mente per aiutare queste persone che sono circa mezzo milione?
«Il progetto va ancora studiato bene. Penso a un contratto di reinserimento per chi è ancora lontano dalla pensione e a qualche tipo di scivolo per chi invece è ormai prossimo a ritirarsi. Se avessi i soldi lo farei subito, ma prima dobbiamo trovare le risorse finanziarie per eventuali agevolazioni e tutto il resto. Ma è una cosa che questo governo vuol fare e anche presto».
Con il progetto Garanzia Giovani invece si parte subito, il 1° maggio. Ma in che modo e con quali obiettivi?
«Scriveremo alle imprese perché si registrino al portale che è già pronto e ci spieghino le loro proposte per inserire i ragazzi. Cercheremo di coinvolgerle in ogni modo, pubblicizzeremo l’iniziativa con un grande campagna su tutti i media. Finmeccanica ha già aderito con un progetto che prevede l’inserimento di 5 mila persone in tre anni, duemila all’interno del gruppo e tremila lavoreranno per l’indotto».
Si è parlato di 900 mila giovani che nell’arco di due anni riceveranno un’opportunità. Che fa? Copia Berlusconi che parlava di un milione di posti di lavoro?
«Non scherzi. Io ho parlato di opportunità di inserimento non di posti di lavoro. Se anche il 10 o meglio il 20% di quei 900 mila giovani, dopo uno stage o un apprendistato, venisse poi assunto sarei già molto soddisfatto. L’importante adesso è fare partire la macchina del lavoro, creare un punto di incontro concreto tra le aziende e i giovani».
In Germania presto entrerà in vigore il salario minimo. E in Italia?
«Lo abbiamo proposto come opzione dentro la legge delega. Il Parlamento lo affronterà ma ritengo che sia un tema che vada affrontato con cautela. Del resto se dopo 50 anni il salario minimo non c’è ancora, una qualche ragione ci sarà».
Cosa teme? Che chi è disoccupato si accontenti e non cerchi più un lavoro?
«Prima bisogna studiarne bene le conseguenze. Non voglio effetti negativi e che porti i disoccupati ad atteggiamenti passivi. Insomma non deve trasformarsi in un semplice sussidio, un assegno dell’Inps o del Comune che induca chi è senza lavoro a non cercarlo più o a continuare a non cercarlo. Bisogna, invece, che il salario minimo sia in qualche modo ancorato a politiche attive del lavoro come la formazione e la riqualificazione. Un do ut des».
Perché considera la formazione professionale così importante?
«La mia esperienza mi ha fatto capire che è fondamentale per mettersi in gioco e trovare un posto. Magari non subito ma aiuta a trovare o a crearsi un’opportunità, è un formidabile volano per l’occupazione. D’altronde mi hanno chiesto di fare il ministro e io ho accettato proprio perché ho lavorato a lungo negli enti di formazione, mi sono sempre occupato di lavoro. Mica me l’hanno chiesto perché sono un professorone o un economista...».
Parliamo di contratti a termine. I sindacati e in particolare la Cgil hanno criticato duramente la durata fissata dal governo in 36 mesi parlando di precarizzazione del lavoro...
«I sindacati proprio non li capisco. Mi scusi ma chi è più precario uno che riesce a lavorare per 36 mesi di fila con più rinnovi o chi viene assunto per 6 mesi e poi lasciato a casa perché l’azienda per evitare la causale ne prende un altro e poi un altro e un altro ancora ogni sei mesi. È così che si crea il massimo della precarietà. Dietro a casa mia, c’è un outlet e sa quanti giovani lavorano magari per sei mesi e poi mi dicono speriamo che mi richiamino ancora. Ma perché i sindacati non provano a parlare con questi ragazzi?».