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 2013  aprile 11 Giovedì calendario

IL TALENT SHOW DEI LIBRI

Quando sale sul palco Francesco è un po’ impacciato. È il primo, non se lo aspettava. Si capisce che ha paura del microfono. È arrivato a Roma oggi pomeriggio da Cagliari per partecipare al concorso. Gli piace scrivere e questa potrebbe essere l’occasione giusta per farsi notare. Il suo racconto s’intitola La pioggia nel pineto,
anche se lui, con i suoi jeans sdruciti e l’aria impacciata e sorridente, non ha niente di dannunziano, neppure vagamente. Ma è convinto che per diventare uno scrittore è meglio imparare a calcare il palcoscenico. Non è uno scherzo, ma è l’ultima frontiera dei concorsi letterari. Qualche sera fa otto aspiranti romanzieri si sono presentati in un pub romano (ma il fenomeno è nazionale) per partecipare a una gara di scrittura modello talent show. Il locale è pieno, in giro non ci sono telecamere, ma i giurati sono armati di palette come a Ballando con le stelle.
Alla fine della lettura saranno inclementi: Francesco colleziona tre cinque e un quattro. «Chiedo scusa per il mio marcato accento nuragico», dice lui timidamente, capendo che il timbro regionale lo ha penalizzato. Nella vita fa altro, lavora nel sociale, ha un compagno e vive con quattro gatti. È chiaro che questo tipo di show lo mette a disagio.
Dietro la cattedra siedono Leonardo Luccone, direttore editoriale da qualche mese di 66thand2nd e ideatore con l’agenzia letteraria Oblique di questa corrida letteraria, Andrea Caterini, scrittore e critico letterario, Carla Fiorentino e Chiara Valerio, in rappresentanza della casa editrice Nottetempo, madrina della serata, una responsabile commerciale e marketing, l’altra editor e scrittrice. Tutti crudeli quanto basta per fare spettacolo.
Archiviata l’immagine del letterato schivo, l’ultimo scoglio da superare per pubblicare un libro è diventare un performer. Gli scrittori vengono da ogni parte d’Italia (Pavia, Alessandria, Como, Avola), con il loro racconto in tasca, determinati a emergere nella speranza di arrivare a disputare la finale al Salone di Torino del 18 maggio. Il concorso 8x8 è alla quinta edizione, ogni serata prevede otto concorrenti e otto racconti di ottomila battute da leggere in otto minuti. Non sono giovanissimi per essere debuttanti (la media è oltre i trenta), sono più o meno disinvolti. Alcuni si sono preparati frequentando corsi di dizione. Carmen è il simbolo dello scrittore del futuro. Viene da una scuola di reading e legge con slancio teatrale la sua Ballata per un assassino.
Ai giurati però non piace, «troppo di maniera ». Le rimproverano l’americanismo eccessivo. Lei si schermisce, sa che i giudizi duri, in stile
Master-Chef, fanno parte del gioco, guarda la telecamera che non c’è e spiega: «Il racconto nasce da
Nebraska di Bruce Springsteen, è un’esercitazione letteraria». Curioso: quasi tutti i concorrenti dicono di scrivere per “esercitarsi”, svelando il meccanismo che sta dietro ogni palestra di talenti, compresi, sembra di capire, quelli letterari: imparare una tecnica. Comunque Carmen sulla scena funziona, sembra uscita da un romanzo gotico, faccia pallida e sguardo dark.
Il pubblico vota per alzata di mano e, come a Sanremo, il verdetto non coincide con quello della giuria di qualità. Non mancano le contestazioni. Grande tifo per il marchigiano Mix, che si è inventato una storia in cui un tamagotchi abbandonato dal padrone finisce tossico. «Sono affezionato a questo concorso, ci ho provato anche l’anno scorso», dice con la calata dolce di Matelica. È stato selezionato tra duemila manoscritti spediti a Oblique, ma non sfonda. La lettura stenta. Forse Mix, un passato nel blog Spinoza, la prossima volta arriverà più allenato.
L’esibizione dal vivo richiede scuole di perfezionamento. Le scuole di scrittura classiche non bastano più, ma vanno integrate con le cosiddette “performing arts” (previste per esempio alla nuova Factory Holden). Se la prestazione va male, si torna a casa. Lorenza, caschetto scuro e look strizzato da dominatrice, di fronte a un modesto sei della giuria (che per essere “televisiva” deve essere cattiva), azzarda: «Il problema sono io, non dovrei leggere dal vivo le mie cose». Alla fine il verdetto popolare e di qualità incoronano il vincitore: è Marco Piazza, viene da Como e ha scritto una storia di minatori ambientata in un’isola giapponese. Verrà affidato a un
editor-coach per migliorare il suo testo in vista della finale.
La televisione dà il ritmo e lo scouting letterario si adegua, allestendo provini live con scrittoriattori allo sbaraglio, neofiti rispetto ai partecipanti navigati di
X Factor, The Voice o MasterChef, senza i genitori dietro alle quinte e senza lacrime di commozione. Qualche anno fa era stata la volta del concorso Esordire,
una gara tra under quaranta arrivata alla settima edizione, curata ora da Rosaria Carpinelli. In questo genere di trovate però sono gli americani a fare da apripista. A New York e San Francisco vanno pazzi per il
Literary Death Match, una sfida tra scrittori che leggono in sette minuti i propri racconti e che prevede nello stesso pacchetto le categorie “letteratura” e “performance”, accogliendo tra i giudici anche attori, musicisti e ballerini.
Ma se prima la performance dello scrittore era una forma d’arte, adesso è un modo per aiutare le vendite. Eccoli allora gli scrittori avventurarsi in forsennati tour promozionali tra i festival, in un’instancabile ostensione del proprio corpo che ormai fa parte dell’opera stessa. Dai reading romani alla basilica di Massenzio, fino ai libri trasformati in spettacoli: Gianrico Carofiglio, al teatro con
Lamanomissione delle parole, Andrea Vitali, in tour insieme al gruppo Sulutumana, Paolo Giordano che affida
Il corpo umano alla lettura di Alba Rohrwacher o Sandro Veronesi che nel 2000 organizza con Fandango tre serate di lettura ininterrotta di Infinite Jest,
il romanzo fluviale di David Foster Wallace: «Fu un happening più che una performance. Non c’era niente di meditato, non esisteva una scaletta e nessuno aveva fatto le prove», ricorda oggi lo scrittore. Il talent show è un format televisivo. D’altra parte tra scrittori e tv è stato subito amore. Non solo con programmi innovativi tipo
Pickwick e Totem in cui Baricco, jeans e stivali country, leggeva Cormac McCarthy trasformando lo studio nello spazio sconfinato di una prateria, ma anche con Aldo Busi, bravissimo tra gli Amici di Maria De Filippi, e prima nel programma L’aquilone, sul modello della slam poetry, in cui i poeti si sfidavano davanti alle telecamere (Sanguineti, Pagliarani, Rosselli, Zeichen, Cucchi…). Erano i primi passi verso la mutazione del pubblico dei lettori in audience e dello scrittore in attore.
Tutto prevedibile si dirà. Le letteratura nasce sulla scena. I prodromi novecenteschi sono nelle serate futuriste, nelle performance surrealiste e nel grande happening di Castelporziano nel 1979, finito con il crollo del palco. Franco Cordelli, che ne fu l’ideatore insieme a Simone Carella, fa però dei distinguo: «È vero volevamo portare il pubblico all’aperto, ma oggi i festival mi lasciano perplesso: gli scrittori offrono il loro corpo in sostituzione dei loro libri. Il corpo ha annullato l’opera». Per diventare scrittore oggi bisogna avere il fisico.