12 aprile 2013
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Il tribunale di Palermo proscioglie dall’accusa di omicidio di Joe Petrosino Cascio Ferro, Passananti, Costantino e altri 13 complici
In nome di Sua Maestà Vittorio Emanuele III per grazia di Dio e volontà della Nazione Re d’Italia.
La Corte di Appello di Palermo, Sezione d’accusa, composta dai signori Nicola Nicofora, presidente, Giuseppe La Mantia e Nicola Ratti, consiglieri, il giorno 22 luglio 1911 si è adunata in camera di consiglio per deliberare sulla requisitoria del Procuratore Generale in ordine al processo contro:
Palazzotto Paolo, Ernesto Militano, Salvatore Seminara, Camillo Perico, Francesco Perico, Pasquale Enea, Giovanni Ruisi, Carlo Costantino, Giuseppe Bonfardeci, Giuseppe Fatta, Giovanni Dazzò, Giovanni Finazzo, Gaspare Tedeschi, Vito Cascio Ferro e Antonino Passananti, imputati di omicidio volontario qualificato mercé armi da fuoco, commesso in Palermo la sera del 12 marzo 1909 in persona di Giuseppe Petrosino, luogotenente della polizia di New York.
Udito il rapporto del cav. Cannada, sostituto Procuratore Generale il quale, prima di ritirarsi, lasciò sul tavolo gli atti del processo e la requisitoria scritta dal Procuratore Generale cav. Mercadante, osserva che nei primi giorni di marzo del 1909 sbarcava a Palermo Giuseppe Petrosino, luogotenente di polizia della città di New York. Egli era incaricato di una missione e primieramente doveva procurarsi qui in Sicilia una serie di informazioni e di precedenti penali riguardanti parecchi emigrati siciliani che, al di là dell’Oceano, nella grande Repubblica nordamericana, appariscono maggiormente indiziati o sospettati di essere gli autori di quei numerosi reati che per una caratteristica a loro particolare sono raggruppati sotto la denominazione di «Mano Nera», e cioè: rapine, sequestri, lettere di scrocco, getto di bombe, ecc.
Per compiere meglio la sua missione e sfuggire alle investigazioni di coloro che avevano interesse a mandare a monte il suo progetto, il Petrosino viaggiava sotto falso nome il quale peraltro egli non poteva conservare ne col console americano, ne con le diverse autorità italiane con cui era costretto a trattare, senza tener conto che fra i moltissimi emigranti rientrati in patria dall’America, non era impossibile, ne tampoco difficile, che alcuni di loro, imbattendosi in Petrosino, lo riconoscessero.
Ed invero, risulta che fu da diverse persone riconosciuto mentre frequentava l’ufficio del console americano di Palermo. Ne questa fu la sua sola imprudenza, che riesce quasi inspiegabile in un detective tanto celebrato come il Petrosino.
Sebbene il Questore di Palermo mettesse a sua disposizione degli agenti in borghese egli declinò la cortese e prudente proposta. Ne questo è tutto: pur sapendo che piazza Marina è un posto di riunione di emigranti, volle prendere dimora presso l’Hotel de France e consumare regolarmente i pasti al ristorante Oreto, tanto l’uno quanto l’altro situati nella suddetta piazza Marina.
Il 12 marzo di sera, ritornato da Caltanissetta, egli andò a pranzare all’Oreto dopo di che uscì nella piazza dove fu raggiunto e in vestito da più di un colpo.
Lunghe e accurate indagini furono svolte per lo scoprimento degli autori del delitto. Sventuratamente, la Mafia e l’omertà che travagliano e inquinano l’animo del volgo siciliano (che nell’uccisione di un poliziotto non vede che l’esercizio di una giusta punizione), la noncuranza spiccatissima che mostrò la polizia di New York nel praticare le ricerche di cui era stata incaricata dalle autorità italiane, l’insufficienza del sistema giudiziario americano che in modo superlativamente inadeguato potè dare (quando lo volle) una risposta alle nostre pressanti e numerose rogatene, tutto contribuì a mantenere il più fitto velo intorno agli autori del delitto.
Intanto, mentre venivano effettuati i fermi dei primi sospetti, le indagini venivano estese ai passeggeri che avevano viaggiato sullo stesso piroscafo di Petrosino e su quelli che erano giunti dall’America immediatamente prima e immediatamente dopo, ma l’esito delle ricerche era negativo.
A conclusione della lunga e difficile istruttoria, non sono emersi molti elementi di reità a carico degli imputati Palazzotto, Militano, Seminara, Pericò Camillo e Francesco, Enea, Ruisi, Bonfardeci, Fatta, Dazzò, Finazzo e Tedeschi, laonde per cedesti imputati deve dichiararsi non luogo a procedere per insufficienza di prove.
Contro Costantino Carlo esistono invece degli indizi di reità, ma non sembrano sufficienti per indurre la Sezione d’accusa a rinviarlo a giudizio, e lo stesso si dica per Passananti Antonino e Cascio Ferro Vito. Godesti indizi di reità, in ordine al Costantino sarebbero: la sua capacità a delinquere, la sua fuga da New York sotto mentite spoglie, il suo arrivo in Sicilia quasi contemporaneo a quello di Petrosino, la sua improvvisa fortuna, i suoi enigmatici telegrammi dai quali lo si rileva amico di due famigerati criminali siciliani residenti negli Stati Uniti e cioè: Giuseppe Morello e Giuseppe Fontana, il primo dei quali sta ora scontando una grandissima pena per ricatti e fabbricazione di moneta falsa. Tutti questi indizi che investono il Costantino sono addebitabili anche al Passananti il quale rientrò dall’America con quest’ultimo e gli fu sempre vicino durante il soggiorno in Sicilia. Inoltre, il suo nome, come quello di Costantino, figura nel taccuino rinvenuto nelle tasche del tenente Petrosino e vi è indicato come un terribile malfattore.
In ordine al Vito Cascio Ferro, che il Costantino dichiarò di non conoscere, occorre notare che contro di lui sorsero subito dei sospetti. Egli è uno dei più noti mafiosi e risulta provato che negli Stati Uniti formava, insieme ai predetti Costantino, Morello, Fontana e altri designati come capi della «Mano Nera», una sinistra congrega che era tenuta d’occhio in modo speciale dallo stesso Petrosino. È ugualmente provato che più di una volta Costantino andò a confabulare col Cascio Ferro sia a Corleone, sia a Bisacquino, mentre lo scopo e il contenuto di questi colloqui non sono stati da essi plausibilmente spiegati.
In ogni modo, come è già stato detto, siffatti indizi non sono sufficienti per ordinare il rinvio al giudizio dei tre imputati. Pertanto il Costantino, il Passananti e il Cascio Ferro devono essere prosciolti dagli obblighi assunti alla loro scarcerazione, mentre deve ordinarsi la restituzione ad essi delle somme versate a titolo di cauzione.