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 2013  aprile 12 Venerdì calendario

BONIFICHE SCANDALO, QUEI LAVORI INFINITI

«Il settore bonifiche, alme­no fino ad oggi, è stato fallimentare». È una boc­ciatura su tutta la linea quella che la Commissione parlamentare di in­chiesta sulle attività illecite connes­se al ciclo dei rifiuti, ha affidato ad una relazione specifica. E già il tito­lo la dice lunga sul contenuto. ’Re­lazione sulle bonifiche dei siti con­taminati in Italia: i ritardi nell’at­tuazione degli interventi e i profili di illegalità’. Eppure da 14 anni c’è una specifica norma, il decreto mi­nisteriale n. 471 del 1999, che fissa le procedure per l’effettuazione del­le bonifiche. Risultati? Fallimentari, come giustamente denuncia la Commissione ’Ecomafie’. In parti­colare per i 57 Sin (Siti di interesse nazionale), le aree ad altissimo in­quinamento, che proprio per que­sto richiedono interventi e finan­ziamenti nazionali. Ebbene di que­sti 57, sparsi in tutto il territorio na­zionale (non si salva nessuna regio­ne), compresi nomi ben noti come Bagnoli, Taranto, Porto Marghera, Priolo, Gela, Brindisi, Mantova, Piombino, Trieste, Brescia, solo uno è stato completamente bonificato, anche se con qualche spiacevole ’sorpresa’ (vedi altri articolo). Si tratta dell’Acna di Cengio, vero ’mo­stro’ della chimica che in più di un secolo di attività aveva ucciso un fiu­me, il Borbida, e un vastissimo ter­ritorio tra Liguria e Piemonte. Ora quell’area è stata ’ripulita’. Ma so­lo quella. «All’esito dell’inchiesta della Com­missione – prosegue il j’accuse dell’’Ecomafie’ –, il quadro risulta desolante non solo perché non so­no state concluse le attività di boni­fica, ma anche perché, in diversi ca­si, non è nota neanche la quantità e la qualità dell’inquinamento e que­sto non può che ritorcersi contro le popolazioni locali, sia dal punto di vista ambientale sia dal punto di vi­sta economico». Poi passa ad ana­lizzare i Sin che «coprono una su­perficie corrispondente a circa il 3 per cento del territorio italiano», ol­tre a 330mila ettari di aree a mare. Un pericolo reale. «Sebbene il rico­noscimento quali Sin – prosegue l’accusa – per taluni di essi sia avve­nuto diversi anni fa (talvolta anche oltre dieci anni fa), i procedimenti fi­nalizzati alla bonifica sono ben lon­tani dall’essere completati».

Non che non si sia ’lavorato’, ma lo si è fatto solo sulla carta. Il quadro che ne fa la Commissione fa cadere le braccia. «A fronte di questo evi­dente insuccesso del sistema, nu­merosi sono stati i soggetti, pubbli­ci e privati, che hanno operato nel settore, numerose le consulenze conferite per questa o quella anali­si, gli affidamenti di servizi per le o­pere di progettazione, di caratteriz­zazione, innumerevoli le conferen­ze di servizi interlocutorie e deciso­rie che hanno scandito, per lo più senza costrutto pratico, le varie fasi delle bonifiche dei Sin, in un siste­ma comunque connotato dalla frammentazione delle competenze, delle responsabilità e, in sintesi, del­l’inefficienza ».

Davvero un fallimento. Ma non so­lo per i Sin. Infatti le aree da bonifi­care, comprese quelle più piccole, sono molte di più. Secondo il rap­porto dell’Ispra i siti potenzialmen­te contaminati sono circa 15mila. Per oltre 4.300, la caratterizzazione ha accertato la contaminazione. Un numero impressionante al quale vanno aggiunti più di 1.500 siti mi­nerari abbandonati, spesso non me­no contaminati (basti pensare alle miniere di amianto). Un dato sotto­stimato, visto che molte regioni non hanno istituito l’anagrafe dei siti contaminati prevista dal decreto le­gislativo n.152 del 2006, ma anche per la disomogeneità dei criteri.

A fronte di questi numeri, il nulla o quasi. Ancora la Commissione. «I dati positivi rappresentati dall’ex ministro Prestigiacomo paiono del tutto inconsistenti se non ulterior­mente confermativi della pesantez­za e vischiosità delle procedure». Con rischi non solo ambientali ma anche criminali. «È stata proprio la magistratura – sottolinea la Com­missione – ad accendere l’interesse su taluni siti ’dimenticati’, nei qua­li le procedure o erano ferme o era­no apparentemente attive». Si cita Bagnoli, Grado, l’Ilva e i siti in Lom­bardia e Calabria. E il commento è amaro. «L’impressione che la pub­blica amministrazione, che dovreb­be garantire trasparenza ed efficacia delle procedure, si attivi concreta­mente solo a seguito dell’apertura di indagini giudiziarie, come se le situazioni di criticità emergessero solo in conseguenza delle stesse, è davvero qualcosa di inaccettabile». Insomma, «non ha senso interveni­re su questo o su quel sito (in modo più o meno discutibile) a seconda delle ’emergenze giudiziarie’ in corso».