Guido Gentili, Il Sole 24 Ore 12/4/2013, 12 aprile 2013
RADDRIZZARE IL «MURO STORTO» TRA ROMA E BRUXELLES
Un vecchio detto di derivazione edìle – «il filo a filo, il piombo a piombo, ma il muro è storto» – spiega bene la condizione dell’economia italiana nel suo rapporto con l’Europa e certi risultati che non seguono le premesse (e le promesse).
La premessa è che abbiamo fatto i famosi «compiti a casa» anticipando al 2013 il pareggio di bilancio e approvando con una larghissima maggioranza parlamentare le regole per abbassare il rapporto tra debito pubblico e Prodotto interno lordo. Insomma ci siamo (o meglio ci saremmo) rimessi in carreggiata riportando sotto controllo i conti pubblici, tanto è vero che l’Italia, assicura il premier dimissionario Mario Monti, a maggio sarà fuori dalla procedura di deficit eccessivo nella quale siamo entrati nel 2009. Risultato, aggiunge lo stesso Monti, ottenuto senza aver richiesto né una proroga dei termini né un piano di assistenza finanziaria esterna che avrebbe minato la nostra sovranità. Anzi, possiamo ora, e solo ora, beneficiare della flessibilità accessoria che ci siamo conquistati a Bruxelles per sbloccare in dodici mesi 40 miliardi di debiti bloccati dello Stato che torneranno finalmente alle imprese e alle banche, con ciò facendo crescere il Pil. Giunti a questo punto, insomma, basterà tenere la "guardia alta" sulla finanza pubblica per agganciare poi, presto, la ripresa di cui abbiamo un disperato bisogno. In Europa, dove la disoccupazione (11,4% e trend in crescita) ha raggiunto, annota la Bce, livelli «senza precedenti». E in Italia, dove gli «inattivi disponibili a lavorare» sono 3 milioni a quota 11,6%, livello tre volte superiore la media europea.
Una simile premessa fa presupporre risultati con essa coerenti. Ma i dati e le prospettive, ecco il problema, corrono per conto loro e le contraddizioni sono evidenti. A partire dalla staffilata della Commissione europea che da un lato reputa «molto probabile» l’uscita dell’Italia dalla procedura di deficit eccessivo, e dall’altro, parla di «rischio-contagio» dalla crisi italiana.
Come se i "compiti a casa" non li avessimo fatti, o fossero comunque insufficienti, nonostante che sul rapporto deficit/Pil, per fare un esempio, il nostro Paese primeggi in virtù mentre Francia e Spagna sono dietro la lavagna con i loro brutti voti. Segno che al di là delle procedure chiuse o aperte, restiamo sorvegliati specialissimi in un Europa minima ed occhiuta, dove solo il metro di giudizio appare davvero flessibile. Un tema sul quale il nuovo Governo dovrà necessariamente tornare con posizioni molto ferme.
Certo, pesa l’incertezza che deriva dal grave stallo politico-istituzionale in cui è incappata la terza economia d’Europa dopo le elezioni del 25 febbraio. Ma pesa anche il fatto che un debito altissimo (130,4% nel 2013) si accompagna ad una forte decrescita della produttività generale, una persistente fragilità del sistema finanziario e a un aumento della pressione fiscale (incompatibile con l’idea di una ripresa) ma sulla quale si è fatto leva, quasi ad esaurimento, per riportare sotto controllo i conti pubblici. E dalla quale, in un’austerità che ha schiantato la domanda interna e congelato l’economia reale, possono arrivare brutte sorprese, come nuovi arretramenti del Pil. Un quadro dove le incertezze superano le certezze, visto che anche le manovre correttive previste per i prossimi anni (2015-2017) nel rispetto del principio del pareggio bilancio cambiano di entità a seconda che verrà confermata o no l’Imu sulla prima casa. Le ipotesi possono divergere da un minimo di 20 miliardi ad un massimo di 60 nel triennio.
Non possono neanche trarre in inganno, in questi giorni, le fiammate del mercato di borsa e l’arretramento dello spread per i quali un ruolo decisivo l’ha svolto in realtà il Governatore della Banca del Giappone Haruhiko Kuroda che ha riperimetrato, allargandoli, anche i confini della politica monetaria «non convenzionale» decidendo di raddoppiare la base monetaria nell’arco di due anni per acquistare titoli di stato ed altri strumenti finanziari. Nessuno può dire, una volta esaurita la fase di euforia contagiosa, come i mercati torneranno a valutare le condizioni dell’eurozona e in particolare dei paesi (come l’Italia) dove al problema del finanziamento dell’alto debito sovrano fa riscontro l’assenza della crescita ed una prospettiva politica incerta, che per definizione è nemica dello sviluppo.
Conviene dunque restare coi piedi per terra, prendendo una volta di più atto che i risultati contano più delle premesse (e delle promesse). E che i conti cominceranno a tornare quando, per esempio, rotta la permanente spirale burocratica, i crediti delle imprese nei confronti dello Stato torneranno visibili nelle casse delle aziende. Questo compito deve ancora essere svolto.
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