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 2013  aprile 12 Venerdì calendario

ATENE FUORI DALL’EURO BRUCEREBBE METÀ DEL PIL


Frontiere chiuse, bancomat bloccati, barriere all’esportazione di capitale, aerei cargo carichi di nuove dracme per sostituire i vecchi euro: gli scenari di un’uscita della Grecia dall’unione economica e monetaria sono stati ampiamente studiati, da quando il governo di Atene si è ritrovato di fatto in default. Nessun trattato consentirebbe l’uscita o l’espulsione di un Paese dalla Zona Euro. Secondo alcuni giuristi, per tornare alla Dracma, la Grecia dovrebbe prima lasciare l’Unione europea, senza certezze di un rapido rientro. Ma la drammaticità della situazione finanziaria – in particolare nel biennio 2011-2012 – ha spinto diversi governi europei a preparare piani di contingenza per una Grexit. L’ex premier socialista, George Papandreou, dopo essere stato cacciato dalla coppia Merkel-Sarkozy per aver osato immaginare un referendum sull’Euro, ha ammesso di aver studiato questa opzione. Vantaggi? Per alcuni economisti, senza l’Euro la Grecia potrebbe lanciarsi in una svalutazione competitiva e recuperare competitività senza sottoporsi alla dura cura di austerità europea. Confrontata al sesto anno di recessione e a una disoccupazione al 25 per cento, è una prospettiva allettante. Ma, secondo uno studio della banca svizzera Ubs, il costo per un’economia "debole" – non solo Grecia, ma anche Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia – sarebbe enorme: solo nel primo anno andrebbe bruciato tra il 40 e il 50 per cento di pil, con una perdita pro capite tra i 9.500 e gli 11.500 euro. Tra effetto contagio e panico sui mercati, la fondazione tedesca Bertelsmann Stiftung ha calcolato che una Grexit costerebbe 674 miliardi di qui al 2020 alle 42 più importanti economie al mondo. Se uscissero anche Spagna e Portogallo, il conto globale salirebbe a 7,9 trilioni.