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 2013  aprile 12 Venerdì calendario

LADY DI FERRO ALLA COREANA


Sua madre è stata uccisa da un sicario della Corea del Nord che in realtà mirava al padre. Suo padre, il dittatore Park Chung-he che ha governato la Corea del Sud per 18 anni con pugno di ferro, è stato colpito a morte cinque anni più tardi (1979) dal capo dei suoi servizi segreti. Lei, Park Geun-Hye, cresciuta nella Casa Blu (la Casa Bianca coreana) tra agi e dolori, figlia ora sessantenne dei Park, è stata eletta lo scorso dicembre (prima volta di una donna) sullo scranno più alto di una delle nazioni più maschiliste d’Asia. Rappresentante dell’ala più dura del partito conservatore, fama di intransigente decisionista, tra le sue promesse di candidata ne spiccavano due: quella di ridurre il divario crescente tra ricchi e poveri in una società stremata dal consumismo e quella di riportare la pace nella penisola coreana dopo cinque anni di tensioni.
Ma non sempre la storia segue i piani dei leader. A poche settimane dall’elezione, la signora Park si è ritrovata a fare i conti non solo con scelte di ministri vastamente impopolari che ne hanno minato la credibilità interna ma anche con il primo test nucleare voluto da Kim Jong Un, il nuovo giovane leader della Corea del Nord, nipote di Kim II Sung, padre della patria nonché mandante dell’omicidio della madre di Park.
Negli ultimi mesi la Corea del Nord ha drammaticamente aumentato il numero delle minacce belliche contro la Corea del Sud e gli Stati Uniti, suoi alleati, e ha dichiarato nulla la tregua firmata nel 1953 tra i due Paesi in stato di guerra dal 1950, quando i nordcoreani invasero la penisola meridionale con l’assenso di Russia e Cina e furono respinti da un esercito Onu sotto il comando dell’americano Douglas Mac Arthur. La rottura dell’armistizio equivale a una dichiarazione di guerra. A sottolineare la gravità della situazione ci hanno pensato i media di Stato. Hanno annunciato che a partire dal 10 aprile, anniversario della nascita di Kim II Sung, non potrà essere garantita l’incolumità delle ambasciate a Pyongyang e hanno invitato gli stranieri presenti in Corea del Sud a lasciare il Paese. Nessuno ha fatto ancora le valige ma pare che Washington, Seul e perfino Tokyo abbiano pronto un piano di risposta ad una provocazione armata di Pyongyang.
Secondo gli analisti i toni particolarmente aggressivi utilizzati dal giovane (30 anni) e panciuto dittatore in erba - un uomo vanitoso e amante del lusso - sono sia il tentativo di consolidare l’appoggio dell’esercito al suo regime sia la risposta all’inasprimento delle sanzioni imposte dall’Onu all’indomani del terzo test nucleare del Paese. Questa volta anche la Cina, fedele alleato di Pyongyang, le ha approvate nel tentativo di convincerla a desistere dai suoi piani nucleari. Ma la Corea del Nord non ha apprezzato, anche perché a farne le spese è stata soprattutto l’elite a caviale e champagne che ha subito il taglio all’importazione dei beni di lusso e il congelamento di alcuni asset finanziari depositati in banche estere.
Mentre rimugina sull’azione militare e minaccia di colpire anche gli Stati Uniti, Pyongyang ha prima deciso di non permettere più l’ingresso a merci e lavoratori sudcoreani nel distretto di Kaesong, un’area industriale a sviluppo congiunto nata per consentire l’avanzamento delle relazioni tra i due Paesi, e ha poi ritirato tutti i suoi 53 mila lavoratori. Certo la fabbricazione di scarpe da ginnastica e schermi Lcd mal si abbina all’escalation del clima di guerra. Però Kaesong non era solo un ottimo fornitore di manodopera a basso costo per il Sud ma anche un’opportunità unica di far entrare denaro fresco nelle tasche vuote dei cittadini del Nord, afflitti da carestie ricorrenti. «La sospensione di Kaesong sancirà la fine definitiva della "politica del sole"», ha detto Leonid Petrov, studioso della Corea del Nord all’Università nazionale australiana: «Il Nord ha inviato un messaggio a lettere cubitali: i programmi nucleari non sono in vendita e non sono negoziabili».
Dal 1998 al 2008 Seul, prendendo spunto dalla favola di Esopo, in cui il sole batte il vento nella gara a chi riesce a far togliere il mantello a un viandante, aveva tentato di stringere una relazione proficua con il Nord esibendo un atteggiamento positivo, con aiuti economici e ampia tolleranza, nella speranza che conducesse all’apertura economica del Paese e alla caduta del regime autarchico. Ma il test nucleare del 2006 e la pretesa di Pyongyang di ricevere assistenza economica senza offrire nulla in cambio hanno portato l’ex presidente, Lee Myung-bak, dello stesso partito conservatore di Park, a sospendere gli aiuti umanitari e a dichiarare la "politica del sole" un fallimento. Al contrario, la Lady di ferro d’Asia - una leader definita dai detrattori coreani "donna non donna" perché mai sposata e senza figli - sperava di adottare un atteggiamento più morbido. Prima delle elezioni aveva detto di volere «gettare le basi per un’era di unificazione armoniosa, durante la quale tutti i coreani avrebbero potuto condurre vite più libere e prospere». L’aveva chiamata "la politica della fiducia" ed era convinta che avrebbe portato la penisola alla riunificazione. Nel suo unico tweet da presidente aveva sorpreso chi conosce la sua storia personale quando aveva ricordato l’anniversario dell’affondamento della nave da guerra Cheonan da parte della Corea del Nord e la morte dei suoi 46 marinai con un richiamo alla pace: «Questo sacrificio non è stato invano. Per prevenire ulteriori incidenti e rafforzare la sicurezza vorrei creare una penisola pacifica».
Trovare il perfetto equilibrio tra pace e guerra, tra Usa (principale garante della sua sicurezza) e Pechino (principale partner commerciale), sarà la difficile sfida che attende questa Margaret Thatcher asiatica nei suoi prossimi mesi di governo. Di lei dicono che è altezzosa e aristocratica al punto da mangiare l’hamburger con coltello e forchetta e preferisce pranzare e cenare da sola anziché con i propri collaboratori. Dalla sua ha però non solo l’eredità di un padre che ha strappato la Corea alla povertà al prezzo dei diritti umani calpestati, ma anche una buona conoscenza del mandarino e, a differenza del predecessore Lee, una totale disponibilità verso la Cina. Un punto a suo favore. Perché se una soluzione alla crisi di questa martoriata penisola ci sarà, passerà sicuramente da Pechino. Se non fosse per le mire espansionistiche della Cina e la sua esigenza di tenersi un cuscinetto amico a protezione di una parte dei confini orientali, il problema Corea sarebbe risolto da tempo. Invece, a dispetto di quanto sbandierato dalla stampa Usa, la Cina non ha al momento nessun vantaggio nel modificare la sua politica di sostegno all’alleato. Un conto è mal sopportare le boutade atomiche dei Kim, un altro schierarsi apertamente con Washington. L’unificazione coreana porterebbe l’esercito Usa a 50 chilometri dai suoi confini. Si tratta di un’eventualità da scongiurare, soprattutto in vista di quella che sarà la grande lotta politica di questo secolo: quella tra Cina e Usa per la conquista delle terre che si affacciano sul Pacifico, il nuovo Nuovo Mondo.