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 2013  aprile 12 Venerdì calendario

A PAPUA È CACCIA ALLE STREGHE

Troppo tardi. Quando la notizia ha rag­giunto suor Gaudentia Meier a Mendi, il delitto era già avvenuto da giorni. Nor­male in Papua Nuova Guinea, una “nazione­arcipelago”, dove villaggi popolosi e sperduti sono circondati dal mare d’acqua o di monta­gne. Le ultime due “sanguma” (streghe) sono state massacrate nell’isola di Bougainville, a centinaia di chilometri da dove l’anziana reli­giosa e infermiera vive ormai da 44 anni. Al la­voro quotidiano in clinica, dove si occupa dei malati di Hiv, “Sister Gaudi” – come la chiama­no – abbina un’attività “informale” di lotta alla superstizione. Che in questo angolo remoto di Oceania assume connotati assurdamente bar­bari. La caccia alle presunte streghe non è so­lo una pratica abituale ma cresce di intensità, anno dopo anno.
Tanto che anche il governo locale ha finalmente ammesso il problema. E incaricato una Com­missione di occuparsene. Suor Gaudentia, il vescovo di Kundiawa, monsignor Anton Bal, il sacerdote e medico polacco Jan Jaworski e il prete antropologo Philip Gibbs lo denunciano da tempo. E lottano per sradicare il dramma. Frutto non solo del sopravvivere di tradizioni arcaiche in un contesto di isolamento, ma di una rabbia sociale sempre più accentuata.
«L’irrompere della modernità – spiega l’antro­pologo Gibbs – ha portato i bimbi sui banchi di scuola. Quando finiscono, però, non trovano lavoro». Tra il 70 e il 90 per cento degli under 25 è disoccupato. Lo “steam” (un liquore casalin­go) e le droghe dilagano. Suor Gaudentia chia­ma “marijuana boys”, gli squadroni di giova­nissimi che individuano, catturano, torturano e assassinano le presunte “streghe”, spesso do­po un inquietante processo pubblico. Così è accaduto alle vittime di Bougainville, decapi­tate al termine di tre giorni di tormenti. Gli ac­cusatori volevano estorcere loro la confessio­ne di aver ucciso con qualche misteriosa po­zione un maestro del villaggio. Nelle zone più remote dell’arcipelago, la morte di un espo­nente della comunità non viene vista come il risultato di una malattia o un incidente, ma come “colpa” di qualcuno. In genere di una strega.
Non è folclore. Una legge del 1971 riconosce l’esistenza della stregoneria e la punisce, con­dannando però anche le violenze verso chi la pratica. Quest’ultima parte– dato un tasso di impunità del 97 per cento – è rimasta lettera morta: la polizia papuana – come documenta l’Onu – ha bassissimi salari e la corruzione è diffusa. Non solo. Spesso, le autorità sono com­plici. Sia per superstizione, sia perché i “po­grom” sono un modo di scaricare la furia delle gang giovanili. Su innocui capri espiatori. Le presunte streghe sono, infatti, quasi sempre persone emarginate, fragili, povere. E in gene­re sono donne sole, senza cioè – in un contesto profondamente maschilista – un marito o un parente adulto che possa difenderle. Le stime più caute parlano di almeno 150 omicidi lega­ti alla “sanguma” all’anno. Secondo l’ufficio del vescovo Bal, però, le vittime sono molte più dei morti.
Almeno il 10-15 per cento della popolazione è stata costretta ad emigrare per le persecuzioni. Da qui l’idea di creare una rete di parroci che “disinneschino” la violenza, spiegando ai pa­renti, dopo un lutto, le reali cause delle morti. Proprio come suor Gaudentia, monsignor An­ton è convinto che solo con un’azione di edu­cazione sia possibile chiudere il drammatico capitolo della “sanguma”.