Silvio Piersanti, il Venerdì 12/4/2013, 12 aprile 2013
COREA. IL PICCOLO DITTATORE PRIGIONIERO DEI SUOI GENERALI
TOKIO. I servizi segreti delle maggiori potenze mondiali stanno lavorando a pieno regime per individuare l’oggetto della riunione delle massime autorità nordcoreane ordinata per una data segreta dal leader Kim Yong-Un con un preoccupante unico punto nell’ordine del giorno: “Prendere una decisione importante per l’avanzata vittoriosa della rivoluzione coreana”. La notizia è stata trasmessa dalla Korean Central News Agency (Kcna) a fine marzo, e da allora non si è saputo nulla di più in proposito.
Intanto il leader nord-coreano reitera gli ordini di puntare gli 800 missili dell’arsenale nazionale (Musudan, Nodong, Taepodong 1 e 2, in ordine di gettata, da 2.000 a 8.000 km) sugli obiettivi strategici occidentali: le basi Usa nella terraferma giapponese e nell’isola di Okinawa, a Guam e nelle Hawai. Da febbraio, quando a seguito del terzo test nucleare nordcoreano sono scattate nuove e molto più drastiche sanzioni contro il regime di Pyongyang, la Kcna continua a lanciare comunicati bellicosi. Cita anche l’apice dello splendore, uno dei tanti titoli autoassegnatisi dal dittatore: “Nel caso di una sprezzante provocazione da parte degli Usa, le forze armate nordcoreane colpiranno spietatamente il territorio statunitense e le loro basi militari nel Pacifico... È venuto il momento di regolare i conti con gli imperialisti americani”.
Ciò che ferisce l’amor patrio del Giovane Leader è il ripetuto volo dei B-2 americani (spesso erroneamente indicati come B-52) - invisibili ai radar e attrezzati per portare bombe atomiche - nei cieli sudcoreani, ai limiti dello spazio aereo nordcoreano, durante le prolungate e intense manovre militari compiute congiuntamente ogni anno da Stati Uniti e Corea del Sud a cui partecipano 10 mila dei 28.500 soldati americani di stanza in Corea del Sud e diverse decine di migliaia di soldati sudcoreani.
Nel corso delle manovre che continueranno sino al 30 aprile, due B-2 decollati dal Missouri sono entrati nello spazio aereo sudcoreano senza essere avvistati dai radar e hanno centrato una piccola isola al largo delle coste sudcoreane con due bombe inerti da esercitazione. Secondo quanto ha diramato la Kcna, “Kim Yong-Un considera quei voli ben più di una mera dimostrazione di forza: sono la prova innegabile che gli americani intendono far deflagrare un conflitto nucleare a ogni costo”.
Un portavoce del Supremo Comando dell’esercito nordcoreano ha rincarato la dose, dichiarando: “Non possiamo tollerare che gli Usa continuino a condurre manovre militari nucleari chiaramente programmate per intimidirci e farci apparire come il loro bersaglio. Gli Usa farebbero bene a non dimenticare che la Base Andersen a Guam e le basi americane in Giappone sono tutte nel raggio dei nostri missili di precisione”. Ma forse, a sua volta, il leader nordcoreano farebbe bene a non dimenticare che gli Stati Uniti possono schierare oltre ai B-2 anche l’intera settima flotta, forte di 100 navi che possono essere operative entro poche ore, a cui si è ora aggiunta la Uss Freedom, nave da guerra realizzata con tutta la tecnologia bellica più avanzata: è invisibile ai radar, micidiale contro sottomarini e mine, può lanciare bordate di missili “in grado di distruggere bersagli a 1.900 chilometri di distanza con chirurgica precisione” ha replicato un alto funzionario del Pentagono.
I B-2 prendono parte alle manovre congiunte con le forze sudcoreane da anni, ma questa volta il Pentagono ha deciso di pubblicizzare la loro presenza nei cieli sudcoreani per sottolineare l’impegno degli Usa a difendere il fedele e strategico alleato dai temuti attacchi nordcoreani. “Se il nemico ci minaccia con armi nucleari, noi risponderemo con attacchi nucleari ancora più devastanti” ha precisato il portavoce nordcoreano. Il segretario di Stato americano Chuck Hagel ha prontamente replicato che gli Stati Uniti non si fanno certo intimorire dalle minacce di Pyongyang, e comunque sono pronti a rispondere adeguatamente “in qualsiasi eventualità”.
Ma più che degli affondi verbali del leader nordcoreano, gli analisti ritengono che il presidente Obama sia seriamente preoccupato dalla riuscita messa in orbita, nel dicembre scorso, di un satellite nordcoreano trasportato da un razzo di lunga gettata: un successo tecnologico che rende credibili le minacce di invio di razzi sul territorio americano. Circa due mesi dopo il lancio del satellite, la Corea del Nord ha portato a termine con piena riuscita un test nucleare, ignorando la promessa di durissime sanzioni economiche da parte dell’Onu. Salvo poi reagire con rabbia alle sanzioni, dichiarando nullo l’armistizio firmato con la Corea del Sud il 27 luglio 1953 dopo tre anni di guerra (armistizio peraltro violato più di 1,2 milioni di volte), tagliando il filo rosso della linea telefonica diretta con Seul e paralizzando gli apparati mediatici della Corea del Sud con un forte attacco di hacker. Pyongyang ha ribadito di ritenersi ancora in guerra contro la Corea del Sud e pertanto risolverà ogni controversia con essa secondo “i regolamenti validi in guerra”.
Da fonti dell’intelligence della Corea del Sud, si è appreso che in caso di attacco il Paese deve resistere soltanto sette minuti, il tempo necessario ai missili delle forze armate sudcoreane e dei suoi alleati per polverizzare la Corea del Nord. Informazione tutt’altro che rassicurante per la popolazione sudcoreana: Seul, la avveniristica e pulsante capitale, sede del governo da poco presieduto dalla signora Park Geun-Hye, è a solo un’ora di macchina dalla zona demilitarizzata che divide le due Coree.
“Missili intercontinentali, e vari altri missili, tutti già puntati verso bersagli strategici, sono ora armati con testate nucleari più leggere e diversificate, e sono tutti in stand-by” ha gridato ad una immensa folla di dimostranti antiamericani il generale dell’esercito nordcoreano Kang Puyo-Yong nei giorni scorsi. E ha proseguito: “Quando i nostri missili cadranno su Washington, l’intera città, sede di tutti i mali, scomparirà in un mare di fuoco”. Il grande interrogativo a cui stanno cercando di dare una risposta gli 007 sudcoreani, giapponesi e statunitensi, ma anche cinesi e russi, è se Pyongyang sia veramente in grado di produrre mini-bombe atomiche con cui armare i propri missili a media e lunga gittata. Sarà questa l’informazione necessaria per capire se le parole di fuoco del generale Kang e del Giovane Leader siano spacconate diplomatiche per rinforzare una posizione personale del dittatore, che ad alcuni appare traballante, o se invece siano da prendere in seria considerazione e si debba predisporre un piano di difesa da un attacco atomico a breve scadenza.
Una foto che ha fatto il giro del mondo mostra il genio dei geni militari, un altro dei suoi roboanti titoli, attorniato da anziani e superdecorati generali “mentre studia” spiega la didascalia ufficiale “i piani dell’attacco, con alle spalle grandi mappe con gli obiettivi da colpire in Usa”. Un analista sudcoreano molto addentro agli affari di Pyongyang, che chiede di rimanere anonimo, giudica quell’immagine emblematica della vera situazione in cui si trova il Giovane Leader: come prigioniero, circondato dai suoi generali che lo inchiodano a un ruolo di dittatore guerrafondaio, impedendogli di vivere appieno il suo amore per la civiltà occidentale, quella americana in particolare, con la sua letteratura, il suo rock, i suoi musical, i suoi Disneyland, la libertà, le belle donne, gli sport. Tra le misure comprese nelle sanzioni c’è anche il divieto esteso a tutte le nazioni di esportare nella Corea del Nord automobili di lusso e da corsa, yacht e gioielli costosi. Si direbbero sanzioni ad personam per far soffrire Kim, per alimentare il fuoco del suo desiderio di vivere in un mondo diverso. “Sono sanzioni che mordono, e mordono duro” ha commentato l’ambasciatore Usa all’Onu, signora Susan Rice.
Anche la Cina, il grande alleato e benefattore storico del popolo nordcoreano, sembra voler prendere le distanze. Pechino stessa ha chiesto un’applicazione immediata e rigorosa dell’ultima raffica di sanzioni Onu ed esige che Pyongyang torni al tavolo dei colloqui con Pechino, Mosca, Washington, Tokyo e Seul per trovare un accordo che veda il piccolo Paese comunista rinunciare agli armamenti atomici in cambio di aiuti economici. “Basta chiacchiere, ora servono azioni concrete” ha tagliato corto l’ambasciatore cinese. E per dare un esempio di concretezza, Pechino ha congelato il rilascio dei visti ai circa 30 mila frontalieri nordcoreani che giornalmente attraversano il 38° parallelo per andare a lavorare in Cina. È una pesante perdita di valuta pregiata per la Corea del Nord perché i tremila dollari di stipendio degli operai vengono incassati direttamente dal governo di Pyongyang. La Cina ha anche espresso il proprio disappunto per la recente decisione nordcoreana di riaprire il reattore da 5 megawatt di Yongbyon che era stato chiuso nel 2007 in cambio di aiuti. Il Giovane Leader ha giustificato la decisione affermando che “gli armamenti nucleari sono un deterrente alla guerra e costituiscono la base della pace” Senza l’appoggio di Pechino, l’enfant gaté della politica mondiale si sente fragile. Forse pensa a un possibile suo futuro lontano dal rigido mondo nordcoreano, un esilio che si prospetterebbe dorato grazie alle immense ricchezze personali da lui depositate presso le maggiori banche di Shangai, come è stato rivelato dai media cinesi.
Le intenzioni di belligeranza a tutti i livelli della Corea del Nord sono state confermate a fine marzo dal secco rifiuto di firmare il documento conclusivo con cui le Nazioni Unite intendevano fissare alcuni limiti al mercato internazionale delle armi che si ritiene pari a 60 miliardi di dollari annui. Significativamente, hanno seguito l’esempio dei nordcoreani l’Iran e la Siria. Il vice ambasciatore nordcoreano al Palazzo di vetro Ri Tong-Il , ha motivato il rifiuto, dichiarando: “Era un testo pericoloso che lasciava ai grandi esportatori di armi la possibilità di abusi politici... mentre molti Paesi hanno il diritto di importare armi per difendersi” Per essere approvato, il trattato avrebbe richiesto l’unanimità dei 193 stati-membro dell’Onu. Iran e Corea del Nord sono entrambi sotto un embargo Onu a causa dei loro programmi di sviluppo nucleare, un campo in cui i due Paesi collaborano intensamente e, a quanto pare, proficuamente, con grande preoccupazione delle potenze occidentali. Il trattato è stato poi portato avanti all’assemblea plenaria , dove non è obbligatoria l’unanimità, e approvato nonostante il voto contrario dei tre Paesi e l’astensione della Russia. C’è veramente pericolo di una guerra nucleare o la Corea del Nord come al solito bluffa?, si domanda l’opinione pubblica mondiale. Come tutti i giocatori di poker sanno, il bluff tanto più funziona, quanto più sei ricco. E la Corea del Nord è poverissima.