Stefano Folli, Il Sole 24 Ore 12/4/2013, 12 aprile 2013
PD-PDL, TRE SCRUTINI PER FARE IL PRESIDENTE. DAL QUARTO CAMBIA LO SCENARIO
Il Partito democratico si avvicina alla data fatidica del 18 aprile in condizioni di profondo malessere interno. Secondo certe aspettative, questi avrebbero dovuto essere i giorni del massimo splendore, lo zenit della capacità d’influenzare gli eventi. Prima la presidenza del Consiglio e poi il ruolo di "king maker" nella partita del Quirinale. Niente di più lontano dalla realtà. E fa un certo effetto sentire qualcuno (Franceschini) che pronuncia il termine «scissione»: soprattutto perché non sembra una citazione priva di senso o del tutto irrealistica.
Allo stesso modo colpiscono le frasi taglienti di Rosy Bindi, non certo una tipica moderata, che criticano la linea ondivaga di Bersani, respingono l’idea dura a morire dell’esecutivo «di minoranza» e chiedono di aderire alla ricetta di Napolitano per un governo cosiddetto «di scopo» (pochi punti programmatici chiari).
In altri termini, lo scenario cambia in fretta. Nell’altro accampamento, quello del centrodestra, Berlusconi se ne sta alquanto silenzioso. Gode di un vantaggio tattico e rimane in attesa. Certo, non rinuncia a qualche azione di disturbo. Lasciar filtrare l’indiscrezione sulla possibile candidatura di Bersani al famoso Colle, appartiene al novero delle astuzie, sia pure di corto respiro. È o era soprattutto un modo per gettare ulteriore scompiglio nel campo del Pd. E infatti Bersani, in modo più che opportuno, si è affrettato a smentire ogni ambizione.
Se avesse lasciato aperto uno spiraglio, sarebbe precipitato nel frullatore politico-mediatico. Così facendo, può continuare la sua corsa in salita. Che non sarà resa più facile dalla manifestazione di sabato «contro la povertà»; a meno che non si mettano in campo proposte concrete, iniziative nuove e sorprendenti per riavviare i meccanismi della crescita. Un’impresa che non sembra alla portata di questa classe politica.
Per restare al Quirinale, il sentiero si va stringendo. Sia il Pd sia il Pdl hanno a disposizione tre votazioni, le prime, per eleggere un presidente della Repubblica in grado di rispecchiare un certo equilibrio, nel solco del settennato di Napolitano: un presidente «di garanzia», come viene definito. Poi, dalla quarta votazione, con la maggioranza assoluta, comincia un altro capitolo, di cui potrebbero essere protagonisti i Cinque Stelle. E questa è una prospettiva che preoccupa Berlusconi, ma spaventa parecchio i democratici. Perché fare di Grillo l’architetto del Quirinale significa per i vecchi partiti rinunciare in partenza a ogni residuo ruolo di primo piano.
Tre votazioni, allora, a partire dal 18 aprile. E c’è da scommettere che, se maturerà una convergenza fra Pd e Pdl sul nome del candidato comune (uomo o donna), ciò accadrà alla vigilia del seduta del Parlamento, forse proprio nelle ultime ore utili.
Un accordo del genere è ancora possibile, in nome delle rispettive convenienze. Perché si evitino gli errori tipici delle fasi convulse e confuse. Non a caso è Massimo D’Alema a prendersi la briga di ricucire il rapporto con Matteo Renzi, dopo la sciocchezza compiuta da chi ha escluso il sindaco fiorentino dai "grandi elettori" della Toscana. Nonostante tutto, la scissione non è vicina e Renzi sembra sincero quando ribadisce di voler restare nel centrosinistra. Ma i partiti si sfilacciano talvolta anche al di là della volontà dei singoli. D’Alema lo ha capito, altri nel Pd forse no.