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 2013  aprile 12 Venerdì calendario

Notizie tratte da: Massimo Franco, La crisi dell’Impero Vaticano, Mondadori Milano 2013.Giovanni Paolo II chiese all’allora sovrano saudita se fosse possibile costruire in Arabia Saudita una chiesa cattolica

Notizie tratte da: Massimo Franco, La crisi dell’Impero Vaticano, Mondadori Milano 2013.

Giovanni Paolo II chiese all’allora sovrano saudita se fosse possibile costruire in Arabia Saudita una chiesa cattolica. La risposta, secca, fu: «No», perché l’Arabia era la terra santa del profeta Maometto. Il pontefice polacco provò a insistere, ricordando che a Roma era stata eretta una moschea. Ma il regnante saudita lo rimbeccò con crudele sottigliezza: «È stata eretta a Roma, non dentro la Città del Vaticano» [134-135]

In Africa nel XX secolo il numero dei cristiani è cresciuto del seimila per cento, passando da otto milioni e mezzo a 516 milioni di persone. Nel 1910 i cristiani erano il 9 per cento della popolazione africana; nel 2010 il 63%. Secondo il rapporto del Pew Forum on Religion & Public Life statunitense pubblicato nel luglio del 2012, è una crescita destinata a continuare: al punto che ormai la Nigeria ha più protestanti della Germania, dove pure è nata la Riforma.

Strategia della trincea. «Nella volontà della Chiesa italiana di avere “suoi” ministri, “suoi” parlamentari, “suoi” medici, “suoi” magistrati e “suoi” giornalisti si indovina l’autopercezione del cattolicesimo come minoranza. Una minoranza minacciata da uno Stato considerato inesorabilmente ostile, e in continua evoluzione antireligiosa; e avversata da una magistratura accusata di legittimare con alcune sue sentenze comportamenti che vanno contro gli insegnamenti cattolici proprio sui “valori non negoziabili” additati per la prima volta nel 2012 dall’allora cardinale Ratzinger. Di qui alla prospettiva del “ghetto” la strada può rivelarsi più breve di qualsiasi previsione» [122]

Nella primavera del 2012 la Corte di Cassazione stabilì che «la Dc formalmente non era mai stata sciolta; meglio, lo era stata ma in modo formalmente illegittimo. Un gruppo di ex aveva dunque convocato il consiglio nazionale di quel partito ormai fantasma. Aveva riaperto le iscrizioni. E nel novembre del 2012 aveva indetto una sorta di congresso della resurrezione, ratificando la nomina del nuovo segretario, Gianni Fontana, un veronese che era stato ministro dell’Agricoltura in uno degli ultimi governi della Prima repubblica. Voleva essere un’operazione di ritorno al centrismo, ma senza appoggiare il governo Monti, anzi: criticandolo aspramente per la sua agenda di politica economica considerata troppo depressiva, e prendendo le distanze dal centrismo di Casini, grande alleato del presidente del Consiglio [116]

«Come sostiene De Rita, la Chiesa non è mai “aut aut” ma “et et”» [115]

«Come scrisse in un articolo sul settimanale statunitense “Life” il 4 settembre 1944 il diplomatico William Bullit, “il Vaticano è il fattore permanente della politica italiana”». [114]

«In questi anni, ogni interlocutore istituzionale del governo di Roma sapeva che scegliere come referente la Cei o la segreteria di Stato significava entrare in tensione con l’altro; che ogni intesa con i vescovi poteva trovare una resistenza o una controdindicazione Oltretevere, e viceversa, perché lo scontro all’interno dei vertici ecclesiastici ha significato in primo luogo un difetto di comunicazione, se non una vera incomunicabilità, fra di loro; ma anche contraccolpi esterni moltiplicatori di equivoci e timori. Le “correnti” nella Chiesa hanno pesato non soltanto sull’evoluzione del mondo cattolico ma sullo Stato italiano, scaricandogli addosso le loro tensioni» [113]

«Per l’Occidente, il comunismo era un nemico stabilizzante» [107]

«Gotti Tedeschi era stata una delle persone scelte dai vertici vaticani per tentare il salvataggio dell’Ospedale San Raffaele di don Luigi Verzé. Gotti era stato l’uomo che aveva preparato un rapporto riservato per risolvere il problema della tassazione degli immobili della Chiesa, sui quali l’Unione Europea chiedeva all’Italia provvedimenti rapidi, minacciando multe milionarie in euro. Gotti aveva plasmato con altri la legge di riforma dello Ior, per accompagnare il Vaticano nella “lista bianca” degli stati affidabili sul piano internazionale. Ancora, era uno degli editorialisti di punta dell’“Osservatore romano”, con i suoi commenti controversi sui tassi calanti della natalità come una delle cause principali della crisi economica e del declino dell’Occidente. Ed era spesso ospite alle cene organizzate nell’attico in via della Conciliazione da Marilù e Gaetano Rebecchini, ex parlamentare di Alleanza Nazionale e soprattutto creatore col banchiere di un “Centro di orientamento politico” considerato un punto di riferimento per l’ortodossia cattolica e il centrodestra» [62]

«Se si vogliono ritirare soldi con il bancomat all’interno del Vaticano, le istruzioni, in varie lingue, cominciano con il latino» [52]

In un’inchiesta di Tommaso Cerno sull’”Espresso” «si spiegava che lo Ior, fondato nel 1942 da Pio XII, in piena seconda guerra mondiale, ha circa 33 mila clienti, la maggior parte in Europa. Quasi tremila sono africani e sudamericani. E il suo patrimonio è stimato intorno ai 5 miliardi di euro. Ma dietro queste cifre si celavano più stranezze che normalità bancarie. Il vaticanista John Allen si è preso la briga di spiegare perché a suo avviso la cosiddetta banca del papa “non esiste”.
«Intanto, opera come un’istituzione no profit, al contrario delle altre banche. Non vengono distribuiti profitti né dividendi. Inoltre, allo Ior è vietato dalle sue leggi interne concedere prestiti. Investe invece soldi in operazioni a basso rischio. In più, osserva Allen, non ha riserve, non tiene una massa di denaro o di oro per coprire i prestiti. E non è un istituo di credito privato, ma è stato creato da un sovrano, il papa. Come gestione operativa ha un vertice di direttori laici moderni. Ma la supervisione spetta a una commissione composta da cinque cardinali.
«Soprattutto, lo Ior non è aperto al pubblico. Non è che chiunque possa entrare e aprire un conto: bisogna essere impiegati del Vaticano o rappresentanti di un ordine o di una diocesi cattolica, oppure “Gentiluomini di Sua Santità”, quei signori azzimati in frac che assistono il pontefice nelle cerimonie ufficiali dentro i palazzi apostolici. Anzi non si chiama nemmeno “conto corrente”, ma “fondo”. Il cliente prende un numero, registrato sotto il suo nome, ma l’idea è che partecipi a un fondo. Questo dettaglio lessicale può sembrare irrilevante, ma lo Ior lo ha usato per contrastare il sospetto, molto diffuso, che alcuni dei suoi conti siano cifrati e nascondano, dietro prestanomi di sacerdoti e suore, alcuni dei personaggi più inquietanti del sottobosco che ruota intorno al Vaticano. Ultimo aspetto: non ha filiali nel mondo. Ma dietro quella che Allen descrive come una “banca fantasma” si sono mossi per decenni fantasmi in carne e ossa: operatori finanziari spregiudicati, sospettati di essere maestri di trasferimenti spregiudicati, sospettati di essere maestri di trasferimenti valutari segreti, anche se a fin di bene; o, peggio, di operazioni di riciclaggio di denaro sporco utilizzando lo schermo di fondazioni canoniche non profit che sono le più esposte a queste operazioni: spesso vittime ignare, a volte complici. Insomma l’immagine o il luogo comune è che lo Ior sia un “paradiso fiscale” all’ombra del quale si può fare quasi tutto dal punto di vista finanziario.
«La decisione di Benedetto XVI di smentire questa vulgata è stata considerata una scelta strategica, che faceva il paio con quella di andare alla radice dello scandalo della pedofilia: due terreni minati, per la Chiesa cattolica, che solo un papa coraggioso e in grado di leggere i segni dei tempi poteva calpestare senza temere reazioni violente» [52-53]

«Scopo dello Ior è di provvedere alla custodia e amministrazione di beni destinati a opere di religione e carità» (comunicato del Centro pastorale dell’Università cattolica).

Caso Boffo. «Il quotidiano diretto allora da Vittorio Feltri si sarebbe rivelato esecutore maldestro di una resa dei conti fra Cei e segreteria di Stato vaticana: Boffo, uomo chiave del progetto culturale del presidente della Cei dal 1991 al 2007, Camillo Ruini, era stato scelto come bersaglio nello scontro di potere che vedeva di fronte Bertone e la Conferenza episcopale per stabilire chi avesse il primato dei rapporti con la politica italiana» [51]

«…un’Irlanda così sconvolta dagli abusi sessuali dei preti cattolici da avere chiuso la sua ambasciata presso la Santa Sede» [44]

Su come i cardinali americani (Dolan), Jeffrey Lena, Greg Burke ecc., cioè il nucleo forte dei cattolici americani, siano schierati contro Obama e con i repubblicani e contro Bertone vedi [33-45]

«Eppure sta diventando chiaro che, in bilico con l’euro, sono anche la pace e le basi democratiche dell’Europa. Quando i sistemi parlamentari non garantiscono più benessere, bruciano i risparmi o comunque non riescono a impedire che la speculazione finanzaria li bruci, e la disoccupazione supera il 10 per cento e in paesi come Grecia e Spagna viaggia sopra il 20 per cento, con livelli più che doppi per i giovani, in gioco c’è la democrazia. È l’irritazione del Sud Europa, ma anche della stessa Francia, verso il rigorismo moralistico “luterano” nasce dalla percezione netta che non prepari una soluzione ma usi principi antropologici cripto-razzisti per legittimare uno smarcamento gonfio di presagi recessivi.
«La leggerezza con la quale si parla di uscita dall’euro somma demagogia e irresponsabilità. Basta leggere il rapporto pubblicato nel settembre 2011 da tre ricercatori dell’Ubs, l’Unione delle Banche svizzere, che quantifica il costo di una rottura del sistema della moneta unica. Stephane Deo, Paul Donovan e Larry Hatheway offrono un’analisi da incubo che lascia capire come la fine dell’euro equivarrebbe alla distruzione dell’Europa. Già i costi economici dànno i brividi. Nonostante manchino calcoli esatti, perché si aprirebbero scenari in parte inimmaginabili, le stime per difetto parlano di un calo del prodotto interno lordo fra il 40 e il 50% per le nazioni più deboli che dovessero lasciare l’area della moneta unica.
«Tuttavia per la stessa Germania il prezzo da pagare in caso di uscita dall’euro sarebbe salatissimo: «Circa il 20, 25 per cento del suo Pil nel primo anno» scrivono gli analisti dell’Ubs. Ma, e qui si torna al cuore del problema, il vero disastro sarebbe politico. Il rapporto, destinato agli investitori a caccia di buoni affari, spiega che “il costo economico di una rottura nell’area dell’euro è la minore delle preoccupazioni da considerare. Il “soft power” europeo a livello internazionale finirebbe, e lo stesso concetto di Europa non avrebbe più senso. E vale la pena di osservare che a oggi tutte le unioni monetarie che si sono spezzate non hanno evitato qualche forma di governo autoritario o militare o di guerra civile…» [30-31]

«Nel dicembre del 2012 il settimanale britannico “The Economist” ha svolto un’inchiesta significativa. Ha paragonato la crisi della moneta unica di questi anni a quella del Sacro Romano Impero nel XVII secolo, ritenendo di trovare similitudini vistose. Quanto accadde allora, nacque, secondo il periodico londinese, dal predominio crescente assunto dalla Prussia. “Rileggendo quelle vicende con le lenti di oggi, si potrebbe vedere l’origine della crisi odierna e i pericoli che pone a lungo termine, nella rapida crescita della Germania dopo la riunificazione con quella dell’Est (che coincideva in larga parte proprio con la Prussia e il Brandeburgo)» osserva il settimanale. E ricorda come la guerra dei Trent’anni conclusasi nel 1648 con la pace di Vestfalia “cominciò come un tentativo di risolvere i problemi della sovranità degli Stati, per poi assumere i contorni di una guerra di religione tra Protestanti e Cattolici, e poi portare tutti i poteri europei ad un ‘tana libera tutti’ con re, principi e generali che si scannavano, stupravano e saccheggiavano a piacimento”» [26]

2017, 500 anni dalla Riforma protestante.

«Un eccesso di cattolicesimo danneggia la salute fiscale delle nazioni» (Stephan Richter, direttore del sito Globalist) [19]

«Giovanni Paolo II aveva scritto due lettere segrete, nel 1989 e nel 1994, nelle quali offriva le proprie dimissioni in caso di malattia gravissima o di altre condizioni che gli impedissero di svolgere adeguatamente il suo ministero: lo ha spiegato monsignor Slawomir Oder, postulatore della causa di beatificazione di Karol Wojtyla. Citando il Catholic News Service, il gesuita Thomas Reese, che insegna al Woodstock Geologica Center della Georgetown University a Washington, ha spiegato che l’allora papa si era ispirato a quanto aveva detto Paolo VI nel 1965; e cioè che un pontefice “non si poteva dimettere dal mandato apostolico” se non in quei due casi. Fuori da queste ipotesi, prevaleva il dovere di continuare a adempiere un compito affidato a Dio» [11]