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 2013  aprile 12 Venerdì calendario

È PROPRIO AL TEMPO DELLA CRISI CHE SI VEDE L’ITALIA DEI GENEROSI


Nonostante bollette e rate del mutuo. Nonostante aumento dei prezzi, recessione e austerità. Nonostante tutto, insomma, la fabbrica della generosità tiene faticosamente botta: 15 milioni di italiani, mettendo mano al portafoglio e regalando un sostegno economico al non profit, consentono alla maggior parte delle organizzazioni di volontariato di mantenere quasi inalterata la produzione di servizi e attività destinate all’emarginazione sociale, alla salute, alla ricerca scientifica, alla cooperazione internazionale, all’ambiente o ai beni culturali. Il 40 per cento delle associazioni del terzo settore, infatti, dichiara di aver raccolto nel 2012 donazioni e contributi in linea con l’anno precedente, mentre un altro 15 per cento segnala addirittura un aumento del volume delle elargizioni.
Il resoconto dell’andamento delle raccolte fondi delle organizzazioni non governative e degli enti senza fini di lucro è stato appena redatto dall’Istituto italiano della donazione in collaborazione con l’Assif, l’associazione dei fundraiser, analizzando i bilanci di oltre 200 realtà di piccole e grandi dimensioni del non profit.
La ricerca, com’è ovvio, evidenzia che la medaglia ha un’altra faccia (quella metà circa di imprese sociali che lo scorso anno è stata colpita da una contrazione delle entrate per via della crisi), ma soprattutto segnala che il peggio dovrebbe essere alle spalle: è stato il 2011 l’anno nero per il volontariato, quando il 37 per cento del campione denunciava un crollo, spesso significativo, delle somme offerte sia dai singoli cittadini che dalle aziende. Anzi, non manca qualche segnale di ottimismo, visto che oltre un terzo (il 36 per cento per la precisione) prevede di migliorare i conti nel corso del 2013.
Vista l’aria che tira nel Paese, non stupisce che tra le problematiche incontrate dal fundraising ci sia al primo posto la minore disponibilità economica dei donatori fedeli (segnalata dai due quinti del campione) seguita da un 24 per cento preoccupato dalla maggiore difficoltà incontrata nel convincere chi non ha mai scucito un soldo alla solidarietà a concedere per la prima volta un contributo. Le persone abituate a dare, invece, non hanno cambiato abitudini, come conferma peraltro un sondaggio dell’istituto di ricerca Ipr Marketing realizzato nel periodo natalizio: l’85 per cento degli intervistati assicura di continuare a sostenere le associazioni di cui si fida.
«Il trend negativo degli ultimi anni non si è interrotto» spiega Edoardo Patriarca, presidente dell’istituto italiano della donazione. «Ma il fatto che la maggioranza delle organizzazioni intervistate ritengano che nel 2013 le loro performance saranno migliori è un dato di grande interesse che speriamo venga confermato. L’altro elemento positivo è rappresentato dalla stabilità del numero dei donatori che rimangono pressoché gli stessi da un anno all’altro. È un segnale di speranza che dimostra che quando si costruisce un rapporto di fiducia e trasparenza i cittadini non tradiscono».
L’Italia dei generosi, come detto, è composta da 15 milioni di cittadini (un terzo della popolazione adulta che ha più di 14 anni e meno di 64) e le cause più gettonate sono la ricerca medico-scientifica (14 per cento), le emergenze umanitarie (13 per cento), gli aiuti ai Paesi poveri (8 per cento) e al disagio sociale (5 per cento). Tra i più prodighi emergono le donne, chi ha più di 35 anni e chi ha un titolo di studio superiore o una laurea. Quasi tutti scelgono l’organizzazione da sostenere in base alla sua notorietà e alla possibilità di vedere come vengono impiegati i fondi e con quali risultati.
L’Istat stima che il non profit, con le sue oltre 235 mila organizzazioni, abbia quasi mezzo milione di addetti retribuiti (il 2,5 per cento del totale degli occupati) e che ben quattro milioni di cittadini, occasionalmente o abitualmente, offrano il loro tempo libero e la loro professionalità in veste di volontari organizzando una raccolta sangue o promuovendo adozioni a distanza, assistendo i malati terminali, gli anziani soli e chi ha problemi fisici o psichici, trascorrendo un pomeriggio a dare una mano in una bottega del commercio equo o in una mensa per i poveri. Un esercito di lavoratori davvero atipici che sgobbano gratis per gli altri e che fanno assumere al terzo settore un peso rilevante anche nell’economia generale del Paese: il suo fatturato annuo è di almeno 67 miliardi di euro (superiore al 4 per cento del Pil) e la sua azione di supplenza o di supporto in aree del welfare trascurate o dimenticate dalle pubbliche amministrazioni permette un notevole risparmio per le casse dello Stato e degli enti locali.
Forti di questi numeri, le associazioni chiedono alla politica garanzie per il futuro. «Nella nostra indagine» sottolinea Patriarca «abbiamo sollecitato i 200 soggetti del campione a specificare cosa si aspettano dal nuovo governo. Il 61% reclama strumenti certi che assicurino la sostenibilità economica alle imprese della solidarietà e della cooperazione: il 44 per cento, infatti, chiede la stabilizzazione del 5 per mille mentre il 21 per cento punta su politiche di detassazione. Viene inoltre evidenziata la necessità di un maggior coinvolgimento del non profit nelle politiche di welfare. Una richiesta che rafforza l’analoga istanza già presentata in passato all’esecutivo dal Forum del terzo settore e dall’Associazione delle Ong italiane».
Sono, tuttavia, abbastanza scarse le possibilità che il Parlamento, in questa fase di confusione e incertezza, possa in tempi rapidi approvare una legge per disciplinare definitivamente il 5 per mille dell’Irpef ed evitare che - come è successo fino a oggi - ogni anno si riproponga l’incertezza sull’effettività disponibilità delle risorse che arrivano dalle dichiarazioni dei redditi. L’ultimo tentativo di stabilizzare questa forma di sostegno statale agli enti che svolgono attività socialmente rilevanti risale all’aprile scorso. La norma era stata inserita nelle delega fiscale che, però, non è mai arrivata al traguardo e ora le due Camere dovrebbero trovare l’accordo su un testo ancora tutto da scrivere.

Alberto Fiorillo