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 2013  aprile 12 Venerdì calendario

L’EUROPA È UNITA, MA GLI EUROPEI NON STANNO TANTO BENE


– NIALL FERGUSON
[È FALLITO/1]
Thank you. Merci. Grazie. Gracias. Grazzi. Go raibh maith agat. Dziękuję. Danke. Aitäh. Köszönöm. Mulţumesc. Děkuji. Paldies. Ačiū. Ďakujem. Obrigado. Hvala. Dank u. Kiitti. Blagodarja. Tack. Efharistò. E il mio preferito, tak.
Ci sono ventitré modi per dire «grazie» nell’Unione europea e a mio parere basta questo per far capire perché l’esperimento europeo si sia concluso in un fallimento. Vi ricordate quegli esperimenti che si facevano da bambini con il piccolo chimico? Si continuavano ad aggiungere elementi, uno dopo l’altro, per vedere quale sarebbe stato quello che alla fine avrebbe prodotto un’esplosione. È quello che hanno fatto in Europa. Hanno cominciato con sei: non era abbastanza. Sono passati a nove… niente. Dieci… cominciava a fare un po’ di fumo, ma niente di più. Dodici… nulla. Quindici… ancora nulla. Venticinque… ha iniziato a gorgogliare. Ventisette… esplosione!
Sono assolutamente certo che Lord Mandelson e Daniel Cohn-Bendit vi diranno che l’esperimento europeo è stato un successo perché da quando ha preso il via, negli anni Cinquanta, l’Europa è stata in pace. Ecco, vorrei che la si smettesse con questa storia: l’integrazione europea non ha assolutamente nulla a che fare con la pace in Europa dopo la Seconda guerra mondiale: questo è merito della Nato. La creazione dell’Unione europea non aveva niente a che vedere con la guerra e la pace, altrimenti ci sarebbe stata una Comunità europea di difesa, a cui invece l’Assemblea nazionale francese oppose il veto nel 1954.
L’Europa dev’essere giudicata con criteri economici, visto che i suoi criteri sono sempre stati economici. E qual è la conclusione? Negli anni Cinquanta l’economia dell’Europa integrata crebbe del 4 per cento. Negli anni Sessanta, più o meno lo stesso. Negli anni Settanta, la crescita fu del 2,8 per cento; negli anni Ottanta scese al 2,1 per cento; negli anni Novanta fu solo dell’1,7 per cento; e così via, fino a scendere a zero. Man mano che l’integrazione europea procedeva, la crescita calava. La quota dell’Europa sul pil globale è scesa dal 31 per cento del 1980 ad appena il 19 per cento oggi. Dopo il 1980 l’Ue ha registrato una crescita superiore a quella degli Stati Uniti solo in 9 anni su 32, e con un tasso di disoccupazione costantemente più alto di quello americano. Qualcuno di voi investe? Quali sono stati i mercati azionari peggiori negli ultimi dieci anni? Grecia, Irlanda, Italia, Finlandia, Portogallo, Olanda e Belgio: i peggiori del mondo. E in aggiunta a tutto questo abbiamo l’unione monetaria: il più grande degli esperimenti falliti.
Eravate stati avvisati, signore e signori. Lo avevamo detto che un’unione monetaria senza un’integrazione del mercato del lavoro e senza alcun tipo di federalismo fiscale sarebbe finita per esplodere. Io lo predissi nel 2000 e sta accadendo ora.
Ma l’Unione europea è stato un esperimento fallito anche sul piano politico. Qual era questo esperimento? Cercare di costringere gli europei a realizzare un’unione ancora più stretta – contro il loro volere – usando mezzi economici, visto che quelli politici avevano fallito.
E quando i popoli europei votavano contro un’integrazione più spinta, si diceva ai loro governi di provarci un’altra volta. Successe con i danesi nel 1992 e con gli irlandesi due volte: nel 2001 e di nuovo nel 2008. I cittadini al referendum avevano dato la risposta sbagliata, e i governi, semplicemente ne hanno organizzato un altro. Questo fornisce qualche indizio sul perché l’esperimento sia fallito: perché ha perso legittimazione politica. E lo abbiamo visto non soltanto in Grecia, ma nei governi di tutta Europa, uno dopo l’altro: dall’inizio della crisi, due anni fa, ne sono caduti tredici, e altri seguiranno nei prossimi mesi.
L’esperimento europeo, infine, è stato un fallimento geopolitico. L’Unione europea avrebbe dovuto agire da contrappreso rispetto agli Stati Uniti. Vi ricordate il discorso di Jacques Poos nel 1991 sull’«ora dell’Europa», in cui proclamava che l’Europa avrebbe risolto la guerra in Bosnia? (1) Sì, così si pensava nel 1991. Ma poi quel conflitto ha fatto centomila vittime e 2,2 milioni di profughi, ed è finito solo quando gli Stati Uniti, finalmente, sono intervenuti per mettere rimedio a quel disastro.
Henry Kissinger una volta chiese: «Chi devo chiamare se voglio parlare con l’Europa?». La risposta è arrivata, parecchi anni dopo: bisogna chiamare la baronessa Ashton di Upholland (2). Nessuno aveva mai sentito parlare di lei, o aveva mai sentito parlare lei. I canadesi sanno quanto sia difficile gestire un sistema federale che pure conta solo dieci province e appena due lingue ufficiali: possono capire perciò meglio di tanti altri perché l’esperimento europeo, con ventisette Paesi e qualcosa come ventitré lingue diverse, sia sfociato in un fallimento ignominioso. Grazie al cielo, in Canada posso limitarmi a dire «grazie» in due lingue: thank you e merci.



– DANIEL COHN-BENDIT
[NON È FALLITO/1]
Good evening. Posso limitarmi a dirlo in inglese. Sto cercando di mantenere la calma, perché non ho mai sentito delle idiozie del genere! E vi spiego perché. I miei genitori fuggirono dalla Germania nel 1933. Mio padre era un avvocato e sarebbe stato arrestato dopo l’incendio del Reichstag. Dovettero fuggire, verso il Sud della Francia, anche perché lui e mia madre erano ebrei. Io fui concepito dopo lo sbarco degli Alleati in Normandia. Nove mesi dopo, nell’aprile del 1945, sono nato io.
Immaginatevi se avessi detto ai miei genitori che cinquant’anni dopo tra Francia e Germania non ci sarebbe stata nessuna forza militare se non quelle facenti parte della Nato, che non ci sarebbero state truppe né soldati in tutta Europa e che sarebbe stato possibile viaggiare liberamente in tutto il continente. I miei genitori avrebbero detto: «Abbiamo un problema: nostro figlio ha cominciato a parlare troppo presto e dice delle assurdità».
L’integrazione europea è stato un grande passo avanti della civiltà. Molti degli esperimenti politici più distruttivi del mondo sono nati in Europa: noi abbiamo creato il colonialismo, noi abbiamo creato il fascismo e noi abbiamo creato il comunismo. L’Europa è stata la regione più omicida del pianeta. Noi abbiamo dato inizio a due guerre mondiali ed era necessario mettere fine ai conflitti. Non potevamo continuare su questa strada e abbiamo deciso che l’idea migliore era dare vita a un’unione che consentisse ai popoli europei di fare affari insieme e scambiarsi merci. Il grande passo avanti è stato fatto quando è stata creata l’Unione europea.
Poi è caduto il comunismo. E c’è stata la generazione di François Mitterrand e di Helmut Kohl. Mitterrand diceva – e Margaret Thatcher era d’accordo – che bisognava spingere più in là l’integrazione europea: bisognava farlo per evitare che tornasse a esserci un Paese egemone in Europa; per fare in modo che non ci fossero più conflitti, e per fare in modo che i Paesi fossero costretti a lavorare insieme: potevano combattere all’interno di un Parlamento, ma non più su un campo di battaglia.
Poi hanno creato l’Euro. E sì, certo, l’Euro è in difficoltà. Ma fare un’unione è difficile. Non è mai stato creato uno Stato comune come l’Europa senza una guerra. E sulla Bosnia, Niall, hai ragione: personalmente ero favorevole all’idea di un intervento europeo. Ma dobbiamo prenderci la responsabilità per il continente. Guardate qual è la situazione in Europa oggi: gli Stati-nazione non sono in grado di affrontare i problemi della crisi – la crisi economica e di bilancio e i cambiamenti climatici – da soli. Avanti di questo passo, fra trent’anni nel G8 non ci sarà nessun Paese europeo. Solo l’Europa può difendere gli europei.
Sì, il processo è complicato. Ma preferisco degli europei che fanno fatica a parlare fra di loro a degli europei che fanno la guerra. Il linguaggio della guerra è universale, perciò tutto questo discorso sulle barriere linguistiche è un’assurdità. Abbiamo i traduttori, siamo in grado di far funzionare la faccenda. Venite al Parlamento europeo e potrete vederlo con i vostri occhi. Entrare nell’Unione europea è il sogno di molti Paesi. Se è così brutta come dici, perché tanti Paesi hanno votato per aderire all’Ue? Perché, dopo la caduta del Muro, i polacchi sono voluti entrare? E gli ungheresi? Volevano entrare nell’Ue perché è il futuro. Dire che l’Europa è il futuro non significa che non sia difficile, significa che non possiamo tornare indietro. Ma io sono fermamente convinto che se non proseguiremo sulla strada dell’integrazione europea, gli Stati-nazione del Vecchio continente si troveranno nei guai, perché sono società sempre più vecchie.
Dobbiamo unirci per difenderci. L’Unione europea è un ombrello che consente di difendere la nostra visione di come vivere insieme, e siamo riusciti a realizzare tutto questo senza guerre. È noto che gli Stati Uniti sono diventati veramente uniti solo in seguito a una guerra civile. I due conflitti mondiali sono stati la nostra guerra civile, e dopo di essi noi europei abbiamo imparato a lavorare insieme. Lo so che discutere può essere complicato, ma voglio usare una vecchia battuta ebraica: se hai due soluzioni, scegli sempre la terza. E questo è l’Europa.


– JOSEF JOFFE
[È FALLITO/2]
Devo cominciare correggendo il mio amico Niall. Sulla storia del numero da chiamare per parlare con l’Europa si sbaglia. Un numero c’è: è quello di Catherine Ashton. Lo componi e ti risponde una voce registrata: per la Germania, premere 1; per la Francia, premere 2; e così via. Questo dice a che punto sta l’Europa.
Voglio dire un’altra cosa. Io penso che l’Europa sia un’idea meravigliosa. Dopo tutto Zeus, il più potente fra tutti gli dei, mise a rischio il suo matrimonio per fuggire con Europa, una donna per cui aveva perso la testa. E Ovidio, il poeta romano, canta: «E si porta la preda in mezzo al mare […] e [lei] tiene con la destra un corno, l’altra mano sta sulla groppa».
L’Europa era anche un’idea bellissima, quando, un’era geologica fa, decise di unificarsi dopo le due guerre più sanguinose della storia. Che storia magnifica: prima sei nazioni si mettono insieme, integrando la produzione di carbone e acciaio; poi, lentamente, danno vita a un mercato comune per merci, servizi di capitale e persone; segue la democrazia alla Cohn-Bendit, con la creazione di un Parlamento europeo, e alla fine introducono l’Euro, che consegna alla storia Franchi, Pesete e Dracme. Ora ci sono ventisette Stati membri. L’Euro regna dal Portogallo ai confini della Polonia. Quale sarà il prossimo passo? Gli Stati Uniti d’Europa, naturalmente.
[Interviene Daniel Cohn-Bendit: «Sì!».]
E invece no! L’Europa si sta sgretolando sotto i nostri occhi. Il più ambizioso esperimento politico da quando le colonie americane diventarono E pluribus unum ora deve fronteggiare la sua crisi più letale. L’integrazione può essere vista come una scalata, sulle Montagne Rocciose o sulle Alpi. All’inizio, in collina, la salita è gradevole e poco impegnativa, ma man mano che saliamo la pendenza si fa più scoscesa e l’aria diventa più rarefatta. Alla fine arriviamo alla cima, la parete Nord dell’Eiger in Svizzera, per esempio, e questa cima rappresenta il nucleo essenziale della sovranità nazionale.
Qui è dove siamo oggi, con l’Euro, il successo di cui andiamo più orgogliosi e che rischia di seppellirci. Ci siamo spinti troppo in là, e ora cosa facciamo? Ci sono tre strade: tornare indietro, fermarsi o attaccare. Vogliamo attaccare la cima e salire fino agli Stati Uniti d’Europa? «Ma guardate che cordata che siete, voi diciassette», brontola la montagna, «gente che arranca, miscredenti, sciancati e gente che viaggia a sbafo». E dato che è una montagna molto istruita potrebbe aggiungere che non c’è vera unificazione senza una guerra, dove l’elemento più forte costringe gli altri a fondersi in uno Stato unico. È quello che è successo in Italia e in Germania, e naturalmente – come ha già detto Danny – negli Stati Uniti, dove la guerra civile in realtà è stata una guerra di unificazione nazionale. Non ci sarà nessuna guerra del genere in Europa, grazie a Dio. Non c’è nessun Bismarck e nessun Lincoln nel futuro dell’Europa. E Frau Merkel naturalmente non è Bismarck.
Ma che cosa ci dice questa crisi terribile? Ci dice che per salire in cima bisogna avere sia la volontà che la capacità per farlo. Ma voi non avete né l’una né l’altra e non ce l’avrete mai perché: (a) non potete e non volete rinunciare alla fetta più importante della sovranità nazionale, cioè il potere di tassare e spendere; e (b) non siete nemmeno una cordata unica in partenza: solo due, tre, quattro di voi hanno la disciplina e la forma fisica per andare avanti, gli altri sono sovrappeso, azzoppati o sfiancati.
Ma lasciamo la metafora della montagna e torniamo giù. Il punto politico è che l’Europa è in bolletta, e la Germania non vuole e non è in grado di coprire gli ammanchi degli altri. Perfino la Francia è in bolletta. Non solo: quelli che arrancano non sono disposti a tornare all’accampamento e rimettersi in forma seguendo diciassette durissime diete nazionali, che hanno già mandato al creatore un gran numero di governi. Il problema più grave è l’ostinata tenacia dello Stato-nazione, che non intende cedere l’elemento essenziale della sua sovranità. Come dicono i tedeschi, l’amicizia finisce dove cominciano i soldi, e lo stesso vale per l’integrazione. L’Unione europea non sta più bighellonando in collina: ora deve affrontare la parete Nord dell’Eiger.
Significa che l’Europa ormai è storia? Non ancora. Ma una cosa la sappiamo, e cioè che in un certo senso l’esperimento è fallito, perché quel sogno meraviglioso degli anni Cinquanta – su, su, fino al cielo – è andato a sbattere contro la realtà sgradevole dello Stato-nazione che non vuole scomparire. E se vogliamo dirla tutta, quanti francesi, italiani, tedeschi, polacchi e così via vogliono rompere i legami con duemila anni di storia? Chi ha voglia di essere governato da Bruxelles invece che dalla propria capitale?
Voglio concludere con una preghiera. Prego che l’inevitabile tracollo dell’Euro, la parte più ambiziosa dell’esperimento, non seppellisca il resto dell’Unione. E voglio supplicare Zeus di salvare Europa dai flutti tempestosi e di adagiarla in una baia protetta, perché Europa non è in grado di sconfiggere il mare dello Stato-nazione, ma se dovesse affogare, il Canada e gli Stati Uniti non prospereranno. Amen e grazie.


– PETER MANDELSON
[NON È FALLITO/2]
Per cominciare devo riprendere Niall e Josef per i loro commenti sarcastici su Catherine Ashton. Due giorni fa i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite più la Germania – le grandi potenze – hanno avviato un negoziato importantissimo con l’Iran sul suo programma nucleare. Chi guidava le grandi potenze? Chi guidava i membri permanenti del Consiglio di sicurezza? No, Niall. No, Josef. Non era Hillary Clinton, era Catherine Ashton. Perciò cerchiamo di fare un po’ meno commenti sarcastici, per favore, e di essere un po’ più seri.
Oggi abbiamo l’occasione di vedere un inglese, uno scozzese, un tedesco e una sorta di francese accapigliarsi fra di loro su un palco. Sembra l’inizio di una barzelletta che non fa ridere, e da quello che capisco molti di voi vedono l’Europa e la sua valuta allo stesso modo, in questo momento. Ma io e Danny vi vogliamo chiedere di fare un passo indietro e guardare con più serietà il quadro generale. Vi vogliamo chiedere di valutare l’Unione europea nel contesto di una storia più lunga e di uno scopo più alto. Prima di poter parlare di fallimento, dobbiamo sapere di cosa si sta parlando.
L’area valutaria dell’Ue senza dubbio è in difficoltà e sta inviando segnali di sofferenza. Questo non lo nego. Ma l’Eurozona non è l’intero progetto europeo. Il progetto europeo è cominciato oltre sessant’anni fa, quando la gente si rese conto che l’insieme dell’Europa poteva essere, doveva essere e sarebbe stato più grande della somma delle sue componenti; si rese conto che mettendo in comune elementi della nostra sovranità e del potere decisionale potevamo ottenere cose impossibili da ottenere se fossimo rimasti un gruppo di Stati-nazione relativamente piccoli e piuttosto litigiosi. Con questo progetto ci siamo messi alle spalle secoli di conflitti, e non è una conquista da poco. Abbiamo messo fine alla divisione dell’Europa fra Est e Ovest, e siamo riusciti a vincolare tutti gli Stati postsovietici e le ex dittature di Spagna, Grecia e Portogallo a un sistema di valori irreversibile fatto di democrazia e diritti umani: non è una conquista da poco. E abbiamo creato il più grande spazio economico del suo genere nel mondo. Creando questo modello sovranazionale, siamo riusciti a fare ciò che non è mai stato tentato o realizzato altrove. Questa unione ha giocato un ruolo centrale nella vita europea: nel commercio, nella diplomazia, nella sicurezza, nel coordinamento delle politiche in moltissimi ambiti.
Non credo che Niall o Josef siano seriamente disposti a contestare questi risultati. Perciò probabilmente saranno d’accordo che se l’Ue non esistesse, gli Stati europei oggi dovrebbero inventare qualcosa di molto simile. Non credo neanche che sia giusto decretare già il fallimento dell’Euro, anche se l’unione monetaria presenta di sicuro difetti. Ormai è evidente che vent’anni fa l’Europa ha cominciato a correre economicamente prima di imparare a camminare. Questo, a mio parere, non perché siamo stati troppo ambiziosi: anzi lo siamo stati troppo poco. Non siamo stati abbastanza ambiziosi da creare le istituzioni politiche e i meccanismi necessari per far funzionare l’unione economica e monetaria.
Ora ci troviamo a discutere su questa domanda: il fallimento dell’Euro è definitivo? A mio avviso è un fallimento di progettazione ed esecuzione, non di concetto e di principio. Gli altri vi diranno che andrà tutto inevitabilmente a scatafascio. Ma una versione praticabile della moneta unica esiste: il dubbio è se l’Europa abbia la volontà politica di metterla in pratica. Perciò sì, è stato fatto un grave errore e sì, c’è un grave difetto di progettazione. Ma significa che è fallito l’intero progetto europeo? Direi di no. È molto facile essere uno storico, come Niall, parlare del passato, guardare nello specchietto retrovisore. Ma se sei un politico e un ministro, ahimè, sei costretto a essere un po’ più pratico e un po’ più serio. L’Europa ha fallito? Direi che è presto per saperlo. L’Europa potrebbe fallire? Certo che potrebbe. L’Europa fallirà sicuramente? Certo che no.