Federico Guerrini, l’Espresso 12/4/2013, 12 aprile 2013
IO A HARVARD CI VADO ON LINE
Entro il 2016 «Internet renderà l’istruzione oggi offerta dai college universitari molto meno rilevante». La profezia, di due anni orsono, pur venendo da Bill Gates poteva apparire quantomeno azzardata. Le Università tradizionali, anche in Italia, per il momento resistono, anche se, fra tagli ai fondi e magagne varie non si può certo dire che prosperino. Ma l’ex presidente di Microsoft, che oggi attraverso la sua fondazione benefica finanzia vari progetti educativi, aveva un buon motivo per ostentare tanta sicumera. Anzi, più motivi, racchiusi sotto un solo acronimo: Mooc ovvero Massive open online courses.
Si tratta di corsi on line di massa aperti a tutti, sui più svariati argomenti, dall’intelligenza artificiale alla Divina Commeda, trasmessi via Internet da alcuni fra i maggiori e più prestigiosi atenei del mondo, gratuiti e accessibili a chiunque sia dotato di una connessione a Internet, senza barriere di reddito, lingua (a condizione di masticare un po’ di inglese), collocazione geografica. Con punte di partecipazione, per alcuni di essi, di centinaia di migliaia di iscritti.
Per autorevoli docenti e opinionisti come lo studioso dei media Clay Shirky e l’editorialista del "New York Times", Thomas Friedman, i Mooc sono destinati a scardinare l’attuale impianto del settore dell’istruzione superiore, pubblica e privata, rappresentando per l’industria educativa quello che il formato Mp3 fu per quella discografica: la fine di un consolidato modello di business, caratterizzato da barriere all’accesso e insegnamento di élite e l’inizio di un’avventurosa navigazione alla ricerca di nuove fonti di reddito e nuovi protocolli comunicativi.
Il concetto di insegnamento a distanza, naturalmente, in sé ha ben poco di rivoluzionario - basti pensare, in Italia, alla scuola Radio Elettra del secolo scorso, che formava per corrispondenza migliaia di radiotecnici italiani e stranieri - e non è la prima volta che viene sperimentato on line. «Già all’inizio degli anni 2000, prima dello scoppio della bolla della New Economy», ricorda Juan Carlos De Martin, docente del Politecnico di Torino e fellow del Berkman Center for Internet & Society di Harvard , «si parlò moltissimo di Università via Internet. Ma i tempi non erano maturi. Solo il 6 per cento degli americani era dotato di connessione a banda larga e anche i pc erano meno potenti». Oggi il momento, complice anche la fortissima riduzione di fondi a favore degli atenei pubblici per i tradizionali corsi in presenza, appare decisamente più propizio.
Nell’ultimo anno e mezzo negli Usa hanno fatto capolino tantissime proposte di Mooc di alto livello. Da Coursera, azienda a scopo di lucro fondata nel gennaio 2012 da due professori dell’Università di Stanford e che oggi offre un ricchissimo catalogo di corsi on line grazie ad una serie di accordi con più di sessanta atenei di tutto il mondo (fra cui La Sapienza di Roma), a edX, iniziativa no-profit del Mit di Boston assieme all’Università di Harvard e a una dozzina di altri partner di varia provenienza, alle lezioni di materie scientifiche fornite da Udacity, azienda fondata dal ricercatore di Stanford Sebastian Thrun assieme a due colleghi, dopo che 160 mila studenti si erano iscritti a un corso pilota sull’Intelligenza Artificiale tenuto dallo stesso Thrun. «Uno dei motivi per cui i Mooc hanno ricevuto così tanta attenzione, negli ultimi tempi», spiega Kevin Kinser, docente dell’Università di Albany e autore del libro The Global Growth of Private Higher Education, «è che sono proposti per lo più da istituzioni di elite. È una cosa nuova e importante. Inoltre i Mooc alzano la barra della competizione nel settore dell’istruzione rendendo pubbliche, e quindi valutabili da chiunque, le attività istituzionali delle Università: stanno già comparendo dei siti Web che danno agli studenti di questi corsi l’opportunità di valutare pubblicamente le loro esperienze. Una specie di TripAdvisor o di Yelp per l’istruzione superiore».
In generale, i Mooc funzionano così: ci si registra attraverso una semplice procedura on line e si ha accesso immediato a una serie di video, testi ed esercitazioni da sviluppare con i propri ritmi, senza scadenze fisse, in alcuni casi, o secondo un calendario preciso, in altri. Quasi sempre c’è il test finale, che dà diritto all’attestato in caso di superamento.
«Mi sono iscritto a tre corsi di Coursera», racconta Leslie Cameron-Curry, docente di scuola superiore e presidente della sezione di Torino-Vercelli della Società Filosofica Italiana: «Uno sulla storia di Internet, uno sull’analisi delle reti e uno di logica; il primo l’ho completato, gli altri li ho frequentati in maniera più sporadica, ma li ho trovati tutti soddisfacenti e ben strutturati, sia per quanto riguarda nuove conoscenze che per l’esperienza di corsista in sé. A differenza di quello che ci si sarebbe potuti aspettare», prosegue Cameron-Curry, «non c’era niente di anonimo o di impersonale, ho sempre avuto la sensazione di avere a che fare con un gruppo ampio e variegato di persone e anche le discussioni sul forum erano molto appassionate, animate spesso da gente assai competente».
Certo, non mancano i problemi. Uno è quello dell’altissimo tasso di abbandono dei corsi a distanza: solo uno su dieci, all’incirca, ce la fa. Un altro è quello del copia-incolla. «Per questo», spiega il docente torinese, «all’inizio bisogna firmare un "patto d’onore" in cui ci si impegna a comportarsi in maniera corretta, ma sta poi a te tenervi fede, non c’è nessuno con il fucile in mano che ti controlla». Per il momento. Dato che fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio, i fornitori di corsi stanno perfezionando sempre più i sistemi di controllo dell’originalità degli elaborati e dell’identità di chi scrive. Dai software che vagliano i testi per scoprire i plagi, ai sistemi di riconoscimento dei "pattern" di battitura sulla tastiera: una sorta di impronta digitale, variabile da persona a persona. Avere risultati attendibili, a prova di truffatori, è importante non solo sotto l’aspetto morale. Attualmente la maggior parte dei corsi on line si limita a rilasciare un attestato di frequenza - che può avere un suo valore anche sul mercato del lavoro, se reca il timbro di Stanford o di Harvard - ma uno dei prossimi obiettivi delle grandi piattaforme di apprendimento a distanza è quello del rilascio di certificati e crediti equiparabili a quelli emessi attraverso i sistemi tradizionali, dietro pagamento di una corrispettivo monetario.
Già oggi edX e Coursera hanno avviato esperimenti in questo senso. C’è però l’inghippo del "grading": dato che un singolo professore non può certo correggere i compiti di decine, se non centinaia di migliaia di studenti, come dare il giusto voto? E come valutare, mettiamo, un saggio filosofico? Le soluzioni proposte per il momento sono due: l’affidarsi ad algoritmi automatici, nel caso di test che prevedono semplici risposte multiple, oppure al giudizio dei compagni di corso. «I miei test», racconta Cameron-Curry, «venivano corretti da cinque miei pari, ma soltanto dopo che io, a mia volta, avevo corretto almeno cinque compiti altrui. Il tutto in maniera anonima; ma era importante cercare di ricordarsi di avere a che fare con persone reali e quindi cercare di essere corretti, mai offensivi». Funziona, il sistema? Le opinioni sono divise. Così come sono divise sull’effetto sociale a lungo termine dei Mooc. «Il rischio», spiega De Martin, «è che a dominare il mondo dell’istruzione restino solo una dozzina di grandi brand, per lo più statunitensi e britannici, e che chi può permettersi un corso in presenza entri a far parte di un’élite, anche sul piano delle conoscenze personali utili a una futura carriera, e per tutti gli altri rimangano solo gli "schermi"».
Scenari alternativi prevedono il diffondersi dei corsi on line a integrare e non sostituire la tradizionale offerta accademica. «Ad ogni modo», commenta Kinser «il fenomeno avrà probabilmente degli effetti a lungo termine, bolla o non bolla. Noi tendiamo a sovrastimare l’impatto a breve termine della tecnologia e a sottostimarne quello a lungo termine. Non ci sarà una completa sostituzione delle classi tradizionali coi Mooc nei prossimi dieci anni. Nei prossimi 50, chissà».