Ferruccio Pinotti e Massimo Sideri, Sette 12/4/2013, 12 aprile 2013
IL GRANDE BUSINESS DEI COMMISSARIAMENTI
È il business di cui nessuno parla, una grande giostra: l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese. Quello che era uno strumento pensato per la conservazione del patrimonio delle grandi imprese in stato di insolvenza (legge 270 del ’99, integrata poi dall’amministrazione “speciale”, introdotta nel 2003 col d.l. 347 per le imprese con più di 500 dipendenti) s’è trasformato, salvo alcuni casi virtuosi, in un business all’italiana che fa le fortune di pochi e abili uomini d’affari.
La nomina dei commissari straordinari spetta infatti al ministero dello Sviluppo (ex Industria). E si tratta spesso di nomine politiche, di professionisti di “area”. Il lavoro di questi professionisti subisce generalmente un controllo solo formale dal tribunale fallimentare, che ammette alla procedura e ha il compito – spesso non esercitato – di verificarne l’andamento. Ma è la nomina il primo punto delicato. Esemplare il caso di Alitalia, dove, come commissario straordinario, è stato nominato dal governo Berlusconi (con il placet dell’opposizione), Stefano Ambrosini, giurista torinese classe 1969, figlio di un importante magistrato. Con lui ci sono Gianluca Brancadoro, avvocato, e Giovanni Fiori, commercialista. Hanno preso il posto del dimissionario Augusto Fantozzi, di fatto “sfiduciato”. Ma anche sull’operato dei nuovi commissari, rivela un documento in possesso di Sette, il Tribunale di Roma nutre diverse perplessità.
La lunga lista. Fece discutere anche il caso di Carlo Rinaldini (scomparso nel 2007), considerato vicino a Marcello Dell’Utri, nominato commissario straordinario della compagnia aerea Volare nonostante la sua azienda, la Richard Ginori, fosse saltata. Tanto che in molti ironizzarono sul “commissario commissariato”. Ha sollevato quesiti anche il caso di Andrea Zoppini, classe 1965, amico del figlio del presidente Napolitano, nonché avvocato e docente universitario, sottosegretario alla Giustizia del governo Monti, impegnato come arbitro in una controversia legale sui lavori per l’alta velocità sulla linea Novara-Milano: contratti da centinaia di milioni, sui quali litigano le Ferrovie e il consorzio dei costruttori guidato dalla Fiat. Il problema è che dal luglio 2004 una legge («Norme in materia di risoluzione del conflitto d’interessi») proibisce ai membri del governo di «ricoprire cariche o uffici e di svolgere altre funzioni comunque denominate in enti di diritto pubblico», e le Fs sono una Spa controllata dallo Stato.
Nominato dal ministro Passera è invece Piero Nardi, commissario per l’amministrazione straordinaria chiesta per il gruppo siderurgico Lucchini dalla banche subentrate ai russi di Severstal. Nardi era stato amministratore delegato della Lucchini fino al 2003. Molti incarichi anche per le commercialiste Stefania Chiaruttini (Idi e Parmalat, oltre ad altri) e Carmela Regina Silvestri (Idi e Acms, l’azienda dei trasporti di Caserta).
Insomma, la “Commissariamenti Spa” sembra un’industria che non conosce crisi. Una fabbrica di amministrazioni straordinarie. Molte, come la Cirio, sono aperte da oltre un decennio. Alcune, come la Federconsorzi, si perdono nella Prima Repubblica, addirittura nell’era pre-Tangentopoli (1991).
Dossier complessi, si dirà. Casi intricati. Intanto, come ricorda Mario Resca, che della Cirio è stato commissario per i primi anni – salvo poi finire sotto la scure dello “spoil system” quando l’allora ministro Pier Luigi Bersani gli preferì un uomo di sua fiducia – la legge Prodi individua in 18-24 mesi il limite per la vendita delle attività. «Io ne sono uscito avendo fatto il mio lavoro, tutto il resto è gestito da professionisti, avvocati». Parole caute, ma che dicono molto. «Causa che pende, causa che rende», si dice negli ambienti legali. E, dunque, perché poi a distanza di anni i riparti ai creditori di quei soldi recuperati non sono stati ancora distribuiti?
La lista delle società commissariate conta centinaia di nomi a partire da quelli più noti e importanti: Alitalia, Giacomelli, Parmalat, Finmek, Volare, Cit, A. Merloni, Ittierre, Tirrenia, Valtur, Lucchini. Tutte aperte. Più che lecito chiedersi come mai. C’è forse qualche interesse a mantenerle in vita? Prendiamo la Cirio: dopo che i tre commissari iniziali – Luigi Farenga, Attilio Zimatore e Resca – promisero, forse presi dall’entusiasmo delle prime vendite, che i creditori avrebbero potuto recuperare «fino al 90%», gli stessi hanno ricevuto degli acconti ben lontani da quelle previsioni. I creditori della Cirio Del Monte, una delle società principali della ex galassia di Sergio Cragnotti, hanno avuto circa il 10%.
Per aggiornamenti sul processo di vendita, si legge nel sito www.cirio-as.it, inviare un fax (nemmeno un’email nell’Anno Domini 2013). D’altra parte, parlare col commissario Farenga che ne tiene in mano tutti i fili non è facile nemmeno per la stampa (noi non ci siamo riusciti nonostante i contatti con il suo studio). «Il fatto è che si producono tonnellate di carte. Il commissario quando entra può largamente disporre di soldi per pagare i suoi consulenti. Il problema è che vengono presi dalle somme recuperate e dunque è come se pagassero i creditori», sostiene un importante commissario che, però, vuole rimanere anonimo. Il nervo scoperto di tutto il processo è la segretezza totale del lavoro svolto e da svolgere, una cortina di ferro che farebbe invidia all’MI5 di Sua Maestà la Regina.
Recuperi importanti. Enrico Bondi, con la Parmalat, ha finalmente creato un riferimento positivo, con continue comunicazioni sugli accorpamenti, i recuperi degli attivi e le ripartizioni. Un processo aiutato anche dal ritorno della Parmalat in Borsa sul listino principale con tanto di azioni e warrant che sono finiti in tasca agli ex creditori di Calisto Tanzi. Un meccanismo che nel caso di piccoli risparmiatori ha permesso recuperi sopra il 60%. Il commissario straordinario ha percepito una parcella da 32 milioni di euro, ma ha risanato un gruppo compromesso sul piano finanziario, tanto da divenire appetibile per i francesi di Lactalis.
L’altra faccia della medaglia è l’affaire Alitalia. Sull’operato dei commissari che, dopo l’ex ministro Fantozzi si sono trovati a gestire la ricca eredità della ex compagnia di bandiera (basti pensare che per Fantozzi in passato era circolata una stima di compenso pari a 15 milioni, mai confermata) è dovuto intervenire con toni tutt’altro che formali il Tribunale di Roma. Che ha messo nero su bianco i molti dubbi sulle scelte fatte da Stefano Ambrosini, Gianluca Brancadoro e Giovanni Fiori, a partire dal cambio di avvocati e società di certificazione appena arrivati.
Scrivono i giudici delegati, Umberto Gentili e Luisa De Renzis, in un documento che Sette ha potuto visionare in esclusiva: «Come mai i nuovi commissari, richiamandosi a generiche criticità, né tantomeno specificando se le criticità in oggetto riguardassero o meno tutti i 550 procedimenti (non è un refuso: 550, ndr) promossi dal precedente commissario straordinario, procedevano tout court alla revoca di tutti i legali già incaricati, determinando in tal modo una oggettiva discontinuità nella gestione delle stesse, accentuate dal contestuale affidamento dell’incarico di advisor alla società Ernst & Young al posto di Kpmg?» si chiedono al tribunale. Sembra quasi che si paventi il rischio di un interesse “ristretto”, più che della società e soprattutto dei creditori. Tanto più che, sempre i giudici, rilevano il rischio che «il trascorrere del tempo e l’approssimarsi delle operazioni di ripartizione, potrebbero pregiudicare irrimediabilmente l’esercizio di concrete iniziative giudiziarie riferite alla mala gestio delle singole società del gruppo».
Monarchia. E ancora: «Non sembra che la questione delle revocatorie del gruppo Alitalia siano sempre oggetto di adeguato sviluppo da parte dei legali incaricati». Ma qui viene il bello: i commissari Alitalia ritengono che i dati salienti del dossier debbano essere secretati anche per i giudici. Tanto che il tribunale, in un successivo decreto di inizio anno in possesso di Sette, ricordano che «il commissario straordinario, in quanto pubblico ufficiale, nello svolgimento delle proprie attività, non è destinato a porsi fisiologicamente in antitesi con il tribunale».
Insomma, per la prima volta viene mes-
so in discussione il commissariamento come sorta di monarchia senza obblighi né doveri. Non che sia mancata una pronta risposta di Ambrosini, Brancadoro e Fiori. In un documento inviato lo scorso 21 dicembre ai sostituti procuratori della Repubblica Francesca Loy e Stefano Pesci, i commissari hanno rinviato al mittente le contestazioni sul cambio degli avvocati scrivendo che al momento dell’insediamento si sono trovati a lavorare in un «contesto di estremo disagio». Segue una lista di «eclatanti errori» degli avvocati dell’era Fantozzi – così li definiscono i commissari – tra i quali «l’azione revocatoria promossa da Alitalia Servizi Spa in a.s. nei confronti di Veneto Banca in cui dalle verifiche contabili effettuate è stato rappresentata dai professionisti incaricati come rimessa bancaria revocabile una mera partita di giroconto». Per concludere con un siluro allo stesso Fantozzi: «Senza dire che», scrivono sempre i commissari, «sotto il profilo di valutazioni di opportunità, il coordinatore del team dei legali incaricati, avv. Eugenio Tamborlini, è risultato svolgere la propria attività al medesimo domicilio professionale e avere il medesimo recapito telefonico del precedente commissario straordinario».
Certamente esistono anche dei limiti legislativi che facilitano il perdurare di questi “buoni affari”: in Italia non esiste per esempio lo strumento anglosassone del “cut off” che permette, a un certo punto, di tirare una linea. I commissari devono tenere in vita almeno per 10 anni l’amministrazione straordinaria, al fine di permettere a risparmiatori e creditori particolarmente disattenti e sbadati di insinuarsi al passivo. Pochi mesi fa prima della scadenza dei 10 anni dal commissariamento dell’ex impero di Tanzi una società brasiliana si è insinuata al passivo Parmalat.
Per non parlare dei tempi della giustizia italiana. Insomma, a detta di molti anche il quadro normativo andrebbe messo in discussione con un pizzico di pragmatismo in più. Un esperto della materia, avvocato d’affari di una grande law firm milanese dice: «Non c’è abbastanza trasparenza. E spesso i controlli sono carenti. È giusto che a scegliere i commissari sia il ministero dello Sviluppo, i criteri devono però essere esclusivamente professionali e non basati sull’appartenenza politica. In vari casi, poi, si sono registrati conflitti di interesse».
È giusto comunque non fare di tutte le erbe un fascio. «Il benchmark positivo per l’Italia è l’operato di Bondi nel caso Parmalat, mentre per i tribunali il riferimento cui guardare è l’attività di controllo esercitata dalla sezione fallimentare del Tribunale di Roma nel caso Alitalia: in questo caso l’operato dei commissari è stato sottoposto a un vaglio non solo formale, ma sostanziale», spiega il professionista, che vuol restare anonimo. Varie poi le lobby che influiscono nella scelta dei commissari: «Ognuna di esse spinge per la nomina del “proprio” commissario», conclude l’esperto. Il commercialista Maurizio Reggi ribadisce: «I politici piazzano i loro commissari nelle amministrazioni straordinarie. E questi a loro volta affidano le cause ad avvocati amici». Ancora più pesante il professor Sergio Noto, economista dell’Università di Verona, che accusa: «La politica s’è arrogata una funzione delicatissima e strategica quale il commissariamento delle imprese. Si innesca così un circolo vizioso fatto di invasività e inefficienza. I commissariamenti, nove volte su dieci, sono il frutto di un malinteso interesse pubblico. Prendiamo il caso di Alitalia: non è un salvataggio ma un’operazione dannosa per le finanze pubbliche e in ultima analisi per le tasche dei cittadini». L’economista contesta l’utilità delle ammministrazioni straordinarie, soprattutto se gestite all’“italiana”: «In molti casi è meglio lasciare che aziende che non sanno stare sul mercato crollino. Spesso i comissariamenti sono un modo per non far pagare le proprie responsabilità a chi ha sbagliato. Lasciamo invece che prevalga il mercato. E non facciamo pagare ai risparmiatori colpe che sono di altri».
E c’è chi finisce in manette. La casistica in effetti non incoraggia. C’è chi cambia in corsa la società di revisione – facendo così sborsare parcelle milionarie per un lavoro gettato via – e c’è chi smembra la società commissariata per rivenderla a pezzi agli amici degli amici. C’è chi, addirittura, scappa con la cassa della società che era da salvare: è successo nel caso del commissario governativo incaricato per la Metalli Preziosi Lares Cozzi di Paderno Dugnano, Salvatore Castellano, finito nel 2010 in manette con il titolare dell’azienda, Marcel Astolfi, con l’accusa di aver intascato i soldi della cassa integrazione degli operai. Nel caso di un istituto di credito commissariato, la Banca Tercas, c’è chi si è chiesto come mai i revisori non avessero notato nulla quando il piccolo istituto si era lanciato in spericolate acquisizioni che ne hanno determinato l’implosione.
In altri casi a dominare è l’incertezza, come nel caso di una grande realtà della moda finita commissariata, il gruppo Ferré, ora in mano al Paris Group della famiglia Sankari, di Dubai. La griffe Mariella Burani, dopo il commissariamento, è adesso contesa da capitali cinesi, con esiti che appaiono incerti. Dubbi sono sorti anche sul modo in cui è stato gestito il commissariamento di una società che tratta dati sensibili di pezzi nevralgici dello Stato, la Agile, un ramo di Eutelia. Discusso l’esito dell’amministrazione controllata di un gruppo che ha fatto la storia degli Anni 90, il Pollo Arena, che secondo osservatori critici sarebbe stato inopportunamente smembrato. Critico anche il risultato dell’amministrazione straordinaria della Valtur, tra le principali aziende italiane operanti nel settore del turismo, per ora senza acquirenti.
Esempi positivi. Ci sono però anche esempi virtuosi, come l’esperienza del commissariamento della Lamborghini. La casa fondata da Ferruccio Lamborghini e rilevata dalla tedesca Audi nel 1998 dopo vari passaggi di proprietà e un periodo di amministrazione controllata (tra il 1978 e il 1980) oggi vende 1.600 bolidi l’anno e continua serena la sua produzione a Sant’Agata Bolognese. Nelle relazioni con i dipendenti oggi si ispira al modello Volkswagen-Audi: premi di produttività, rispetto del contratto nazionale dei metalmeccanici, ottime relazioni con la Fiom. Ma purtroppo sono casi rari, che si contano sulla punta delle dita di una mano. La “Commissariamenti Spa” ha fame.