Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  aprile 12 Venerdì calendario

Rapporto del questore Ceola sull’omicidio Petrosino (2 aprile 1909)

Tratto da: Arrigo Petacco, Joe Petrosino. Mondadori, Milano 2001
Già da qualche tempo risultava a codesta Questura che il pericolosissimo pregiudicato Vita Cascio Ferro, di Accursio e di Ippolito Santa, nato il 25 giugno 1862, era ricercato dalla polizia di NewYork quale autore, con altri, dell’assassinio di certo Benedetto Madonnia, il cui cadavere fu trovato dentro un barile tagliato a pezzi. Ora, da notizie giunte da New York, risulta che Petrosino intendeva visitare anche il comune di Bisacquino dove il Cascio Ferro ha la sua residenza. E poiché è notorio, anche perché il «Giornale di Sicilia» occupandosi a suo tempo del menzionato delitto accennò all’accusa elevata contro Cascio Ferro (allora erroneamente indicato per Cassa Ferro), aggiungendo che del caso era incaricato il tenente Petrosino, non sarebbe improbabile che il prementovato funzionario intendesse recarsi a Bisacquino proprio per occuparsi del suddetto pregiudicato il cui nome, d’altra parte, figura a chiare lettere nel suo taccuino. Il Cascio Ferro, di cui si allegano i precedenti, emigrò in America nel 1901 per sfuggire alla vigilanza speciale e ne tornò nel 1904 (ossia dopo la consumazione del «delitto del barile») destando meraviglia per la sua improvvisa ricomparsa a Bisacquino.

Ora, egli risulta notoriamente affiliato alla cosiddetta «alta Mafia»; ha estese relazioni nei comuni limitrofi nonché nei circondari di Bivona, Sciacca e Palermo ove controlla i pregiudicati più terribili. In questa città egli viene con frequenza, dimorandovi anche per parecchi giorni. Quantunque non risulti avere fonti di reddito, mena vita dispendiosa frequentando teatri e caffè e giocando presso questo Circolo dei Civili somme molto rilevanti. Pertanto si ritiene che nelle sue perigrinazioni, durante le quali, per la sua non comune scaltrezza, riesce difficile farlo sorvegliare, egli possa organizzare impunemente i suoi reati.

Il Cascio Ferro vorrebbe far credere che i suoi mezzi gli provengono dall’opera di mediatore da lui prestata nella vendita delle derrate per conto dell’onorevole De Michele Ferrantelli e del barone Inglese che lo onorano della loro amicizia e protezione. Nei giorni scorsi, prima delle elezioni politiche, il surripetuto Cascio Ferrosi allontanò da Bisacquino e vi rientrò il 18 marzo facendo intendere di essere stato impegnato nei comuni del collegio elettorale di Burgio e Bivona per lavorare alla riuscita della candidatura del prefato on. De Michele. Da allora è scomparso.

Poiché non è stato possibile accertare con precisione dove egli si trovasse il giorno in cui fu ucciso Petrosino, e pure ammettendo che egli sia stato in giro nei comuni anzicennati per il motivo suespresso, non è da escludere che il giorno del delitto egli possa essersi recato a Palermo per la sua organizzazione o per commetterlo egli stesso, ripartendo immediatamente per Burgio onde costituirsi un alibi. Risulta ancora che egli, quando viene a Palermo, prende talvolta alloggio all’Albergo Belvedere, sito in piazza San Francesco, in prossimità di piazza Marina, ma quasi sempre, per non lasciare traccia del suo passaggio, trova alloggio presso amici e protettori.

Per quanto riguarda gli altri nominativi elencati nelle due lettere anonime, firmate «un onesto siciliano», già inviate al vostro esame, credo sia mio dovere riassumere la biografia penale di alcuni degli individui cui si fa cenno.

Il Giuseppe Fontana, notorio mafioso più volte ammonito e condannato per grassazione, rapine, ecc. fu direttamente accusato quale autore principale dell’assassinio del commendatore Notarbartolo. Emigrato, in seguito, in America è considerato dalla polizia locale un malvivente terribilissimo. Gli si attribuiscono tre delitti e si ritiene che viva di estorsioni e di ricatti. La polizia ritiene altresì che la birreria posseduta a New York da Fontana e da Ignazio Milone, sia un luogo di riunione degli affiliati della «Mano Nera». Sono da tempo in corso le pratiche per la sua espulsione dagli Stati Uniti. Si deve aggiungere infine che, sibbene dal certificato penale pervenuto da codesta ill.ma Presidenza del Tribunale, non risulti che una sola imputazione dalla quale peraltro figura assolto per insufficienza di indizi, dagli atti del mio Ufficio le imputazioni mosse al Fontana risultano assai più numerose.

Il Giuseppe Morello, da Corleone, emigrato da parecchi anni in America, è stato più volte condannato per fabbricazione e spaccio di banconote false. Dall’America fu segnalato più volte come responsabile di gravi reati. Devo aggiungere che, secondo il sottoprefetto di Corleone, Morello non sarebbe estraneo all’omicidio di Petrosino essendo esso avvenuto in coincidenza con le pratiche per la di lui espulsione dall’America che sarebbe sicuramente avvenuta appena Petrosino avesse accertato resistenza di una condanna a 6 anni di reclusione emessa dal Tribunale di Messina nel 1894 e dal Morello mai espiata.

Ignazio Lupo, di Rocco e di Saitta Onofria, di anni 32, da Palermo, è tuttora ricercato dalla polizia italiana per l’uccisione di certo Salvatore Morello. Sul suo conto sono in corso le pratiche di espulsione da parte della polizia americana. Anche gli altri nominativi elencati dall’anonimo nelle sue due lettere corrispondono a pregiudicati che si trovano in posizioni analoghe a quelle suaccennate.

Di conseguenza, come già espressi negli altri rapporti, la causale dell’uccisione di Petrosino deve ricercarsi principalmente nel timore enorme che la sua preannunziata gita in quest’Isola deve avere prodotto fra i numerosi delinquenti siciliani responsabili di gravi reati, rimasti finora impuniti, che si sono rifugiati negli Stati Uniti, così come fra quelli che sono fuggiti di là in Italia per sottrarsi alle ricerche di quella polizia.

Per essi, non vi ha dubbio, il viaggio di Petrosino, di cui i giornali di New York diedero dettagliate notizie molti giorni prima, rappresentava un imminente gravissimo pericolo. Di conseguenza fu decisa e organizzata con feroce astuzia la di lui soppressione.

E il truce misfatto, che impressione enorme destò ovunque, sarebbe rimasto avvolto nel mistero più profondo, anche in omaggio a quel non mai abbastanza deplorato e deplorevole principio di omertà, se il sequestro della copia del telegramma spedito da Partinico dal Costantino Carlo al Morello Giuseppe di New York: «Io Lo Baido lavoro Fontana», non avesse gettato uno sprazzo di vivida luce nel regno tenebroso delle ricerche.

Quel breve telegramma di quattro parole soltanto fu una rivelazione ed assunse importanza eccezionale quando furono identificati lo speditore e il destinatario e quando, a loro riguardo, vennero assodate le gravi circostanze di fatto, consacrate nei precedenti rapporti da me inviati.

Carlo Costantino e Antonino Passananti tornarono improvvisamente dall’America cercando di giustificare il loro inaspettato ritorno con la scusa di essersi così voluti sottrarre al pagamento di alcuni piccoli debiti, mentre entrambi portavano in Italia grosse somme di denaro e mentre, appena poco tempo prima, il Costantino aveva divisato di stabilirsi definitivamente a Brooklyn dove si era fatto costruire una casa di proprietà arredata con mobili e velluti di lusso.

Costantino, che per sua stessa ammissione viaggiò sotto falso nome, afferma di essere sbarcato a Le Havre, mentre a noi risulta che scese a Napoli. Interrogato a proposito del misterioso telegramma, non ha voluto spiegare perché non lo firmò e perché rifiutò di dare il proprio indirizzo all’ufficio telegrafico. Circa il testo misterioso ha cercato di fare intendere che egli doveva acquistare vino assieme a un certo Lo Baido per incarico del Fontana, ma poi non sa spiegare perché ha indirizzato il telegramma al Morello (che afferma di non conoscere neppure di vista) invece che al Fontana. Inoltre, per quante ricerche fatte, non è stato rintracciato alcun Lo Baido che si occupi di vino e che sia conosciuto dal Costantino.

Interessanti sono alcune fotografie sequestrate al Costantino, in una delle quali si vede il prospetto di un negozio di New York intestato alla ditta «Pecoraro - Lo Baido». Io nutro infatti il sospetto che il Lo Baido della ditta «Pecoraro - Lo Baido» di New York, e il Lo Baido del telegramma, sia in realtà Antonino Passananti che, forse, come è d’uso in America, si nascondeva sotto questo nome.* Prove comunque non ne ho trovate e, pel momento, non posso quindi escludere che possa trattarsi di altra persona. È degno tuttavia di nota il fatto che Passananti è scomparso la mattina del 12 marzo, giorno in cui a Palermo fu ucciso Petrosino. Devo inoltre segnalare a questo proposito la lettera anonima inviata da Brookiln, che è già di vostra conoscenza, in cui si afferma chiaramente che i «partinicoti» Costantino e Passananti furono incaricati di compiere il delitto.

Per quanto riguarda Vito Cascio Ferro pregiomi significare che i miei agenti lo stanno cercando.

Riassumendo: abbiamo la prova che Cascio Ferro temeva di essere ricercato da Petrosino; la conferma della di lui scomparsa da Bisacquino e il noto appunto scritto a lapis dal tenente americano in cui il Cascio Ferro è indicato come un terribile criminale. Abbiamo ancora l’esito delle perquisizioni eseguite al domicilio di Costantino, le di lui dichiarazioni e giustificazioni risultate false; la scomparsa del Passananti il giorno del delitto; una lettera anonima diretta al console americano Bishop che indica Morello quale organizzatore del delitto; i tre anonimi a me diretti nei quali vengono chiamati in causa Cascio Ferro, Costantino e Passananti.

Tutte queste documentazioni, già assai gravi di per se stesse perché basate su dati di fatto, raggruppate insieme si completano perfettamente ed assumono forza di prova diretta, evidente e indiscutibile.Circa il movente del delitto credo che, dopo quanto ho esposto,si possa affermare che luce completa sia stata raggiunta.

Veniamo ora agli esecutori materiali dell’omicidio. Due furono sicuramente gli autori diretti: molti sono stati i cooperatori e i complici, necessari non solo per la consumazione del reato, ma anche per agevolare la fuga degli esecutori. Costoro credo di averli tutti individuati fra le settanta persone che feci arrestare. Si tratta di tredici pregiudicati, oltre naturalmente Cascio Ferro, Costantino e Passananti, di cui allego l’elenco e che pregiomi di denunciare a codesta Ill.ma Sezione di accusa quali responsabili dell’uccisione del tenente Giuseppe Petrosino.

II Questore Baldassarre Ceola**

* Peccato che il questore Ceola ignorasse che Costantino, fin dall’epoca del «delitto del barile» si faceva chiamare Pecoraro. In tal caso il suo sospetto si sarebbe trasformato in certezza.

** II rapporto del questore di Palermo, ricco di felici intuizioni e di prove documentate, convinse i magistrati della Sezione d’accusa a far tramutare in arresto il fermo dei tredici sospetti, mentre due mandati di cattura venivano spiccati nei confronti di Cascio Ferro e di Passananti.