Francesco Bonami, IL 12/4/2013, 12 aprile 2013
IL DESIGN DALLA A ALL’AK-47
Si può dire che il terrorismo è l’artigianato della guerra e che l’artigianato è il terrorismo del design? Perché no. In entrambi casi il saper pensare senza sapere chi sa fare o chi sa sparare è abbastanza inutile. Il dibattito sull’artigianato è una cosa vecchia. Molti lo hanno spostato in un limbo a metà strada tra il folklore e l’industria. La birra artigianale è una delle più grosse mistificazioni del nostro tempo. Non ha nulla a che fare con il design, ma è un esempio perfetto di come il povero artigiano sia stato trascinato dentro una specie di slow design e di endangered species, ovvero un povero pellerossa o nativo-americano in una riserva spopolata. La birra artigianale è un paradosso visto che la birra per antonomasia, Oktoberfest docet, è una sostanza da consumarsi preferibilmente in quantità industriali. Bere otto litri di birra artigianale è un suicidio. Ma la mania del doc ha infettato anche le cose più semplici, tipo la pizza, nate per essere divorate dalla massa.
Siamo arrivati alla pura perversione dell’artigiano e del suo mestiere, trasformandolo in couturière di cianfrusaglie. L’artigiano era l’antidoto del designer. Produceva belle cose a basso costo e gli potevi anche dire come fare le belle cose che lui certamente sapeva fare.
L’artigiano sta alla sedia come il geometra sta alla architettura. Se vogliamo una casa confortevole e razionale si va dal geometra, se si vuole un’architettura doc si va dall’architetto. Così per una normale sedia o un tavolo. Se li vogliamo confortevoli e pratiche, andiamo dall’artigiano. Se li vogliamo più scultoree e probabilmente un po’ scomode, andiamo dal designer. Un tempo tutto questo era chiaro, ma poi il design si è infiltrato – questo sì in modo terroristico – dentro la quotidianità e anche il povero artigiano si è dovuto tramutare in una sorta di Carlo Petrini dell’oggetto. Un tempo gli artigiani erano galline dalle uova d’oro. Producevano oggetti di altissima qualità, ma anche di altissima semplicità. Ma oggi viviamo nell’epoca di Paolo Parisi, un tizio che ha inventato anche l’uovo doc obbligando le galline a bere latte di capra: capite bene, dunque, che anche il povero artigiano si trova in difficoltà.
Come fa un povero cristiano abituato a mangiare uova di galline normali a fare un sedia per Paolo Parisi?
Deve per forza anche lui trasformarsi, da artigiano in qualcosa di altro. Terrorista del design lo definirei, così come Paolo Parisi è un terrorista della frittata. Se la frittata non è più solo una frittata, anche una sedia può non essere più solo una sedia.
In questo dibattito interviene Martino Gamper, un designer più artigianale di altri anche perché potremmo definirlo una specie di Ferran Adrià del mobile, nel senso che destruttura tutto per ricreare qualcosa denso di memoria, ma fresco come una rosa. Ci si siede a un tavolo di Gamper senza sapere che in effetti ci stiamo sedendo davanti a un armadio di Gio Ponti. Anche Gamper è un po’ terrorista, uno che ha creato un design cifrato come i comunicati delle BR, e su questo punto torneremo più tardi.
Bisogna saper leggere fra gli intarsi di Gamper. Lì dentro c’è la storia del design quando il design non era solo una trovata e un’idea, ma un linguaggio strettamente legato al saper fare le cose, non solo a produrle. Oggi tutto è soggetto alla produzione, trasformando il saper fare artigianale in un saper fare di massa. L’Ikea è l’ultima spiaggia del design. In America esiste Design Within Reach, dove in teoria si possono comprare oggetti di design a costi ragionevoli, ma in realtà non è vero.
La verità è che il design non può essere a portata di mano se non torna a essere semplice artigianato. Il design è l’haute couture dell’oggetto. Non esiste un haute couture within reach, a portata di mano, perché quello si chiama prêt-à-porter. Ora invece il design si è intestardito e vuole essere contemporaneamemte haute couture e prêt-à-porter. Non è possibile. Ikea non è design, ma pseudo-design nobilitato da una serie di nomi scandinavi da far venire l’esaurimento nervoso. Dopo aver valutato l’acquisto di una poltrona Ektrop, di un divano Klippan, di una lampada Ledsjo o di uno specchio Isfjorden, uno vuole uscire e comprarsi una semplice sedia impagliata fatta in Vietnam. Ma sulla sedia impagliata, ecco che interviene d’imperio Lotta Artigiana, ovvero un ipotetico gruppo di artigiani estremisti che rifiutano sia l’imperialismo nazional popolar nordico dell’Ikea sia lo starkismo. Combattono su un doppio fronte: l’Ikea con attacchi al cuore del piumone e l’imperialismo di Stark con l’occupazione pacifica dei boutique hotel. In questo contesto la figura di Martino Gamper è un po’ quella di un comandante Marcos dell’artigianato. Con lui si vive una sorta di esproprio proletario del design storico, per riportarlo a forme e usi meno prevedibili (più popolari non si può dire, visto il costo delle rivoluzioni gamperiane in termini di produzione di mobili). Gamper ha un approccio decisamente sovversivo nei confronti del design odierno, spesso diventato una parodia di se stesso.
Tutto questo ci conduce al terrorismo come artigianato della guerra o design della rivoluzione. Un libro intitolato Branding Terror di Artur Beifuss e Francesco Trivini Bellini mostra come il terrore non sia molto distante dal marketing del design. Ogni gruppo terrorista ha il problema di quale logo appiccicare ai propri attentati, in modo che si riconoscano da quelli degli altri. Così un’escursione dentro il graphic design del terrore è molto istruttivo. Alcuni ricorderanno quando il brigatista Mario Moretti disse che il simbolo delle Brigate rosse, il famoso cerchio a cinque punte, veniva disegnato usando una moneta da cento lire. Più artigianale di così. Eppure graficamente si può dire, con tragico rammarico, che ebbe un gran successo. Così come il simbolo della Baader Meinhof si dice fosse stato disegnato da Thomas Bayrle, oggi diventato un artista cult delle nuove generazioni, ma paladino di un’arte che piega la tecnologia e il design alle proprie esigenze, non al contrario.
Questo per dire come il destino del design e della grafica possa prendere ancora strade molto diverse, dai loghi delle organizzazioni terroristiche al rifiuto di vedersi trasformato in una sorta di folklore fuori salone. Gamper e il branding del terrore toccano due nervi vivi del mondo del design odierno. Il nervo dell’artigianato e la sua necessità di tornare alle proprie origini funzionali, al proprio passo né slow né fast. Il nervo del branding, un metodo inflazionato e svilito al punto tale da essere diventato un problema anche per il terrorismo internazionale.