Francesco Specchia, Libero 12/4/2013, 12 aprile 2013
DETRITI E ROTTAMI IN ORBITA, GLI ITALIANI FANNO PULIZIA
Il cielo trapunto di stelle, in realtà, è una cloaca che guarda la Terra. Un frullare di laminati senz’anima, di satelliti in disuso, di sonde aerospaziali dimenticate nel cosmo assieme ai sogni di colonizzazione perduti in qualsiasi filmaccio di fantascienza.
Il cielo, se uno lo sapesse bene osservare, è dunque un’immensa discarica che va dall’Orsa Maggiore alla Costellazione di Orione: si rivela un business dei rifiuti da 150 miliardi di dollari all’anno. Il problema è che quest’accozzaglia di sogni infranti e calcinacci, rischia, tra poco, di crearci danni. Danni reali. Attorno alla Terra viaggiano, infatti, circa 6mila satelliti, di cui solo 800 in funzione, accompagnati da una lunga scia di detriti: una massa di corpi celesti fatta da 300 milioni di frammenti. E il rischio di «congestione» del traffico orbitale diventa sempre più forte: basti pensare che nei prossimi otto anni saranno pronti al lancio altri 1200 satelliti.
Tra le cinque migliori aziende tecnologiche europee che hanno appena vinto ad Amsterdam il prestigioso Award Red Herrig Top 100 (oltre a Wi- Next, RTR Rete Rinnovabile, WiTech e Zerogrey) c’è D-Orbit; ovvero una start up incubata all’Università di Firenze che ha il compito di «spazzare» lo spazio. Sta interessando la Nasa. Secondo gli esperti, collisioni come quella avvenuta nel 2009 fra i satelliti Kosmos 2251 (Russia, in disuso) e Iridium (Usa, attivo) saranno sempre più frequenti; e qualcuno si spinge a tirare fuori dal cassetto la sindrome di Kessler, con la previsione catastrofica di un oscuramento delle orbite per via di scontri e detriti. Senza considerare che alcuni di questi detriti potrebbero caderci, dritti dritti, sulla capoccia. La gente non è ben informata, ma la pioggia di corpi celesti è progressiva. Il satellite Rosat, tra gli ultimi caduti, è, per esempio, un oggettino da 2,5 tonnellate inabissatosi nel Golfo del Bengala; se fosse rientrato 7 minuti dopo si sarebbe schiantato nel centro di Pechino. Tutte le nazioni osservano e calcolano, nessuno che pulisce. Invece D-Orbit, la squadra messa in campo da Luca Rossettini, ingegnere aerospaziale con master in sostenibilità strategica, e da Renato Panesi, anch’egli ingegnere con esperienza in Finmeccanica, entrambi di 37 anni (si sono conosciuti nella Silicon Valley, avevano vinto una borsa di studio) ha intuito il business.
D-Orbit ha brevettato un dispositivo propulsivo, realizzato dai tedeschi di Bayern Chemie, da installare sui satelliti - coprendone appena il 5% della superficie prima del lancio, per favorire il loro rientro in atmosfera e per distruggerli al termine della loro vita operativa. «Il dispositivo fa rientrare il satellite, o lo sposta in un orbitacimitero, in poche ore, mentre oggi un satellite impiega fino a 25 anni. Invece l’area di rientro di eventuali detriti non bruciati dall’at - mosfera è calcolata nell’Oceano Pacifico », spiega Rossettini. In pratica, si tratta d’una specie di piccola navetta che, esaurito il tempo di vita del satellite, si attiva e lo spinge verso il basso, «de-orbitandolo». L’operazione appare molto più semplice che nei film alla Star Wars o alla Space Truckers. I mass media ci hanno sempre dato, delle discariche in orbita, un’immagine oscura. Ci sovviene che perfino nel manga Planetes di Makoto Yukimura -uno dei più angoscianti fumetti giapponesi di sempre- le orbite dei pianeti diventavano nastri imperlati di detriti; ed era una faticaccia non caderci dentro. Invece il progetto D-Orbit pare l’uovo di Colombo. Intanto, ha conquistato TT Venture, il fondo di venture capital promosso da Fondazione Cariplo, che ha investito 300 mila euro nella start up. «Per il nostro primo anno di vita ci siamo posti tre obiettivi: depositare il brevetto, realizzare il primo dimostratore e il business plan che preveda la commercializzazione. Centrato il primo target, e in corso di ultimazioni gli altri due, il dispositivo sarà pronto per volare ed essere commercializzato nel 2013», continua Rossettini.
Della squadra fanno parte anche Thomas Panozzo, program director in Arianespace e Giuseppe Tussiwand, 10 anni di esperienza nel progettare motori per razzi. «Al momento stiamo progettando tre classi di dispositivi per tutti i satelliti da 50 Kg in su, in futuro aggiungeremo una classe per i satelliti più piccoli». L’innovazione di Rossettini e soci sarà lanciata sul mercato a un costo compreso fra uno e 1,5 milioni di dollari. «Una cifra molto competitiva se si considera che oggi per spegnere un satellite si anticipa il suo fine vita facendo perdere diversi milioni di euro di trasmissioni dati». Com’era ovvio, anche altri competitor si stanno affacciando al mercato. Pure i russi sono rimasti impressionati dagli scontri metallici oltre la ionosfera; e proprio l’Accademia delle scienze della Russia, attraverso una speciale sezione che risale addirittura al ’53, grazie a nuovi strumenti di cui si è dotata, si sta specializzando nello studio dei rifiuti spaziali e di altre «macerie» di oggetti celesti.
Un’altra soluzione al problema verrebbe dal Gruppo di Robotica Spaziale dell’Università di Bologna, dove da poco è nato il progetto «Redemption». Acronimo, che sta per REmoval of DEbris using Material with Phase Transition - IONospherical tests, ossia per un particolare spray colloso in grado di fare indurire ed espandere la materia, portando gli oggetti a dieci volte le proprie dimensioni originarie. Così, i corpi estranei uscirebbero dall’orbita terrestre o si sposterebbero verso l’atmosfera, autodistruggendosi. Insiste Rossettini: «La materia dei detriti orbitali è molto sentita, con un codice discusso da Esa, Nasa e Jaxa. La regola dei 25 anni in orbita e non oltre, è diffusa in tutti i Paesi che hanno accesso allo Spazio ed inoltre esiste una normativa, approvata in Francia e in fase di approvazione internazionale, che comporta già degli obblighi più stringenti per gli operatori. Se verranno poi estesi, come sembra, in termini di dismissioni più attive e sicure, noi vogliamo farci trovare pronti…».Si sono, in effetti, fatti trovare pronti. Gli spazzini spaziali battono bandiera tricolore. Insomma, per una sorta di nemesi storica, o di giustizia distributiva, quel che abbiamo sporcato in Italia, ripuliremo in cielo….