Mario Ajello, Il Messaggero 12/4/2013, 12 aprile 2013
QUANDO D’ALEMA DICEVA: MI VORREBBE SPEDIRE A FARE IL NONNO AI GIARDINETTI
Che idillio, adesso. Ma non erano nemicissimi Renzi e D’Alema, il moccioso e il «nonnetto»: «E io comunque i nonnetti li rispetto», come disse il giovin Matteo? La rottamazione li divise aspramente («Vorrebbe mandarmi ai giardinetti», si lamentò Max: «Ma non riuscirà a mandarmici») e la critica a Bersani li riunisce magicamente. Fino a trasformarli in una strana coppia che s’era tanto non amata ma in politica mai dire mai. «Matteo non mi ha rottamato, sono io che mi sono auto-rottamato», assicura adesso D’Alema. I cui seguaci, quando l’amore pareva impossibile, addirittura si sforzavano a tirare fuori citazioni di Antonio Gramsci per dimostrare che ci sarebbe qualcosa di fascistico nella retorica giovanilista del ricambio a tutti i costi.
In altri tempi, D’Alema era stato durissimo: «Renzi si farà del male». E Renzi aveva risposto con altrettanta schiettezza: «C’è qualcosa di intimidatorio nel presidente del Copasir che parla così». Ora però il sindaco è diventato «un sindaco che io apprezzo da sempre». E il simbolo della vecchia politica di matrice Pci, agli occhi del «ragazzino», è «una personalità importante»: stessa definizione che D’Alema dà di Renzi ora che è scoppiata la pace delle reciproche convenienze. E comunque, se ieri Max non fosse andato a trovare Matteo, visto che si trovava a Firenze per parlare al convegno di Palazzo Strozzi su «La crisi dei partiti politici in Europa», il non evento avrebbe fatto forse più rumore dell’evento. Perchè è da un po’ che i due hanno cominciato a ricucire. O meglio, è Max che via via è andato riabilitando Matteo («Sto apprezzando il suo impegno per il Pd in campagna elettorale», ha detto prima del voto) e poi, a Otto e mezzo: «Matteo è un bravo ragazzo. Ha dimostrato di avere la maturità del leader politico». Ancora di più. Qualcuno giura di aver sentito dire a D’Alema subito dopo il non successo nelle urne: «Forse, se ci fosse stato Renzi al posto di Bersani, avremmo vinto le elezioni». E pensare che, prima della svolta filo-renziana, c’era chi attribuiva a D’Alema l’idea di una scissione, nel caso il rottamatore avesse vinto le primarie. Esagerazioni. Però i toni, quelli veri, erano di questo tipo: «Non sarà Renzi a mandarmi in pensione. E se dovesse vincere le primarie, sarà scontro».
La passione per la politica, che entrambi hanno nel sangue fin da giovanissimi, è il trait d’union tra questi due cavalli di razza, di diversa generazione, che ieri si sono ritrovati in queste parole firmate dal più anziano della neo-coppia: «Dobbiamo lavorare insieme per trovare una soluzione, sennò l’Italia affonda». Ma la tendenza alle battute ficcanti è un’altra caratteristica comune, che li ha portati a duellare. Chi ha attaccato chi? «Io non ho mai attaccato Matteo», giura D’Alema: «E’ sempre stato lui ad attaccare me». «Io non ho mai fatto questioni personali», è il mantra del sindaco: «Ma discorsi generali sulla necessità del rinnovamento». Ora si sparge miele. Prima ci spalmavano il sale. D’Alema durante le primarie (ma ha smentito): «Renzi dice di girare in camper e invece a Sulmona è arrivato con il jet». Renzi: «E’ vero. Ma io il jet lo pago con i miei soldi». D’Alema: «Renzi è sostenuto da chi non vuole il Pd al governo». Renzi: «D’Alema è l’uomo di Telecom». Ci voleva Bersani, da entrambi considerato un ex, per fare il miracolo della riconciliazione.
M. A.