Riccardo Staglianò, il Venerdì 12/4/2013, 12 aprile 2013
ALCAMO. PROFONDO SUD DOVE UNO SU DUE HA VOTATO PER BEPPE GRILLO
ALCAMO (Trapani). Nella controra una lama di sole marca il confine di piazza Ciullo. Reduci da un lungo inverno piovoso che ha benedetto le vigne e maledetto lo struscio, gli alcamesi ne approfittano. Un settantenne che raschia avidamente un gratta e vinci s’interroga sul risultato per poi stracciare la scheda, deluso. Un quarantenne in tuta da ginnastica cerca occasioni su un catalogo di Carrefour. Un cinquantenne porta a braccetto la madre, l’unica che ignora la primavera incipiente con un completo da prefica di lana nera, comprese le calze spessissime. Due di queste quattro persone, statisticamente parlando, hanno votato Beppe Grillo. Con il 48 per cento delle preferenze, Alcamo, ex feudo democristiano governato negli ultimi vent’anni da una sinistra che è andata via via sbiadendo, è diventata la primatista nazionale del Movimento Cinque Stelle. Se tutta l’Italia ha conosciuto lo tsunami, questo borgo di 45 mila anime, famoso per il poeta omonimo della Rosa fresca aulentissima, un vino bianco dal “gusto fresco, sapido ed elegante” e percentuali bulgare di antiche coalizioni oggi rottamate con fragore, ne è l’ipocentro. Che conviene osservare da vicino per cercare di capire se, già alle prossime e forse imminenti elezioni, le onde anomale si propagheranno nel resto del Paese con la medesima forza.
San Giuseppe, giorno di festa. La piazza diventa un sondaggio peripatetico. Chiedo a un diciannovenne se li ha votati per le loro ricette economiche. “Se propongono quel che propongono, che per adesso mi sfugge,
penso che un cambiamento ci potrà essere. Dando ai giovani la possibilità di trovare lavoro”. Fiducia in bianco. Un pensionato arrabbiato li ha scelti perché vuole “la riduzione di stipendi e pensioni d’oro e d’argento di questi baronetti. Togliere il 70 per cento e l’Italia si mette a posto”. Un cinquantenne sta con loro perché “prima la sinistra era il partito dei poveri, ora fa gli accordi coi miliardari. I veri compagni sono i 5S”. Solo un ventenne preferirebbe non rispondere, intimorito dal nuovo pensiero unico locale: “Sono tutti grillini, ma sulla vittoria c’è un grosso alone di demagogia”. Un vecchietto con una scriminatura perfetta rivendica il voto, per rompere col passato. Ma il futuro resta un’ipotesi: “Cosa cambierà. Questo unno saccio”. Una cosa per volta. L’importante era archiviare il passato prossimo. Che ha i nomi del combinato disposto di Giacomo Scala e Nino Papania, ex sindaco e senatore di riferimento. Il primo, appena condannato per falso e abuso d’ufficio, non ha alcuna voglia di parlare con la stampa. Il secondo, con una puntualità kantiana su cui gli alcamesi hanno a lungo rimesso l’orologio - aspettandolo al varco per chiedere udienza all’autista che poi smistava al capo - , lo si può trovare ogni mattina dal barbiere che affaccia sul municipio. È lì anche stamani, come nei migliori western, che legge Il Giornale di Sicilia incorniciato da una mantellina candida mentre lo pettinano meticolosamente. E quindi lo strepitoso successo del M5S? “È del tutto naturale che in una città governata per vent’anni dalla stessa coalizione si avverta un’esigenza di rinnovamento”. Parla con un distacco olimpico, come se il dominus politico di quella coalizione fosse un altro. “Certo, ha influito che stavolta il candidato del centrosinistra non fossi io, che nelle primarie avevo preso oltre seimila preferenze”. Il Pd, dopo lungo e proficuo servizio, l’ha escluso dalle liste come “impresentabile” per il patteggiamento di una vecchia condanna per abuso d’ufficio. La circostanza che il suo factotum fosse un esattore dei clan, pur non coinvolgendolo penalmente, deve aver influito sull’allontanamento. E sull’insofferenza del paese (nonostante le persone che ancora si fermano per ossequiarlo) per un sistema di potere che sembrava controllare tutto, dall’assegnazione di uno dei mille posti in Comune alla concessione dei mutui. Spianando la strada all’exploit grillino.
La riscossa, per come la racconta Francesco Ruvolo, è iniziata da una domanda semplice pronunciata nel salotto di casa sua alla fine del gennaio 2012: “Non possiamo fare niente per la città?”. Erano in tre. La settimana dopo, dodici. Poi aprono su Facebook una pagina dal titolo Io non voto Papania, che raccoglie 550 adesioni in tre giorni. È l’embrione di Alcamo Bene Comune, in sigla Abc, che mette insieme cittadini di destra e sinistra, con una prevalenza di creativi e professionisti, che non ne possono più dell’ancien régime. L’entusiasmo che intercettano è tale che Papania, pronto a candidarsi sindaco, annuncia un “passo di lato” per lasciare l’incombenza al medico Sebastiano Bonventre, che poi diverrà primo cittadino con uno scarto lillipuziano di 39 voti sulla sigla neonata. “Hanno portato a votare anche i morti” denunciano i rappresentanti di lista dei perdenti, alludendo a malati in ambulanza e a furgoni pieni di ultraottuagenari. Tra loro c’era una biologa bionda senza alcun precedente di politica attiva. Quella Valentina Palmeri che, quando nella migliore tradizione del centrosinistra, il movimento si è scisso in due tronconi, è passata nel nucleo iniziale del M5S cittadino. Lo stesso che, in netta controtendenza rispetto alla giornalistofobia del movimento nazionale, mi fa partecipare a uno dei primi Meetup dopo il trionfo. Il raduno generale è ogni lunedì, dalle nove di sera in poi. “Rispetto a ottobre scorso, quando dietro ai banchetti in piazza eravamo in 3-4” racconta Alessio Tobia, trentacinquenne con barba e capelli normanni, laureato in filosofia che campa come pizzaiolo nei mesi estivi, "dopo il boom gli iscritti sono diventati 200". Prima si riunivano negli appartamenti, ora hanno affittato due stanze spoglie e autotassate in una viuzza del centro. Alessio si accoscia al centro, per moderare gli interventi. Assomiglia a un gruppo di lavoro di Occupy Wall Street, anche per l’assoluta eterogeneità politica dei partecipanti. Chiedo chi votassero prima: un terzo sinistra, un terzo destra, un terzo Idv o astenuti (meno di un quarto, invece, avrebbe detto sì a Grasso presidente del Senato). Sul fatto che avere l’acqua corrente una volta alla settimana è un problema, convergono senza sforzo una casalinga ex rifondarola e un geometra post-fascista. Sono anche d’accordo sul riqualificare Alcamo Marina, la dépendance estiva degli alcamesi che ha la densità abitativa e un ordine urbanistico liberamente ispirato a una favela di Rio. Il geometra però dissente, infilandosi in una giungla di tecnicalità, sulla natura abusiva delle villette. Sembra l’unico a pensarla così, non convince, ma lo ascoltano con discreta pazienza. È uno spettacolo sorprendente. Tocca al gruppo di lavoro sulla viabilità. Ce l’hanno tutti con i cordoli che riducono ulteriormente la strada che costeggia la piazza, su cui più d’un anziano, uscendo dalla chiesa, sarebbe scivolato. Venire dal Pdl o da Sel, sul punto specifico, non rileva.
Antonio Lombardo, laureato in giurisprudenza ed ex dipietrista, rintuzza il mio stupore davanti a tanta concordia bipartisan: “Le ideologie non esistono più. Destra e sinistra non contano: ci sono idee buone e cattive”. Norberto Bobbio non avrebbe potuto essere meno d’accordo. Eppure questo candore, così diverso dalla violenza verbale del leader carismatico, dai “morti viventi” agli “schizzi di merda”, sarebbe probabilmente piaciuto anche a lui. Il mistero, acuito dalla dimensione siciliana per cui niente è come sembra, resta fitto. Tobia ha aiutato Grillo nella logistica del tour nell’isola. Non riesce a non ribadire, più volte al giorno, che razza di straordinaria persona il comico sia: “Gentilissimo con tutti. Passava ore a parlare coi giornalisti. E non ci ha mai chiamato: non potremmo essere più liberi nelle nostre decisioni”. Lo ripetono tutti. C’è chi nega che sul presidente del Senato ci sia stata una spaccatura: “Invenzione dei media” o, in subordine, un tranello. Condividono nei confronti della stampa la disistima di Berlusconi o D’Alema. Loro sono per l’autogestione in streaming, anche dei Meetup, non appena ci saranno i soldi per la linea adsl. E Casaleggio? “Non è lui che decide quel che facciamo”; “È una figura astratta”; “Forse ha letto troppa fantascienza”. Insomma, non è un problema. Poco prima di mezzanotte arriva Ignazio Corrao, direttamente dall’Ars di Palermo, dove assiste l’eletta Palmeri e dove si battagliava sull’abolizione delle province. La chiamano al telefono, vogliono previsioni sul voto dell’indomani (vinceranno, passerà). “Mai le istituzioni sono state tanto vicine. La scatoletta di tonno non era solo una metafora” dice Marcello Lombardo, altro giovane veterano. Che ricorda che la differenza sostanziale tra loro e i partiti di prima è che ciò che dicono, tipo la restituzione degli stipendi, fanno. “La rivoluzione già realizzata è che fare politica è tornato a essere bello” dice una mamma trentenne, non so come neutralizzando il retrogusto retorico che avrebbe avuto in altre bocche.
Il 48 per cento dei record ha un padre, una madre e un fratello. Il clientelismo soffocante, con una sinistra a stento distinguibile dalla destra. La crisi economica, che ha ridotto le utilità da dare in cambio del voto (se non hai contropartita puoi, forse per la prima volta, esprimerti liberamente). E infine la ribellione che questo stato di cose ha generato in Abc. Quel seme ha poi germogliato dentro il M5S, che ne ha incamerato i voti. Massimo Ferrara, l’iniziatore della rinascita civica del ’93, nota le somiglianze: “Rabbia. Rinnovamento. E questa voglia di partecipare alla cosa pubblica è positiva”. Uno su due ha votato Cinque Stelle, l’altro sembra rimpiangere di non averlo fatto. En plein virtuale. La novità è che gente che aveva perso ogni speranza l’ha ritrovata. Ha smesso di stare al posto del passeggero e ha preteso di guidare. Dove arriveranno non si sa. Né se si andranno a schiantare, già alle prossime urne, sugli ukase di Grillo. Dopo un ventennio di totale immobilismo, è comunque un non trascurabile risultato.