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 2013  aprile 12 Venerdì calendario

SEUL, POTENZA ECONOMICA SOTTO DOPPIA MINACCIA


Un’auto esportata per ogni singolo abitante della Corea del Sud, neonati compresi. È questa la pietra miliare raggiunta in questi giorni dal gruppo Hyundai, che ha imbarcato su una nave la sua vettura numero 50 milioni. Proprio mentre la penisola appare al mondo come sinonimo di pericoli e potenziali attacchi, l’industria sudcoreana ha celebrato un traguardo simbolico del suo successo nell’assalto ai mercati internazionali. Hyundai mezzo secolo fa non esisteva; 40 anni fa esportò la prima Pony in Ecuador; nel 2001 la somma dell’export arrivava già a 10 milioni, raddoppiati nel 2006; la quota 30 milioni fu raggiunta nel 2009 e quella di 40 nel 2011. Una vera marcia trionfale, che nemmeno comprende le tante auto prodotte in Corea da case estere, come General Motors e Renault, per lo più per l’export.
Il settore auto e quello tecnologico (che ha come portabandiera i colossi Samsung e Lg) spiega nel modo più riconoscibile il perché un Paese partito da zero con dieci anni di ritardo su Italia e Germania - distrutto nei primi anni ’50 dalla guerra che divise in due la penisola - sia riuscito, con un’accelerazione spettacolare negli ultimi anni, a diventare una delle più dinamiche economie del pianeta, superando il nostro Paese in molti parametri, dalla quota dell’export globale ai rating di affidabilità creditizia assegnati dalle grandi agenzie.
Il cosiddetto "miracolo del fiume Han" appare ora insidiato da un doppio vento di destabilizzazione: la minaccia proveniente dal Nord, che Moody’s ha definito «credit negative», e quella proveniente da Est dalla politica ultra-espansiva della Banca del Giappone che indebolisce lo yen (rilanciando la competitività del principale concorrente) e rischia di provocare effetti distorsivi sul flusso internazionale di capitali.
Ma come il mondo intero guarda con ammirazione alla calma degli abitanti di Seul, così dalle autorità non vengono segnali di emergenza. Lo ha provato ieri la Bank of Korea, che a dispetto delle aspettative degli analisti internazionali e dello stesso Governo, ha deciso di non abbassare i tassi di riferimento, confermandoli al 2,75 percento. Una decisione presa anche se le mosse ultra-espansive della Bank of Japan avrebbero giustificato un allentamento e benché l’istituto centrale stesso abbia riconosciuto che l’economia è in decelerazione, abbassando le sue stime sul Pil di quest’anno dal +2,8% del dicembre scorso a +2,6 per cento. Il fatto curioso è che anche questa stima del +2,6% resta più favorevole di quella del Governo, che prevede un più modesto passo del +2,3%: di solito sono i ministeri a fare pronostici più ottimisti di quelli espressi dai santuari tecnici. L’istituto centrale, probabilmente, ha voluto tenersi strette le sue munizioni ed evitare di dare segnali di preoccupazione, snobbando anche il fatto che lo yen si sia deprezzato del 20% sul won dall’autunno scorso.
Qualche analista mostra di apprezzare: se la nuova politica monetaria giapponese è stata definita storica, l’economista Young Sun Kwon ha piuttosto definito «un momento storico per la Banca di Corea» quello di ieri, in quanto ha resistito alla tentazione di accodarsi a spinte per la crescita drogate dal debito e al tempo stesso ha affermato la sua indipendenza dal Governo (proprio quando a Tokyo le apparenze dicono il contrario). Una prudenza che si riscontra anche nella nuova amministrazione del presidente Park Geun-hye, che si prepara la settimana prossima a varare una manovra di stimolo all’economia, forse fino a 20mila miliardi di won (17,6 miliardi di dollari), impegnandosi però a contenere altre voci di spesa per non intaccare i fondamentali positivi del Paese. Fondamentali che hanno consentito la tenuta della Borsa (da due giorni in leggero rialzo) e frenato la discesa del won rispetto alla rinnovata forza del dollaro, anche se alcuni investitori stranieri per prudenza hanno alleggerito le loro posizioni su Seul. Del resto, ieri la banca centrale ha annunciato che metterà a disposizione una linea speciale addizionale da 3mila miliardi di won (2,6 miliardi di dollari) per il supporto alle piccole e medie imprese, soprattutto quelle tecnologiche che creano posti di lavoro.
Se anche il Nord dovesse confermare gli annunciati piani di chiusura della zona industriale mista di Kaesong, l’impatto più forte sarà per il regime nordcoreano, al quale verranno meno introiti pregiati mentre 53mila lavoratori nordcoreani perderanno il posto. Il Sud può assorbire il colpo, è il messaggio che viene da Seul, assieme a quello per cui, tutto sommato, non sarà un più o meno momentaneo vantaggio valutario a dare alla Sony i prodotti necessari a farle riprendere il primato mondiale che le fu strappato dalla Samsung.