Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il debito pubblico italiano ha raggiunto a luglio la somma di 1.838,296 miliardi di euro, una cifra record. Se volessimo tradurlo in lire – e ammettendo lo stesso cambio di dieci anni fa, cioè 1936,27 lire per un euro – dovremmo scrivere in cifre un numero pari a tre milioni e mezzo di miliardi di lire, qualcosa con quindici zeri.
• Come lo sappiamo?
La notizia viene dalla Banca d’Italia, ultimo Bollettino statistico, interamente dedicato alla finanza pubblica. Se si guarda l’andamento di questo numero micidiale, la battaglia sembra senza speranza: «Nel mese precedente il debito aveva raggiunto i 1.822 miliardi di euro, mentre un anno prima, a luglio del 2009, era di 1.754,7 miliardi. In dodici mesi l’aumento è dunque di 83,596 miliardi, pari al 4,76%, e siccome nel frattempo l’aumento del Pil è stato di circa l’1% ciò comporta che il rapporto debito-Pil continua ad aumentare». Il bollettino ci dice anche che il Fisco incassa meno di prima (ed è logico: c’è la crisi): «Le entrate tributarie, nei primi sette mesi del 2010 si sono attestate a quota 210,374 miliardi di euro, registrando un calo del 3,4% rispetto al corrispondente periodo del 2009». Il Ministero del Tesoro, che deve essersi sentito chiamato in causa, ha subito risposto con un suo comunicato in cui si sostiene che considerando il più 10,2% degli incassi erariali dei ruoli (cioè, molto alla grossa, i crediti che l’Amministrazione è riuscita a riscuotere) e altre partite varie il risultato 2010 è leggermente superiore a quello del 2009.
• Sul debito pubblico Tremonti non ha risposto niente?
No, su quello niente. E come avrebbe potuto? Per tagliare il debito pubblico bisogna tagliare la spesa pubblica. E come si fa? I precari bloccano i traghetti, le province non si possono abolire, il taglio degli enti inutili produce solo centinaia di cause in tribunale, se uno tocca i trasferimenti alle Regioni c’è la rivoluzione mondiale… La soluzione potrebbe essere il federalismo, se il federalismo riuscisse a introdurre negli amministratori centrali e periferici un certo senso di responsabilità. Ma nel discorso di Mirabello Fini ha ribadito che la spesa sociale storica è una vergogna, però non è che si può – subito subito – introdurre il criterio dei costi standard validi per tutti. Traduzione: se a Napoli un pace maker costa quattro volte di più che in Lombardia, beh lo si potrà magari far pagare tre volte, ma non proprio lo stesso! E in che modo con questa logica il debito pubblico si può abbattere? Per non dire dell’aumento dell’età pensionabile, altro tabù, benché gli italiani di 65 o 70 anni, specie se non hanno passato la vita alla catena di montaggio, potrebbero benissimo continuare a lavorare.
• E i giovani in produzione non li facciamo entrare mai?
Ha ragione. E non so rispondere. Ossia: per creare nuove occasioni di lavoro, impiegare i giovani e aumentare in genere il numero degli occupati, bisognerebbe investire, da parte dello Stato e da parte dei privati. Sappiamo già che, da questo punto di vista, il Paese, benché assai patrimonializzato, è fermo. Nessuno ha voglia di mettere denaro sul tavolo e la Pubblica Amministrazione, se volesse assumere, sarebbe bloccata proprio dal debito. Intendiamoci, se la Pubblica Amministrazione volesse creare non posti (cioè rendite) ma occasioni di lavoro autenticamente produttivo, allora forse… Ma ho l’impressione che per questo, alla nostra classe politica, manchi proprio la cultura. Non faccio differenze tra gli uni e gli altri. Anche Berlusconi, in politica, s’è dimostrato poco imprenditore.
• È importante abbattere questo debito pubblico? Alla fine che ce ne importa?
Allora non mi sono spiegato: è l’entità del debito che paralizza lo Stato, è l’entità del debito che ci mette a rischio sui mercati internazionali. Tremonti ha trovato un buon argomento per rintuzzare i rilievi degli investitori esteri: ha sostenuto che non si deve tener conto del debito pubblico solamente, bisogna sommare l’indebitamento dello Stato e quello delle famiglie. Qui l’Italia è ancora in vantaggio sul resto del mondo, benché la situazione sia leggermente peggiorata rispetto all’anno scorso. Nel senso che le famiglie italiane oggi fanno più debiti di prima.
• Come mai, se le cose stanno così, il mondo ci continua a prestare i soldi per tirare avanti? Voglio dire: i bot eccetera continuano ad andare a ruba.
La metà del debito italiano è in mano agli italiani stessi. Il deficit è sotto controllo. La Germania ci vuole deboli, in modo che l’euro non si rafforzi troppo. Ma non in default. In questo modo, finora, ce la siamo cavata. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 15/9/2010]
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