Carlo Mercuri, Il Messaggero 15/9/2010, 15 settembre 2010
GLI ESPERTI: ILLEGITTIME LE RICHIESTE DEI LIBICI
E’ ancora l’armatore del peschereccio “Ariete” a parlare con la più grande chiarezza: «Sa perché i comandanti dei nostri pescherecci non si fermano all’alt dei libici? Una volta in Libia confiscano la barca e mettono in carcere l’equipaggio». Anche se il Trattato italo-libico del 30 agosto 2008 afferma invece il contrario, stabilendo tra i due Paesi «un nuovo partenariato bilaterale» esteso anche alla pesca. Quindi, con tutte ma proprio tutte le garanzie, anche in flagranza di reato. Qui invece i libici hanno sparato addosso ai pescatori italiani, ed è un’enormità. E’ un’enormità intanto perché nessuno ha informato i militari libici dell’esistenza di un accordo «speciale e privilegiato» di partnership con l’Italia; e poi perché nessuna regola d’ingaggio al mondo giustifica l’apertura del fuoco contro chi sta pescando, anche ammettendo che lo stia facendo illegalmente. Inoltre: chi stabilisce quando la pesca è legale o illegale? Stavolta lo hanno fatto i libici, unilateralmente.
Il Golfo della Sirte. La pretesa di Tripoli di considerare il Golfo della Sirte come propria “baia storica” è antica. Ma è infondata. Almeno secondo il diritto marittimo internazionale, che stabilisce che le acque territoriali di un Paese finiscono a un massimo di 12 miglia dalle coste dello Stato. Quando è stato colpito dalla sventagliata di mitra, il peschereccio “Ariete” si trovava a 18 miglia fuori delle acque territoriali libiche, secondo il diritto internazionale.
La “baia storica”. “Baia storica” significa che un certo Paese, nel nostro caso la Libia, chieda alla comunità internazionale una deroga per considerare proprie anche le acque al di là delle 12 miglia, «provando di avere esercitato continuativa sovranità su di esse e ottenendo acquiescenza da parte della comunità internazionale», come spiega Stefano Zunarelli, docente di Diritto della navigazione all’Università di Bologna. Ma la Libia non ha mai fatto la prima cosa né ha mai ottenuto la seconda. Ad essere illegittime sono dunque le sue pretese. Sono gli italiani, al contrario, che dovrebbero rivendicare i propri «diritti storici», visto che i suoi cittadini pescano «da tempo immemorabile» nelle acque davanti alla Libia, come sostiene Natalino Ronzitti, professore di Diritto internazionale alla Luiss.
Gli accordi. La disciplina che regola la pesca e fissa i limiti delle acque nazionali è più complessa delle norme anti-immigrazione. Tra Italia e Libia, dice Frattini, «è in corso un negoziato da tempo, da almeno un anno». Ma il vero problema è che né l’Italia né la Libia possono fare, in questa materia, accordi diretti. La competenza è infatti passata all’Unione europea. E’ Bruxelles che dovrebbe pronunciarsi, non Roma né Tripoli.