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 2010  settembre 15 Mercoledì calendario

Dalla marea nera al Cile Il genio italico brilla quando il gioco si fa duro - Salvare, recuperare, rico­struire: nessun popolo sa co­niugare questi verbi meglio di noi

Dalla marea nera al Cile Il genio italico brilla quando il gioco si fa duro - Salvare, recuperare, rico­struire: nessun popolo sa co­niugare questi verbi meglio di noi. Sarà che di emergenze in patria ne abbiamo vissute fin troppe. Come si spiega al­trimenti che, ogni volta che scoppia una catastrofe in ca­sa d’altri, squilla un telefono in Italia. E noi interveniamo. Da protagonisti. Con compe­tenze umane e tecnologiche. Basta citare il disastro am­bientale causato dall’esplo­s­ione della piattaforma petro­lifera della Bp. Nella lotta che da circa quattro mesi si com­batte nel golfo del Messico contro la marea nera, gli Stati Uniti possono contare su un contributo preziosissimo e tutto tricolore prodotto dal­l’Agenzia Spaziale Italiana: immagini satellitari di tecno­logia unica al mondo riprese in modo costante ogni quat­tro ore, di giorno e di notte, grazie alle quali è stato possi­bile mappare con esattezza scientifica l’espandersi del petrolio. E chi è che sta guidando il piano C di trivellazione in Ci­le per liberare i 33 lavoratori intrappolati nella miniera di rame? Stefano Massei, 56 an­ni, ingegnere pisano del­l’Enel. Un esperto nel settore dei pozzi geotermici e in per­forazioni. Quando si tratta di catastrofi ma anche quando serve un colpo di genio ma i mezzi sono pochi: le nostre aziende brillano pure nelle ri­­strettezze, quando i settori so­no in crisi, se c’è da risparmia­re in modo inventivo. Dove meno te lo aspetti, ec­co che incontri prodotti italia­ni apprezzati in tutto il mon­do. I voli low-cost hanno biso­gno di risparmiare ancor di più? Ci pensiamo noi. E così, quando proverete il brivido, oltre alla convenienza, di viaggiare in piedi su un volo Ryanair, poggerete la schie­na su mini sedili italiani, pro­gettati dalla Aviointeriors Spa: si chiamano Skyryder. Nome anglofono per darci un tono, ma l’idea è tricolore. E se appoggiate il naso sulle vetrine che proteggono ico­ne dell’arte e della storia mon­diali, come il «Codice Leice­ster » di Leonardo da Vinci al­la Chester Beatty Library di Dublino, i manoscritti del Mar Morto a Gerusalemme o igioielli della regina d’Inghil­terra nella torre di Londra te­nete presente che quei vetri a prova di tutto sono italiani: li fa la Goppion, leader mondia­le nei sistemi di esposizione e conservazione per musei. E se è vero che abbiamo fab­bricato noi le crisi dei rifiuti a Napoli e Palermo, è altretttan­to vero che la tecnologia ita­liana è stata in grado di realiz­zare Earth, un’attrezzatura prototipo che consentirà il completo smaltimento dei ri­fiuti prodotti dalle 811 spedi­zioni alpinistiche che, dal­l’inizio del 2000 a oggi, sono transitate sull’Himalaya dal versante nepalese: parliamo di circa 13 tonnellate di rifiuti l’anno. Genio e sregolatezza italiani. A dare una concreta idea dell’eccellenza nostra­na che si fa apprezzare al­l’estero ci ha pensato l’Expo di Shangai dove, a metà lu­glio si è tenuta la mostra «Ita­lia degli Innovatori »: 256 pro­getti che rappresentano le punte di diamante del nostro Paese in quanto a innovazio­ne tecnologica. Si va dall’edi­lizia, alla salute, dalla sicurez­za, alla protezione civile. E l’energia: niente petrolio e nucleare? Stiamo diventan­do maestri nelle energie rin­novabili con sistemi all’avan­guardia, che magari poi in Ita­lia non usiamo. Gli esempi so­no tanti. Come la Leitwind, che si occupa di generatori eolici o la Enerpoint che com­mercializza prodotti per il fo­tovoltaico: aziende che han­no brillato alla recente mani­festazione ZeroEmission Ro­me. E infine i trasporti. Siamo maestri dei ritardi, ma il Brasi­le ospiterà il più grande pro­getto di infrastruttura ferro­viaria del mondo, ovvero la li­nea ad alta velocità tra Rio de Janeiro e San Paolo, 403 chilo­metri di binari che colleghe­ranno in 85 minuti le due più grandi città del Brasile. An­che qui, un progetto che par­la italiano: quello di Arezzo, dove ha sede la Italplan. E dove si poteva progettare una casa di legno di 7 piani ca­pace di resistere a una forza d’urto pari a quella che colpì Kobe, in Giappone nel 1995? Naturalmente in Italia, nei la­boratori Ivalsa Cnr di San Mi­chele all’Adige. Prima o poi le costruiremo pure da noi.