Oliviero Beha, il Fatto Quotidiano 15/9/2010, 15 settembre 2010
ERA LA STAMPA, BELLEZZA!
L’altra sera, alla Versiliana, vedendo la kermesse de “Il Fatto” affollata di lettori e cittadini e il palcoscenico del Teatro animato da giovani e giovanissimi colleghi, sono stato preso da ricordi e curiosità. Cominciamo dalle seconde. Avendo avuto la fortuna di veder nascere due giornali dal di dentro, il primo, “Repubblica”, nel gennaio del ’76 anche se vi sono entrato poco dopo e inizialmente con uno pseudonimo, e il secondo appunto questo, un anno fa, ho provato a informarmi sulla situazione dei giornalisti allora ed oggi. Alla Fnsi sono stati gentili e incompleti. Pensate, i primi dati reperibili sono del 1994, essendo “quelli precedenti fisicamente archiviati e non è possibile accedervi (ma i numeri erano piuttosto esigui)”. Sono dati “rilevati dai registri cartacei dell’ufficio preposto dalla Federazione nazionale e quelli di alcuni anni non sono stati reperiti”. Comunque “si rileva incremento della disoccupazione costante e continuo che ha portato dal 1994 ad oggi un aumento di oltre il 700% di giornalisti disoccupati registrati dalla Federazione (professionisti e praticanti)”. Qualche numero. Nel 1994 i disoccupati erano 660, nel 2000 2012, nel 2007 4164 e quest’anno fino ad agosto 4767. Dunque “Il Fatto” costituisce un’inversione di tendenza sia pure ridotta ma beneaugurante. È poco, è molto? È qualcosa. Diventa qualcos’altro se passiamo ai ricordi e ai confronti, sia pure all’impronta e sintetizzati. Nel 1976 con finanziamenti in confronto a “Il Fatto” plutocratici, debutta “Repubblica”, da Scalfari fondatore/editore/direttore in giù. Sarebbe diventato nella sua fortunata storia ormai di mezz’età dantesca “il” caso della stampa italiana dell’ultimo quarto del XX secolo. E qui va segnalato come al di là delle intenzioni dichiarate il bel giornale nascente a parole teneva insieme la doppia anima dell’informazione, cioè quella di essere in una prodotto e servizio, ma nei fatti si era organizzato per tempo in direzione soprattutto del primo. Lo è dichiaratamente oggi: un prodotto, che il Caimano teme come giornale-partito più del Pd (e grazie!), che predica spesso benissimo e sul cui razzolamento il dibattito potrebbe aprirsi in ogni momento. Aziendalmente, tanto di cappello anche se più che assumere oggi restringe e pensiona come tutto (o quasi) il settore. Il fattore “servizio” comunque sembra ormai un osso troppo difficile da rodere, un pio desiderio del passato. Taccio sull’Editore odierno, un virtuoso della Finanza, un tycoon della sanità privata, un interlocutore di Berlusconi per i famosi fondi “salva imprese” in una stagione dai risvolti più che opachi. Cose loro (!?!). Questo giornale nasce invece come una scialuppa in un mare di yacht di varie dimensioni. Non è soltanto un “nuovo giornale”, ma tenta di essere un “giornale nuovo”. Di qui il bisogno che anche i lettori, gli abbonati, i simpatizzanti facciano quadrato intorno al “servizio” che si rende o si tenta di rendere, anche se il “prodotto” deve tirare (come in effetti tira) per consentire tale servizio. Una stampa meno inquinata, senza il padrone in redazione, per raccontare un’Italia inquinata e contribuire a disinquinarla. Dunque non solo Berlusconi, ma un’intiera classe dirigente di inquinatori con il silenzio/consenso di molti degli inquinati. Tremano i polsi: ma c’è bisogno appunto di “lettori nuovi”, di cittadini consapevoli, non solo di nuovi lettori già augurabili di loro. Per questo il calore della Versiliana spero abbia significato altro da un prodotto che va. Metagiornalisticamente, e politicamente in senso etimologico: lo so, sono “avverbi” apparentemente velleitari. Ma guardiamoci intorno, con Lenin e Stracquadanio: altrimenti, che fare?