LUCIO CARACCIOLO, la Repubblica 15/9/2010, 15 settembre 2010
MARE NOSTRUM? L´OCCASIONE PERSA DELL´ITALIA PER LA PAURA COLLETTIVA
Ce la stiamo mettendo davvero tutta per convincerci che il Mediterraneo sia un fronte di guerra. Fino a farci la guerra da soli, come illustrato dal tragicomico attacco di una motovedetta donata dal governo italiano a Gheddafi, con sei nostri militari a bordo, contro il peschereccio "Ariete". Un incidente? Forse, ma soprattutto una metafora della mentalità da assedio di cui siamo prigionieri. E della beffarda abilità libica nel profittarne. Nessuno sembra in grado di superarci nell´arte di rendersi ridicoli sulla scena internazionale, pagando il biglietto a chi si diverte sulle nostre spalle.
Non sono passati quindici anni da quando Sam Huntington, influente politologo americano, disegnava un suo planisfero vagamente paranoico, imperniato sullo "scontro delle civiltà". Dove la principale linea di faglia, quella fra Occidente e islam, bisecava il Mediterraneo: noi di qua, loro di là. Tutto era apparecchiato per l´inevitabile scontro fra Bene e Male. Per fortuna, le profezie catastrofiste sull´inevitabile nuova Lepanto sono rimaste tali. Non per questo le paure reciproche - al limite del razzismo, o anche oltre - hanno cessato di agitare le sponde del nostro mare.
Abili imprenditori politici, a cominciare dalla Lega Nord, giocano su queste paure per conquistare voti. Molti di noi sono convinti che orde di musulmani poveri e inferociti stiano invadendo lo Stivale attraverso il Canale di Sicilia. Se poi, dati ufficiali alla mano, si scopre che non solo non c´è nessun assalto africano alla penisola, ma che nel braccio di mare fra Libia e Italia transita una percentuale ridotta e declinante della massa di immigrati clandestini che sta radicandosi da noi, poco importa. Certe paure collettive non hanno bisogno di basi razionali. Si autoalimentano schivando ogni riflessione critica.
È così che l´Italia sta perdendo l´ennesima occasione storica, quella di diventare ciò che natura imporrebbe: il centro europeo del Mediterraneo. La geografia ci vuole mediterranei. Eppure noi viviamo questa condizione come una condanna. Perché ci sentiamo come un´appendice sempre più periferica di ciò che resta dell´Europa, in balìa delle minacce da sud - dal terrorismo ai flussi di africani disperati e ai traffici clandestini di droga e armi. Sicché siamo culturalmente ed economicamente anti-mediterranei. Proprio ora che questo mare si rivela almeno in potenza una formidabile risorsa per chi vi si affaccia.
Perché grazie allo sviluppo delle economie asiatiche e dei corridoi energetici est-ovest il Mediterraneo sta assurgendo a piattaforma strategica dei commerci intercontinentali. Qui passa un terzo delle merci scambiate nel mondo. E qui investono le economie emergenti, dalla Cina al Brasile, dall´India ai paesi del Golfo. Sulle coste nordafricane e levantine, dal Marocco alla Turchia - dove fino a un secolo fa vivevano un milione di italiani, di cui non si tratta nemmeno più nei manuali scolastici - fervono società ed economie proiettate verso il futuro, che noi continuiamo a guardare con gli occhiali del passato.
Certo, le differenze culturali e di "civiltà" esistono. Le diffidenze fra europei, africani e asiatici affacciati sul Mediterraneo alimentano la strategia della paura. Lo conferma, fra l´altro, una recente indagine curata dalla Gallup Europe per la Fondazione Anna Lindh, per cui il 73% dei cittadini Ue e il 61% dei mediterranei meridionali considerano questa regione come una fonte di conflitto. Nessuno può negare i rischi e le minacce che covano nel crocevia marittimo dei tre continenti. Ma enfatizzare i pericoli, manipolare fatti e sentimenti per alzare barriere lì dove altri, più lungimiranti, costruiscono ponti e porti, è suicida. Specie per l´Italia. Ma anche per gli altri membri della famiglia comunitaria, che coltivano pervicacemente i propri interessi di brevissimo periodo, trascurando l´orizzonte mediterraneo.
È trascorso il tempo del Mare Nostrum e delle tragiche retoriche paraimperiali dell´Italietta o del Duce. Ma se dalle avventure coloniali scarrelliamo nella paranoia da fortezza assediata, finiremo per realizzare proprio quelle profezie di sventura che colorano la chiacchiera mediatico-politologica sul Mediterraneo. Il pastore pazzo non è solo una specialità americana. Quanto al fanatismo islamista, ce n´è sicuramente più da noi che oltre Atlantico. Qualsiasi strategia italiana di pace e di progresso passa per lo sviluppo concertato del Mediterraneo, che ne connetta ogni sponda. Di Muri ne abbiamo abbastanza.