Roberto Capezzuoli, Il Sole 24 Ore 15/9/2010, 15 settembre 2010
FA FREDDO NEL DESERTO CON UN PULLOVER DI CASHMERE
Il vostro golf di cashmere, una volta indossato, non è così caldo, leggero e morbido come vi sareste aspettati e come il suo alto prezzo sembrava promettere? Oppure avete verificato in etichetta la presenza di percentuali di seta, cotone o altre lane? Ebbene, dovrete distribuire equamente la colpa a deserto, inverno e Cina, tre fattori che stanno rendendo inavvicinabili i prezzi del cashmere di miglior qualità.
Il primo elemento è la lotta contro la desertificazione che assedia Pechino. Le capre da cui proviene il vello più prezioso sono presenti in gran numero in Mongolia e nella regione cinese della Mongolia interna, e il loro effetto sulle distese erbose è molto simile a quello che nel tardo impero romano veniva attribuito agli Unni di Attila. Negli anni passati il pregio del cashmere aveva convinto le autorità cinesi a promuovere gli allevamenti, con il duplice effetto, non proprio gradito, di ridimensionare il prezzo della fibra e di accelerare lo sfruttamento dei pascoli, devastati, appunto, dalle abitudini alimentari delle capre. Contro l’avanzata del deserto, il governo cinese è corso ai ripari, eliminando gli incentivi agli allevatori. Ma i prezzi convenienti avevano già innescato un’espansione dei consumi da parte delle aziende tessili locali, la cui richiesta oggi è soddisfatta grazie a incroci di razze capaci di fornire una resa migliore, ma solo quantitativamente. Il cashmere di buona qualità è diventato più raro e quindi ha visto le sue quotazioni aumentare.
È solo negli ultimi mesi però che i rincari sono divenuti vertiginosi. Da un lato, i segnali di ripresa dell’economia hanno rilanciato la domanda, non solo in Cina, ma anche nel resto del mondo e in Italia, che vanta nell’utilizzo del cashmere una tradizione di eccellenza. Dall’altro lato, la disponibilità del prodotto migliore è stata ulteriormente decapitata dal secondo dei fattori negativi citati in precedenza: il rigidissimo inverno, che ha fatto strage di capi ovini. Le perdite in alcune zone della Mongolia hanno sfiorato il 50% del totale dei capi.
«Gli ordinativi sono ripartiti, ma l’offerta oggi, per qualità e per quantità, fatica molto a soddisfare i clienti», commenta Luca Alvigini, che con Alpha Tops è un grande fornitore di fibra per le aziende tessili italiane. I prezzi, nota Alvigini, tra gennaio e oggi sono raddoppiati, con il miglior fiocco per maglieria che arriva a superare 130 dollari al kg.
All’Associazione laniera di Biella si respira un pessimismo ancora più cupo: le quotazioni del pettinato arrivano a 160 dollari e paralizzano la domanda di molti trasformatori italiani.
Come per diverse altre materie prime, il rialzo dei prezzi è favorito anche dalla progressiva riduzione delle scorte presso commercianti e utilizzatori, impegnati fino all’inverno scorso nel contenimento dei costi. Il mercato, entro certi limiti, sembra sorpassare anche la situazione di una decina di anni orsono. A cavallo del millennio in effetti la fibra di cashmere poteva costare quanto oggi, se non di più. Acquisto e utilizzo erano quindi privilegio solo degli specialisti, capaci di creare prodotti finiti di raffinata perfezione.
C’è tuttavia una differenza, che è il terzo elemento negativo e che rappresenta anche il più serio cruccio per i grandi nomi italiani del cashmere: a dettare volumi e prezzi sono ormai gli acquirenti cinesi, i quali, oltre alla forza finanziaria, che consente di far sparire la merce bloccandola nei magazzini, possono contare sui vantaggiosi costi della mano d’opera, quella locale e quella, ancor più economica, del vicino Vietnam. L’unica protezione di fronte a concorrenti così agguerriti è la capacità di dare alla propria produzione una qualità straordinaria.
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