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 2010  settembre 15 Mercoledì calendario

NON SI PUO’ CAPIRE SAKINEH SENZA SAPERE CHI ERA KHOMEINI


Si dice spesso che tutto il potere è usurpazione di potere. Magari non è sempre così, ma lo è certamente oggi in Iran. E lo si è visto in modo ancora più evidente nel caso di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna iraniana condannata ad essere lapidata a morte per adulterio.
In Occidente la gente tende a considerare Sakineh una tragica vittima della giustizia islamica spinta all’estremo, una donna intrappolata in un Iran che sta tornando ai giorni peggiori della rivoluzione islamica dell’ayatollah Khomeini. Tuttavia, come la maggior parte delle cose in Medio Oriente, anche questa vicenda non è così semplice. In realtà, Sakineh è una sfortunata vittima della feroce lotta di potere cominciata il 3 giugno del 1989, il giorno della morte di Khomeini.
Poco prima di morire, Khomeini aveva designato un successore: Ali Khamenei, l’attuale Guida Suprema dell’Iran, sostenitore del presidente Ahmadinejad. Ma esistevano dei problemi. Uno dei più importanti era il seguente: Khamenei non poteva essere considerato un vero ayatollah. Nello sciismo il titolo di ayatollah è difficile da ottenere, poiché richiede anni di studio e di insegnamento. Un leggittimo ayatollah ha anche un grande seguito popolare tra gli sciiti. Khamenei, invece, non ne aveva affato, e non ce l’ha ancora. Di conseguenza, un gran numero di iraniani lo considera un usurpatore non soltanto dell’autorità spirituale, ma anche del potere politico: il leader supremo dell’Iran doveva essere un re filosofo, un uomo dotato di una comprensione senza pari dell‘Islam.
Non sorprende quindi che, dopo aver assunto il potere, Khamenei abbia dovuto combattere ferocemente per mantenere la legittimità politica, l’eredità di Khomeini. Una dimostrazione di questo l’abbiamo avuta in occasione delle elezioni presidenziali 2009, quando la Guida Suprema e il corpo delle guardie della rivoluzione islamica, la forza militare d’élite che lo sostiene, soppressero brutalmente l’opposizione e l’Onda Verde nelle strade di Teheran. Khamenei si preoccupava non tanto della possibilità di una rivoluzione popolare contro la rielezione di Ahmadinejad, quanto piuttosto del rischio che i leader dell’opposizione rivendicassero di essere i legittimi eredi di Khomeini.
È dunque in tale contesto, con Khamenei disposto a tutto per tenersi attaccato al mantello di Khomeini, che anche la magistratura iraniana ha lottato per rimanere aggrappata al mantello della giustizia rivoluzionaria islamica, introdotta da Khomeini nel 1979. Per i giudici e i pubblici ministeri indipendenti dell’Iran, Sakineh è più un simbolo che una semplice (presunta) adultera. Il suo caso garantisce che siano loro i legittimi protettori della pura giustizia islamica. Non importa che l’adulterio venga ampiamente tollerato in Iran. Il punto è che arrendersi facilmente su Sakineh significherebbe, per loro, allentare la presa sul potere, sul sistema giudiziario creato da Khomeini.
Indipendentemente dal fatto che Khamenei intervenga o no per fermare la lapidazione di Sakineh, si può prevedere che la lotta di potere in Iran continui, insieme alle inesorabili e apparentemente irrazionali rivendicazioni dell’eredità khomeinista. Khamenei continuerà a rafforzare la guardia pretoriana della rivoluzione, il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica e la polizia segreta. Non abbandonerà il programma nucleare iraniano perché, insieme agli altri integralisti, ritiene che Khomeini avrebbe agito nello stesso modo. E, indipendentemente dal fatto che Khamenei decida di risparmiare Sakineh o meno, i giudici iraniani passeranno a occuparsi di altri casi. Il loro futuro politico dipende da questo.