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 2010  settembre 15 Mercoledì calendario

IL VENTO FEDERALISTA PUNTA ALLA BAVIERA

Se i partiti si "leghizzano", la Lega, ovviamente, fa un passo in più. La suggestione di Roberto Calderoli sul Sole-24 Ore di ieri prospettava il modello bavarese come approdo finale quando – e se – il federalismo entrerà nei fatti. Un nuovo cambio di pelle per una Lega che sarà presente solo nelle assemblee regionali e alleata con un partito nazionale, sempre più trincerata nell’identità padana del ricco Nord come la ricca Baviera. Ed è proprio la centralità della questione federalista che, secondo Luca Ricolfi, sta accentuando la spinta dei partiti a una graduale territorializzazione. «Il federalismo porterà alla produzione di un cluster di forze politiche al Mezzogiorno per cercare di fermarlo. Già ora ci sono Io Sud e l’Mpa di Lombardo. Ma – spiegava il sociologo, docente all’Università di Torino – non è detto che tutte le forze si definiranno anti-federaliste. Forse accetteranno la sfida pensando, però, a una riorganizzazione sul territorio». Lo dice con qualche elemento di prova Ricolfi che racconta di essere andato qualche mese fa a Siracusa e di aver trovato «una classe politica non ostile alla riforma ma avendo chiaro che non possono più delegare tutto ai partiti nazionali». Ecco, il federalismo o anche la sua anteprima virtuale, porta i dirigenti locali a forzare sulla struttura nazionale, a chiedere più voce, a spostare i pesi. Tutto questo ha un’origine che non è solo nell’alba del sole delle Alpi. Lo stacco tra Prima e Seconda Repubblica in tema di unità nazionale c’è ed è uno scarto forte: mentre i grandi partiti di prima assumevano l’unità come una missione politica, questo scolora nel post-Tangentopoli. E non perché tramontano i grandi partiti ma perché finiscono i soldi. Lo spiega Luca Comodo, del dipartimento politiche Ipsos. «Il tema dell’interesse nazionale è poco sentito dall’elettorato, è più una necessità. Perché da un lato c’è poco da redistribuire e quello che c’è mette in competizione i territori; dall’altro perché è entrato in sofferenza lo Stato-nazione. Tutte le analisi sociologiche spiegano che la debolezza degli Stati centralizzati spingono alla prevalenza degli interessi locali. L’Italia non è un’anomalia».

Il piglio più efficace di Ricolfi rafforza il concetto: «La Dc aveva più quattrini da spendere, non più interesse nazionale. Nel ’92-’93 i soldi sono finiti, l’Italia ha smesso di crescere e i 15 anni sono passati a contenere il debito senza poter allentare la presa fiscale sui produttori che non hanno retto più il peso delle tasse sapendo di dover mantenere un terzo di popolazione non produttiva». Chiaro. E anche questo ha una conseguenza. Come un grande effetto a catena, l’impossibilità di redistribuire ha portato a un congelamento degli status economici e sociali. «Niente mobilità sociale, nessuna fluidità elettorale. Questo provoca nei partiti una ritirata nelle proprie roccaforti», spiega Paolo Natale, docente di Scienze politiche all’università di Milano, esperto di analisi dei sondaggi. E dunque si arriva a quello che per Natale è il luogo comune della politica: «centro-sinistra partito dei garantiti; centro-destra dei non garantiti, che siano operai o imprenditori».
Una struttura economica che corrisponde ai due blocchi, o tre, del Paese dove ciascuno ha costruito il suo feudo. Con qualche incursione. Non solo della Lega in Emilia o nelle Marche. «Nel Pd si era parlato di partito del Nord con Cacciari e Chiamparino così come Bassolino aveva lanciato l’idea dei Governatori del Sud», ricorda Ricolfi. E qui torniamo al ticket Chiamparino-Vendola: cioè servono due leader per farne uno nazionale. E vale pure per l’eventuale terzo polo, spiega Comodo: «Casini e Fini si connotano come leader meridionali. Anche se è troppo presto – e i campioni troppo ridotti – per sbilanciarsi sulla formazione dell’ex leader di An, di certo è al Sud che parla. Il terzo polo, quindi, avrebbe una debolezza al Nord ed è forse in questa chiave che si parla di Montezemolo. Anche se, in Veneto, Fini raccoglie consensi, credo, per effetto degli scontenti Pdl schiacciati ormai dall’egemonia leghista».

Ecco l’altra novità. Alle prossime elezioni le forze dell’opposizione (e magari anche Fini) passeranno dall’anti-berlusconismo all’anti-leghismo? Ricolfi risponde con un ricordo: «Nel ’63 lo slogan di Malagodi era: "la Dc dirà di no ai socialisti se voi direte di sì a noi". Ecco Fini potrà dire: "Berlusconi dirà di no a Bossi se voi direte di sì a Fini". Così non sarà il traditore ma quello che porta equilibrio». Insomma, la Lega sarà il fattore divisivo, più di Berlusconi. «Ma – dice Comodo – è già nei fatti e verrà enfatizzato per definire il proprio spazio politico in difesa dei propri interessi territoriali». Qualche volta mascherati, magari, da un tricolore.

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