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 2010  settembre 15 Mercoledì calendario

La lezione di Friedman alla fine libererà il mondo - Ha quasi cin­quant’anni, ma li porta benissimo

La lezione di Friedman alla fine libererà il mondo - Ha quasi cin­quant’anni, ma li porta benissimo. Capitalismo e li­bertà di Milton Friedman torna in libreria in una nuova edizione (IBL Libri, pagg. 296, euro 24), a ri­prova del fatto che il volume è or­mai un classico del liberalismo contemporaneo: vitale come quando apparve, nel 1962. E que­sto in primo luogo perché le sue tesi continuano a essere in qual­che modo «controcorrente» in moltissimi Paesi, a partire dal no­stro. L’origine di questa opera è inte­ressante, perché alcune sue parti erano state esposte e discusse fin dal 1956 all’interno dei seminari del «William Volker Fund» da cui emersero - oltre al libro di Fried­man - anche La società libera di Friedrich von Hayek e La libertà e la legge di Bruno Leoni. In questo piccolo gruppo di capolavori, il la­voro di Friedman si caratterizza per essere un’opera di alta divul­gazione dei maggiori argomenti li­berali e, al tempo stesso, perché rappresenta un formidabile tenta­tivo di sviluppare una riflessione teorica sulla società di mercato e sui suoi presupposti. L’economi­sta non ci offre qui le sue ricerche più accademiche in ambito ma­croeconomico, ma suggerisce in­vece quelle riforme politiche- dal­l’istruzione alla sanità, dal fisco al­l’assistenza­ che possono permet­te­re a una società di crescere in li­bertà e prosperità. L’impatto fu straordinario. Non soltanto perché in America il volume riuscì a vendere ben 400mila copie già nei primi vent’anni di vita, ma anche per­ché la chiarezza espositiva e il rigo­re della riflessione l’hanno presto trasformato in una «piccola Bib­bia »,in grado di offrire un’agenda per gli anni a venire a larga parte del mondo culturale e politico va­riamente liberale, conservatore e libertario: oltre Atlantico e non so­lo. Quando il crollo del muro di Berlino portò lo storico Mart Laar alla guida dell’Estonia e questi av­viò riforme economiche orienta­te verso il mercato, molti si stupi­rono di tanto coraggio e si doman­darono come fosse possibile che un’idea come quella della flat­tax, ad esempio, potesse essere nota a un intellettuale uscito dal mondo sovietico. La risposta fu semplice: «Ho letto Friedman». L’economista americano, insi­gnito del premio Nobel nel 1976, percepì chiaramente l’influenza a largo raggio esercitata dalle sue idee. E così, quando i semi pianta­ti con Cap­italismo e libertà inizia­rono a produrre frutti significativi (negli anni del thatcherismo e del reaganismo), egli decise di pro­lungare quel primo volume scri­vendo altre due testi di analogo te­nore: Liberi di scegliere , del 1980, e La tirannia dello status quo , del 1984. In Italia Capitalismo e libertà ar­r­ivò abbastanza presto grazie a Re­nato Mieli. Dopo aver lavorato a l’Unità ed essere stato uno stretto collaboratore di Palmiro Togliat­ti, Mieli aveva lasciato il Pci a cau­sa dei fatti di Ungheria e negli an­n­i Sessanta era divenuto l’anima­tore del Ceses, un istituto liberale che sviluppava ricerche sull’Euro­pa centro-orientale. Oltre a ciò, egli curava presso Vallecchi una collana, intitolata «Cultura libe­ra », che presentò ai lettori italiani fondamentali testi di Hayek, de Jouvenel e altri, tra cui appunto Friedman. In quegli anni il clima culturale era tale, però, che nel 1967 a nessuno parve opportuno usare la parola capitalismo nel­l’accezione elogiativa adottata dall’autore. Per questa ragione il libro apparve come Efficienza eco­nomica e libertà e solo nel 1987 ­grazie a una riedizione curata da Antonio Martino e dal Crea pres­so l’editore Studio Tesi- riottenne il suo titolo più appropriato. La versione che giunge ora sugli scaffali si avvale di una nuova tra­duzione di David Perazzoni ed è impreziosita da un’introduzione dello stesso Martino, che sottoli­nea il radicalismo di quella propo­sta culturale ed enfatizza l’utilità di quella lezione anche ai fini di comprendere l’ultima crisi finan­ziaria: assai più correlata a una po­li­tica monetaria espansiva e lassi­sta - del tutto anti-friedmaniana ­che non a quel libero mercato messo sul banco degli imputati da tanta pubblicistica. Le tesi teoriche formulate dal­l’economista di Chicago sono og­gi, ovviamente, al centro di aspre discussioni. Gli autori liberali del­la cosiddetta Scuola austriaca, ad esempio, hanno espresso criti­che piuttosto nette alla sua meto­dologia positivista e alle sue idee in materia monetaria. Ancor più negativi verso Friedman, ovvia­mente, sono i post-keynesiani, che giudicano irragionevole ogni proposta di tenere sotto rigoroso controllo l’espansione moneta­ria: magari anche grazie a vincoli costituzionali. Tornando oggi a sfogliare il vo­lume scritto quasi mezzo secolo fa da Friedman salta però subito agli occhi come su molti temi il suo successo sia stato impressio­nante. Quelle pagine uscirono en­tro un mondo occidentale che era largamente dominato dalla psica­nalisi, dal marxismo, dallo struttu­ralismo. Oggi quell’universo si è in larga misura inabissato, men­t­re le questioni su cui Friedman in­vitava a dibattere rimangono più vive che mai. In particolare, è evi­dente ai più che non vi può essere alcuna società libera se le fonda­mentali libertà economiche ven­gono negate, e che è sempre più cruciale affrancare l’educazione dai poteri pubblici e dai program­mi ministeriali: come attestano pure le polemiche di queste setti­mane che scuotono il Regno Uni­to. La persistente attualità di Capi­talismo e libertà è dettata, in linea generale, dall’intrinseca vitalità degli ideali libertari propugnati dal libro, ma è pure rafforzata dal fatto che, almeno nel lungo perio­do, il tempo si rivela galantuomo. L’intero Occidente si trova infatti alle prese con la crisi strutturale di un welfare statale - dalle pensioni alla sanità, per citare due voci cru­ciali- da cui si potrà uscire soltan­to grazie a quel drastico ridimen­sionamento del settore pubblico che Friedman suggeriva. Anche chi in passato non ha condiviso la passione friedmania­na per la libertà, ora è chiamato a fare i conti con la dura legge dei fatti. E a trarne tutte le conseguen­ze.