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 2010  settembre 15 Mercoledì calendario

D’ANGELO CADUTO IN VOLO

L’hanno messo fuori dalla porta, tra le ombre assolate e i motorini scarburati di Forcella, dove in cinque anni di direzione artistica del Teatro Trianon, aveva imitato i tanti Re taumaturghi che a Napoli, da sempre, ottengono meritata, effimera attenzione. Nino D’Angelo, 57 anni a giugno: “Sono nato nello stesso giorno di Platini, meglio di una medaglia”, ex tante cose, “Diamoci del tu, pecche quann’ parlo in terza persona nun saccio argomentà”, è stato licenziato. “Comme ’nu precario qualsiasi, con una lettera burocratica perché il mio esperimento era davvero popolare, sollevava lo spirito della gente che non conta un cazzo e stava diventando pericoloso. Il Trianòn (D’Angelo accenta l’ultima o senza mai perdere un colpo ndr) rappresentava un miracolo e loro, l’hanno sporcato senza rispetto”. Loro sono i politici di centrodestra che da mesi combattevano D’Angelo con ogni mezzo. Le migliaia di abbonamenti sottoscritti a prezzo simbolico che lasciavano deserte le platee private del resto della città, hanno avuto il loro peso. Il guitto disturbava. È stato eliminato. Arrabbiato non rende: “Sono incazzato, incazzatissimo, ma più che altro triste. Io che vengo dalla sottocultura più disperata, avevo capito che per chi non ha niente, la cultura è come l’acqua per le piante. Papà faceva il ciabattino a San Pietro a Patierno, un quartiere di Napoli in cui non c’era nessuno che non facesse il calzolaio. Di sei figli, ero il maggiore. Definirci poveri era già un artificio letterario. La povertà abitava proprio a casa mia. Non potevamo andare al cinema, dal giocattolaio, da nessuna parte. Mia madre stava a casa. Avrà visto Napoli due volte nella sua vita, per la politica non nutriva alcun interesse, ma stavolta, per difendere un princìpio, sarebbe scesa in piazza con i tamburi anche lei”.

D’Angelo, è finita.

E pensare che quando iniziò nel 2005, i presupposti erano completamente diversi.

Come andò?

La Regione Campania e la Provincia avevano rilevato il Trianon e volevano che io mi inventassi qualcosa per portarlo avanti. Per un teatro incastonato nel cuore di Forcella avevo il profilo giusto, dicevano.

Lei cosa rispose?

Accetto ma a una sola condizione: che la mia direzione si trasformi in evento sociale. Un teatro per la gente in un quartiere a rischio. Con l’aiuto dei fondi statali e un abbonamento a dieci euro, rivolto a chi non si poteva permettere il lusso della rappresentazione.

Risultati?

C’erano 67 abbonati. Sono diventati 4.000. Un trionfo esagerato.

Da una vita, Nino D’Angelo combatte i pregiudizi.

È la mia storia. Goffredo Fofi scriveva di me cose atroci. Poi si ricredette e mi fece conoscere Roberta Torre, la regista di Tano da morire. Feci una colonna sonora che vinse il David di Donatello e la considerazione degli altri mutò in un amen.

Tenace.

Sul campo ho avuto sempre la forza di sovvertire i preconcetti. Quando gli intellettuali si accorsero che non avevo solo una maglietta in testa e un paio di jeans sdruciti, ma anche un cervello, porte fino ad allora sbarrate si aprirono all’improvviso. Ma io credo che il talento, se davvero lo possiedi, non te lo toglie nessuno e se mi danno una possibilità, senza modestie, rispondo alla grande.

Al Trianon è andata così?

Io non faccio il direttore artistico, ma lì potevo essere altro. Un assistente sociale con l’obbligo di spendere poco.

L’hanno cacciata sostenendo il contrario.

Ed è uno schifo. Se vuole facciamo un giro per gli stabili cittadini e le faccio vedere la solita pletora di gente che butta via i soldi senza che nessuno gliene chieda conto. Restituire, dopo aver toccato il successo, è stato sempre un mio punto d’onore. E per il Trianòn, mi creda, ho dato i miei ultimi cinque anni di vita senza risparmio.

Cosa programmava?

Un cartellone per tutti, un po’ come faceva Gassman a metà degli anni ’70 in giro per l’Italia con il teatro popolare italiano. De Filippo, Totò, Nino Taranto. Cose semplici e profonde. Ma il mio vero maestro è stato Pasolini. Ragazzi di vita fu uno choc. Quando lo lessi per la prima volta, capii che era un secolo avanti agli altri. Un genio. In fondo, al Trianòn, non è che mi fossi inventato un cazzo.

Quindi perché l’hanno allontanata?

Vogliono una massa di persone ignoranti che dica solo e sempre sì. Sono funzionali al progetto generale. Incolti, inconsapevoli, pronti a vendersi. (Da questo punto della conversazione in poi, D’Angelo si scalda. Sale su un palco immaginario e urla, arrota il dialetto, si accende. Placarne il flusso di coscienza è impresa quasi impossibile).

Per scongiurare una fine che sembrava nota, lei ha scritto lettere alle istituzioni.

Ormai mi esprimo solo attraverso le lettere. Ma quanno mai l’ho fatto prima in vita mia? Io non sono il Petrarca, ma solo un venditore di canzoni. E il politico che va a scuola per strumentalizzare le parole, è molto più bravo di me. Si appoggia sulle frasi e ti contrasta sul tuo stesso terreno. Sono talmente abili i politici, che alla fine ti convincono che hai agito malamente.

L’hanno persuasa?

Acca nisciuno è fesso. Quattromila abbonamenti, sono un fatto non un’opinione. Mi hanno detto a brutto muso: ‘Non vogliamo continuare sul tuo terreno, ma fare un museo della canzone napoletana’.

Modernissimo.

Ne esistono già due due e non hanno un euro per sopravvivere. Non servono a niente, la gente non li vuole. Sa qual è la verità?

Dica.

Dobbiamo iniziare un’altra volta a strillare, nun amma a sta zitti. La politica, destra e sinistra, sta facendo fessi a tutti quanti.

Sono d’accordo tra loro?

Sarebbero troppo intelligenti. Invece di persone sveglie nel Palazzo ne esistono tre o quattro al massimo e gli altri ripetono senza fantasia quel che gli è capitato di sentire per caso in giro.

Viene da ridere.

E invece mi scappa da piangere. Mi viene la pelle d’oca. Vogliono ridurre il teatro a un giocattolino borghese per pochi intimi, devastando una delle più belle realtà italiane degli ultimi vent’anni. Una lezione di educazione civica era il Trainon. Si dice così? Ho fatto recitare le mogli dei carcerati, creato dal nulla un’orchestra multietnica, dato spazio a chi non aveva voce. Solo che non facevamo notizia. Si vede che so’ cieche pure dint’ai giornali.

In fondo, a Sanremo le preferiscono Emanuele Filiberto. Lui sul palco, lei fuori.

È la stessa linea di pensiero. È tutt’accussi, c’è una maleducazione civica senza confini, un’abitudine al brutto, irreversibile. Mi perdoni, ma cerco concetti forti per farmi ascoltare. Mi hanno licenziato come a ‘nu poveru dio. Lo sa che esiste una legge per cui la Regione Campania può allontanare unilateralmente tutti i contratti a termine di una una società la cui maggioranza sia nelle sue mani?

Chi l’ha contrastata? Nomi e cognomi.

Il centrodestra locale. Due campioni della democrazia rappresentativa come Taglialatela, l’assessore regionale all’urbanistica e il suo collega Rispoli, presidente del consiglio provinciale. Le racconto una cosa divertente.

Prego.

Sono stati i primi a mettere in discussione la mia permanenza e magari hanno pensato, sbagliando obiettivo, che politicamente potessi accentrare simpatie. Io non ho mai parlato con un assessore allo spettacolo, ma solo con quello all’urbanistica regionale, lo stesso Taglialatela. Le riunioni per il teatro le facevo con lui. (qui il dialetto è senza argini, ndr). Napoli sta chiena e fuoss, sta chiena e’ strade scassate e lui ha truvato o’ tiempo per venire a parlare del Trianòn. È come se per la medicina, invece e parlà cu nu mie-dico te miett a parlà cu ll’idraulico. È ‘a stessa cosa.

Cosa lascia a Forcella?

Un senso di incompiutezza. Quando sono arrivato, ho trovato un abbandono che stringeva il cuore. In un luogo ad alta densità camorristica, in cui i bambini non hanno un metro di spazio per ottenere un sorriso, perché a casa non ridono mai. Io ho perso e hanno vinto tutti i maestri di strada che non hanno mai vissuto la strada, gli inventori di progetti senza capo né coda, sovvenzionati ancora prima di essere approvati.

Che lezione è?

Ho capito che la pazienza è santa, e che noi non siamo mai veramente noi, ma interpretiamo un ruolo che gli altri ci impongono.

E poi?

Che l’ignoranza è la fonte preferita dai potenti, perché possono dire tutto senza mai essere contraddetti, che l’uguaglianza è un’utopia e l’invidia un sentimento che non farà mai decollare Napoli.

Non tirerà fuori Gigi D’Alessio. Di lui un giorno disse: “È un napoletano che canta, non un cantante napoletano”.

Per adesso, l’unico tirato fuori sono io. Diciamo che tutti possono fare tutto, tanto per chi comanda, non fa alcuna differenza e che la vera ragione della mia cacciata è negli interessi economici che non fluivano più.

Una metafora dell’Italia, nella città in cui Berlusconi si traveste da netturbino.

L’Italia è tutta ’na grande fictiòn (anche qui, l’accento rulla che è un piacere, ndr) dove chi ha intuito quanto valesse la tv, ha dominato incontrastato. Non c’è nulla di più importante della televisione, soprattutto se la utilizzi per i cazzi tuoi, per vantaggi, prebende e ricatti. Prenda il Tg1, fa venire il voltastomaco. Se lo osservi con attenzione, vai al manicomio. Meno male che c’è la La7. Me fa discute, me ’fa pensà.

Minzolini è amatissimo.

(Ride ndr) Ma è tutto il sistema che non funziona più. Il sesso, ad esempio, è diventato un bazar a cielo aperto. Io non ce la faccio più a vedere le belle ragazze in copertina e non perché sia diventato ’frocio’. Ho solo perso il desiderio e come me, i miei figli.

Cupo.

Abbiamo fallito. Ai nostri eredi abbiamo fatto un torto enorme. Gli abbiamo sottratto curiosità, voglia di scoperta, mistero. Il desiderio è ’na cosa troppa grande, noi gliel’abbiamo rubato e loro non aspirano più a un cazzo. È finita. Bisogna esserne consapevoli e recuperare il poco. In quella parola c’è il fondamento di ogni godimento. Poco. Senta come suona bene.