Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il titolo Fiat è andato molto forte ieri in Borsa a Milano: +16,4%, dopo la sospensione immediata dell’apertura (per l’eccesso di richieste) e un inizio di contrattazione a +12,6. Del resto, analisi precedenti all’acquisto dell cento per cento di Chrysler (fatte ad esempio da Banca Imi) avevano valutato che un prezzo per il residuo 41,5% di 4,4-4,6 miliardi di dollari avrebbe comportato una crescita di valore del titolo pari a 0,6-0,7 euro per azione. L’affare è stato concluso a 4,35 miliardi, oltre tutto quasi senza esborsi da parte del Lingotto (che salderà il conto con un dividendo straordinario della medesima Chrysler), dunque il rialzo di ieri, a parte gli entusiasmi e l’emotività, è nella logica delle cose. Va detto che non tutto il mondo inneggia all’operazone. I fondi stimano che i debiti del nuovo gruppo (intorno ai 27 miliardi di euro), a fronte di una liquidità complessiva di una ventina di miliardi di dollari e di un valore d’impresa aggregato di 38 miliardi di dollari (una trentina di miliardi di euro), siano ancora troppo alti rispetto ai margini del gruppo. L’Europa va male, il Brasile sta frenando, la Cina, che ha una potenzialità di venti milioni di auto immatricolate all’anno, non è ancora alla portata di Fiat. Il debito, per le agenzie di rating, è sempre a livello spazzatura, e ieri Fitch ha fatto sapere che l’accordo americano sposta poco. Lo sa anche Marchionne, che in mezzo alle altre dichiarazioni di Capodanno, s’è fatto virgolettare anche questa: «Siamo indebitati più della maggior parte dei nostri concorrenti», senza nemmeno sprecarsi a citare la Peugeot, che quanto a debiti sta peggio di Fiat.
• Tutto questo è molto interessante, ma quello che vorremmo sapere è se da questa impresa storica verrà qualche vantaggio all’Italia.
Si fanno un po’ tutti questa domanda. E specialmente i sindacati. Cisl e Uil esaltano il fatto di non aver fatto le barricate contro la linea di Marchionne (parlo dei famosi contratti prendere-o-lasciare). La Camusso dice: l’acquisizione è «un fatto di grande rilevanza, anche in ragione delle sinergie possibili e auspicabili sui mercati mondiali. Ma dopo questo importante passaggio che definisce l’assetto proprietario è indispensabile che Fiat dica cosa intende fare nel nostro Paese, come gli stabilimenti italiani possano trovare la loro collocazione produttiva nel gruppo, così come auspichiamo che la direzione dell’impresa, intendendo con questo la direzione strategica e la progettazione, resti italiana e mantenga una presenza qualificata in Italia». Si suppone che Marchionne comincerà a chiarire le sue intenzioni l’11 e il 12 gennaio quando, in previsione del salone di Detroit, parlerà con la stampa. L’amministratore del Lingotto dirà probabilmente qualcosa anche il 20 gennaio, quando si chiuderà materialmente l’operazione Chrisler col versamento di 1,7 miliardi di dollari nelle casse del fondo Veba, il venditore. Il nuovo piano-modelli, infine, sarà presentato ad aprile. A quel punto sapremo tutto.
• Qualche anticipazione?
È preliminare l’atto della fusione tra Fiat e Chrysler. Tecnicamente questa mossa non sarebbe necessaria - la Chrysler potrebbe tranquillamente restare un’azienda del gruppo Fiat -, senonché facendole diventare un’unica azienda Marchionne potrà attingere ai dieci miliardi di liquidità che Chrysler ha in cassa. Questa possibilità finora era preclusa dalle banche Usa che, per prestare soldi alla casa americana, avevano posto la condizione che i denari erogati non fossero impiegati fuori dagli Stati Uniti. Per il resto, in base a quello che Marchionne ha detto o fatto capire fino ad oggi, all’Italia Fiat affiderebbe il famoso segmento "premium" (qualunque cosa significhi questa definizione), cioè macchine con un minimo di valore aggiunto.
• Per esempio?
Per esempio, Cassino, che oggi produce Giulietta e Delta, potrebbe essere messa al centro del rilancio dell’Alfa, cioè fabbricare la nuova ammiraglia del Biscione e una berlina di segmento C. Marchionne crede molto al binomio Alfa-Stati Uniti, gli analisti hanno valutato che per rilanciare la fabbrica ci vorranno tre miliardi di euro per la realizzazione di tre linee di montaggio. A Mirafiori si dovrebbe/potrebbe realizzare un nuovo Suv, quando cesserà la produzione della 166. Da Grugliasco continueranno a uscire la Quattroporte e la Ghibli, da Pomigliano la Panda e da Melfi i due minisuv col marchio Jeep e Fiat (500X). A Melfi sempre la Punto.
• Ci saranno i soldi per fare tutto questo?
Si vocifera - per l’ennesima volta - di una quotazione della Ferrari.
• Si può parlare, in questa operazione americana, di vittoria, finalmente, anche del sistema Italia?
Così dice il sottosegretario Baratta. Mi pare una tesi audace: tra le ragioni che hanno reso possibile la vittoria di Marchionne c’è proprio la rottura con quel sistema Italia rappresentato da Confindustria e da Fiom.
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