Paolo Griseri, La Repubblica 3/1/2014, 3 gennaio 2014
TORINO
— Produce olio sulle colline toscane e ricorda quei fatti con il comprensibile distacco di chi ha lasciato da tempo il campo di battaglia. «Io - premette - appartengo ormai alla preistoria della Fiat. L’attualità è quella di Sergio Marchionne e mi devo complimentare per l’ottimo accordo che lo ha portato al 100 per cento di Chrysler». Ma certo Paolo Fresco, già presidente del Lingotto negli anni difficili di inizio millennio, firmatario dell’accordo con Gm nel 2000, può essere considerato uno dei precursori del matrimonio tra Torino e Detroit. Il primo impulso all’alleanza americana, ricorda, venne da Giovanni Agnelli: «Il rapporto dell’Avvocato con l’America era un rapporto speciale. Un giorno gli dissi che era nata un’opportunità di alleanza con un socio tedesco. Lui mi guardò e disse: “Veda un po’ se non si riesce a trovare un alleato americano”».
Ingegner Fresco, quando e perché nacque l’idea di un’alleanza con una casa di Detroit?
«Per chi costruisce automobili, Detroit è stata per tutto il Novecento il cuore del principale mercato mondiale. E per Gianni Agnelli, così come per il fondatore della Fiat, suo nonno, l’America è sempre stata un punto di riferimento. L’idea nacque alla fine degli anni Novanta quando ci si rese conto che la Fiat aveva bisogno di un partner per sopravvivere. Quando arrivai alla guida del gruppo mi sono accorto immediatamente che per acquisire una dimensione globale avremmo dovuto trovare un’alleanza, che non avremmo potuto farcela da soli».
Prima del matrimonio con Gm, avevate battuto altre strade?
«Avevamo valutato l’ipotesi di quello che allora era il gruppo Daimler-Chrysler. Era un gruppo che si integrava bene sul piano della gamma dei prodotti, ma i tedeschi erano stati chiari: avrebbero realizzato l’alleanza se i ruoli strategici fossero finiti in mano ai loro manager. Noi in Italia avremmo mantenuto la produzione, non il management».
Il nodo del comando si era già posto quando Ghidella voleva l’alleanza con Ford, non è così?
«Certo, ma all’epoca di Ghidella quella era stata un’ipotesi. Con Daimler-Chrysler eravamo andati
più avanti. I nostri obiettivi però non coincidevano con i loro. Noi volevamo dare alla luce una bella alleanza in grado sì di creare valore, ma anche di mettere al sicuro il lavoro».
Già allora c’era il problema di dove sarebbe finito il quartier generale?
«Per definizione una società globale non ha un quartier generale,
ma diversi centri direzionali
regionali».
Dunque il cuore vero di una società lo decide il mercato?
«E’ un criterio, ma non l’unico. Un altro potrebbe essere quello della sede degli azionisti. Dove sarà la sede della società che avrà la quota di maggioranza di Fiat-Chrysler? Quello degli Agnelli con l’Italia continua ad essere un legame
molto forte e questo peserà certamente nelle scelte. In questa vicenda Chrysler, è stato molto importante, mi dicono, il ruolo giocato da John Elkann in rappresentanza degli azionisti. Anche a lui vanno fatti i complimenti».
Quali altri criteri bisogna considerare per decidere dove batte il cuore di una società globale?
«La possibilità di investire in un ambiente favorevole. Questo, ben più della decisione sul quartier generale, finirà per contare, credo, nelle scelte della nuova società che nascerà dalla fusione. Oggi da noi c’è un sistema burocratico che è di ostacolo, qui Bill Gates sarebbe ancora nel suo garage, in attesa dell’autorizzazione decisiva».
Dica la verità: l’alleanza con Gm, con la possibilità per gli americani di rilevare Fiat Auto, era un modo elegante degli Agnelli per disfarsi di un settore ormai considerato maturo?
«Certamente non era questa l’intenzione dell’Avvocato. Lui intendeva trovare un alleato a Fiat Auto per farla crescere e perché vedeva che se fosse rimasta da sola avrebbe finito per soffocare gli altri business del gruppo. E in fondo è quel che ha saputo fare, con grande abilità, Sergio Marchionne nell’alleanza con Chrysler che oggi giunge a compimento
».
Le clausole dell’accordo con Gm, con l’obbligo a comperare o pagare, in alternativa, una pena-lità, sono state la base del rilancio della Fiat all’arrivo di Marchionne. Quell’accordo lo ha vinto lei..
«Diciamo che per la Fiat si trattò di un accordo molto proficuo. Incassammo in tutto quasi 5 miliardi di dollari. All’inizio abbiamo ceduto il 20 per cento di azioni Fiat per l’equivalente di 2,4 miliardi in azioni Gm. Poi abbiamo incassato altri 2 miliardi di dollari per sciogliere l’alleanza».
Un bel gruzzolo a disposizione di Marchionne...
«Un bel gruzzolo. Ma quel che è accaduto oggi è tutto merito di Marchionne e della sua capacità di negoziare. Se proprio vogliamo, possiamo dire che abbiamo giocato la partita in due tempi. Nel primo tempo ho segnato io, nel secondo ha fatto gol lui. Penso che Sergio Marchionne sia stato un bellissima acquisizione per la Fiat. L’operazione con Chrysler lo dimostra. Chapeau».