Sal. Can., Il Fatto Quotidiano 3/1/2014, 3 gennaio 2014
“CASSE VUOTE, GRUPPO ORA PIÙ DEBOLE”
Non capisco tutta questa contentezza che si legge sui giornali. Il gruppo Fiat-Chrysler ora è più debole sul piano finanziario”. Va in controtendenza, rispetto a Massimo Mucchetti, presidente Pd della commissione Industria del Senato ma, innanzitutto, il giornalista economico che ha sempre letto accuratamente i bilanci aziendali.
Senatore, non crede quindi al vecchio adagio secondo cui “quel che va bene alla Fiat va bene all’Italia”?
Non andava bene ieri quando la Fiat era un’azienda-paese, va ancor meno bene oggi che, legittimamente, guarda solo al mercato.
Perché l’acquisizione indebolisce il gruppo Fiat-Chrysler?
Dal punto di vista industriale non ci sono particolari novità: Chrysler è già da tempo parte di Fiat. Dal punto di vista operativo si rischiano licenziamenti nel settore impiegatizio dirigenziale per fare sinergie. Ma il punto da cogliere è che, per pagare il fondo Veba, si utilizzano 1,9 miliardi di dollari subito e 700 milioni scaglionati in quattro anni prelevandoli dalle risorse aziendali. E quindi si tolgono ai possibili investimenti industriali.
Eppure viene sottolineata la dotazione di liquidità di Chrysler finalmente a disposizione della Fiat.
Se c’è liquidità da una parte, circa 17 miliardi a livello di gruppo, è anche vero che dall’altra ci sono i debiti, 28 miliardi. La prima rende poco, i secondi costano tanto. Questo tipo di liquidità è un segno di debolezza perché è soprattutto una garanzia per i creditori.
Cosa la preoccupa maggiormente?
Esattamente il fatto che Marchionne, almeno per ora, neghi di voler fare un aumento di capitale. Quando le società sono già indebitate, in settori a bassi margini, le acquisizioni ad ulteriore debito sono pericolose se l’economia si ferma.
Gli Agnelli dovrebbero tirare fuori un po’ di soldi?
Gli Agnelli, con l’Exor, hanno il 30% della Fiat. Un aumento di capitale coinvolgerebbe tutti i soci e darebbe all’operazione la solidità che oggi manca. L’Exor le risorse le avrebbe visto che con la vendita di Sgs ha portato a casa 2 miliardi.
Dal punto di vista delle strategie, pensa che ci sarà una fusione sul modello Cnh-Fiat Industrial?
Lo avevo già scritto a suo tempo sul Corriere e non mi stupirebbe che questa fosse la strada anche per Fiat-Chrysler. Per gli azionisti sarebbe un vantaggio, per il settore dell’automotive italiano la cosa sarebbe tutta da verificare.
Ma è possibile che sia la Chrysler a mangiarsi la Fiat?
Nel 2009 la Chrysler era fallita e la Fiat veniva da tre anni discreti. Nel 2013 la Chrysler si è risollevata, anche se ha un patrimonio netto negativo per 7,5 miliardi di dollari, mentre la Fiat Auto va male. Chrysler ha avuto il traino della politica economica di Obama e dei finanziamenti della Casa Bianca che sta tuttora perdendo un paio di miliardi sulla liquidazione della vecchia Chrysler.
Si sente in grado di fare previsioni per gli stabilimenti italiani?
Esprimo una preoccupazione: che la Fiat ridimensioni la sua capacità produttiva alle mere esigenze del mercato locale tenendo i lavoratori italiani in eccesso a bagnomaria, a spese dello Stato, fino a quando non matureranno l’età per la pensione.
Da presidente della commissione Industria del Senato, non pensa che il Parlamento dovrebbe sentire Marchionne?
Lo penso sì. Il presidente del Senato lo ha invitato fin dallo scorso agosto a venire in Commissione per un dialogo con i senatori. Ma la Fiat ha sempre chiesto tempo. Mi pare che ne sia passato abbastanza.