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 2014  gennaio 03 Venerdì calendario

PERCHÉ SIAMO TUTTI SUDDITI DELLA BUROCRAZIA ASSOLUTA


Sarebbe ora di fare una vera rivoluzione, di dar retta ai veri rivoluzionari. Ad esempio Robespierre, che nel progetto di dichiarazione dei diritti proposto alla Convenzione scrisse: «In ogni Stato la legge deve soprattutto difendere la libertà pubblica e individuale contro l’abuso dell’autorità di coloro che governano.

Ogni istituzione che non consideri il popolo come buono e il magistrato come corruttibile è difettosa». Gli fece eco Saint-Just: «Il ministero è un mondo di carta... gli uffici hanno preso il posto della monarchia». Rincarò la dose Karl Marx: «La burocrazia è, secondo la sua essenza, lo Stato come formalismo, essa lo è anche secondo il suo scopo».

Insomma, una vera rivoluzione andava fatta, e va ancor più urgentemente fatta oggi, contro la burocrazia governativa che, come intuirono gli affossatori del regime feudale, tende a prendere il posto del sovrano assoluto. Esiste un nome ben preciso, stranamente trascurato dai vocabolari ma non da acuti pensatori politici, per definire questa invadenza dei poteri pubblici: funzionarismo. Ed è il nome che Teodoro Klitsche de la Grange (fra gli storici fondatori del trimestrale di cultura politica Behemoth) ha scelto per il suo pamphlet in uscita per Liberilibri. Dunque la rivoluzione andrebbe fatta contro questo potere burocratico che fu il peccato originale delle democrazie borghesi e poi nerbo dei totalitarismi novecenteschi, riuscendo però a sopravvivere alla loro caduta, soprattutto in Italia, patria d’elezione del «mondo visto dalla scrivania».

Il termine «funzionarismo» nei primi decenni del secolo scorso, ci ricorda Klitsche de la Grange, comparve nelle opere di un giurista come Antonio Salandra, di un economista come Giustino Fortunato e di un altro rivoluzionario come Antonio Gramsci. Per Salandra «funzionarismo denotava la situazione dell’ordinamento dello Stato moderno per cui s’incrementava la funzione amministrativa e, correlativamente, il personale addetto; ciò era provato dai dati quantitativi costituiti dall’aumento delle spese» (ovvero del carico fiscale sulle spalle del cittadino). Per Fortunato si trattava di «proliferazione d’impieghi pubblici di dubbia (o inesistente) utilità». Gramsci coglieva acutamente la contraddizione insita nello Stato liberale che prometteva autonomia alla società civile ma la soffocava con «l’espansione dei poteri burocratici». Punto centrale, questo: gli interessi di coloro che vivono non per la politica ma di politica non sempre combaciano con l’interesse generale del Paese, con la vita reale dei cittadini. La vera casta non sarebbe tanto quella dei politici eletti democraticamente, ovvero sottoposti, più o meno, al controllo della pubblica opinione, responsabili delle loro scelte di fronte all’elettorato ed eventualmente non rieleggibili ma pensionabili. Sono gli oscuri funzionari pubblici, la fauna ministeriale, gli inamovibili impiegati statali, protetti e garantiti dalle leggi e da stipendi sicuri, i veri potenti.

I governi vanno e vengono, loro rimangono e fanno funzionare la macchina statale, macchina che «adopera tutta l’energia consumata per far muovere i propri ingranaggi e cioè a rendimento zero. Quanto più si avvicina al rendimento suddetto, tanto più è apprezzato dai burocrati (ovviamente il contrario è per gli utenti)». Insomma, l’efficienza auspicata dell’amministrazione «è quella della macchina che non rende nulla» eccetto la propria conservazione e il proprio reddito. I funzionari rappresentano la vera élite che si autonomizza rispetto al corpo sociale, in loro troviamo, per citare Gaetano Mosca, la «naturale tendenza che hanno coloro che stanno a capo della gerarchia sociale ad abusare dei loro poteri». Tendenza rafforzata dal sapere specializzato (quello, per intenderci, dei tecnici invocati per ovviare all’incapacità dei politici), dai salti di carriera automatici, dalla selezione per cooptazione, dal «normativismo» («ideologia giuridica dei ceti dei funzionari e degli operatori giuridici, la negazione che il rapporto giuridico sia rapporto tra uomini, ma piuttosto tra uomo e norma»).

Allora la vera rivoluzione va fatta contro il funzionarismo, e va fatta riducendo lo Stato al minimo, decentrando il più possibile (come consigliava Gianfranco Miglio, non a caso citato abbondantemente da Klitsche de la Grange), puntando sull’organizzazione comunitaria e non sulla statalizzazione. In sintesi, il pensiero autonomista e libertario può riuscire dove fallirono i rivoluzionari dei secoli passati.