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 2014  gennaio 03 Venerdì calendario

FIAT VOLA MA RESTA IL NODO DEBITO


L’annuncio dell’accordo tra Fiat e Veba che porterà il Lingotto a salire al 100% di Chrysler, rilevando per 4,34 miliardi di dollari il 41,6% di Auburn Hills in mano al fondo pensione del sindacato Usa, è stato accolto con entusiasmo da Piazza Affari.

Il titolo Fiat ha infatti chiuso la seduta di ieri a 6,92 euro con un rialzo del 16,4% a fronte di scambi sostenuti (a fine contrattazioni è passato di mano circa il 7% del capitale), che ha fatto crescere la capitalizzazione di borsa di 1,2 miliardi. Un balzo legato al venir meno dell’incertezza sui tempi circa il contenzioso in essere con Veba, alle modalità di pagamento del 41,6% di Chrysler, ritenute convenienti per il Lingotto, e al fatto che l’operazione non richiederà alcun aumento di capitale, che ha trascinato al rialzo anche i titoli Exor. Le azioni della cassaforte della famiglia Agnelli-Elkann, cui fa capo il 30% della Fiat, hanno registrato una crescita del 4,46%, aggiornando il massimo di sempre, a 30,2 euro.



Un’euforia giustificata, secondo gli analisti, che hanno giudicato in modo positivo l’accordo raggiunto tra il ceo del Lingotto, Sergio Marchionne, e i vertici del sindacato dell’auto Usa, ma che, alla luce dei dubbi espressi dalle stesse case d’affari sulla sostenibilità finanziaria dell’intera operazione nel medio termine, potrebbe non durare a lungo.

Per ora, infatti, gli investitori si sono concentrati sulle condizioni che Marchionne, da abile negoziatore, è riuscito a spuntare. Innanzitutto il prezzo: 4,35 miliardi di dollari (circa 3,18 miliardi di euro), inferiore ai 5 miliardi di dollari chiesto inizialmente da Veba, ma pur sempre in linea con la valutazione fatta dagli advisor del fondo pensione Usa in vista di un’eventuale ipo del 41,6% di Chrysler. L’altro aspetto che, a caldo, è piaciuto al mercato sono le modalità di pagamento, che non dovrebbero costringere la Fiat a effettuare aumenti di capitale. Marchionne pagherà infatti 1,75 miliardi di dollari in contanti attingendo alla liquidità già a disposizione della Fiat. Altri 1,9 miliardi arriveranno a Veba sotto forma di extra-dividendi, erogati dalla stessa Chrysler (il Lingotto girerà al fondo pensione anche la quota di propria pertinenza).

Infine i 700 milioni di dollari rimanenti saranno corrisposti sempre da Chrysler a Veba in quattro tranche annuali di pari importo, la prima delle quali sarà versata in concomitanza con il closing, previsto entro il 20 gennaio. In sostanza, dunque, l’operazione (in cui Fiat è stata assistita da Lazard, Chrysler da JP Morgan e Merrill Lynch e Veba da Deutsche Bank) consentirà al Lingotto di finanziare gran parte dell’acquisizione del 41,6% di Auburn Hills facendo ricorso solo in parte a mezzi propri e utilizzando principalmente la cassa dell’azienda americana.

Tuttavia, almeno a giudicare dai primi report delle case d’affari, qualche dubbio sulla sostenibilità a medio-termine dell’operazione sembra esserci. Il tema cruciale è quello dell’indebitamento del gruppo che nascerà dalla fusione tra Fiat e Chrysler e dalla bravura di Marchionne a farvi fronte, anche alla luce della capacità di generare cassa in un mercato dell’auto che, dopo l’Europa, potrebbe cominciare a segnare il passo anche in Sudamerica, e dell’esborso che la stessa Chrysler sarà chiamata a effettuare nei prossimi tre anni per onorare gli impegni residui con Veba. Secondo gli esperti di Exane Bnp Paribas (underperform con target price a 4 euro) alla fine del 2014 il debito netto del nuovo gruppo dovrebbe essere pari a 12 miliardi di euro, cui si aggiungono altri 9 miliardi circa di debito pensionistico. Un ammontare imponente anche per il nuovo gruppo che secondo altre case d’affari, come KeplerCheuvreux (reduce con target price a 5 euro), potrebbe essere difficilmente sostenibile con la generazione di cassa attesa, proprio alla luce di un possibile rallentamento del mercato dell’auto sudamericano. Su questa stessa linea di pensiero ci sono anche gli analisti di Citi («Continuiamo ad avere preoccupazioni sulla sostenibilità del debito») e di Bernstein. Secondo Max Warburton, senior analyst di Bernstein Research, l’unione fra Fiat e Chrysler darà vita a un gruppo che opererà sotto un sostanziale leverage, con rapporto tra debito e mezzi propri (debt/equity) di circa 3,5 volte, in un settore «pieno di sfide, incluso il possibile rallentamento in Brasile, le difficoltà in Europa e il fatto che né Fiat né Chrysler hanno particolare trazione in Cina».

Per ora dal fronte delle agenzie di rating non sono arrivati però segnali negativi. Ieri Fitch ha sottolineato che l’operazione non avrà nessun effetto immediato sul rating della casa di Torino (BB-/negativo). L’agenzia ha tuttavia sottolineato che fintanto che saranno in circolazione i due bond da complessivi 3,2 miliardi di dollari emessi da Chrysler con scadenza 2019 e 2021, i covenant sottostanti impediranno a Fiat di utilizzare a proprio piacimento la cassa della società Usa. Il Lingotto potrebbe dunque essere chiamato a rifinanziare queste linee di credito per avere subito mano libera sulla società Usa. Anche se sulla stampa anglosassone già si parla che, al momento della fusione Fiat-Chrysler, attesa per l’autunno, il nuovo gruppo contestualmente allo sbarco alla borsa di Wall Street, possa decidere di emettere un bond convertibile da 1-1,5 miliardi in modo da riequilibrare la situazione patrimoniale.