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 2014  gennaio 03 Venerdì calendario

BIGLIETTO PER ISRAELE


Mamma e papà stringono al petto i figli piccoli, i bambini più grandi sorridono incerti ai fotografi, l’orsacchiotto sotto braccio, mentre scendono dal Boeing bianco con la striscia azzurra. All’aeroporto Ben Gurion si affacciano tutti con un filo di timidezza e il sorriso sulle labbra. L’emozione della terra promessa è viva, soverchiante, totale. Israele, finalmente. Per chi lascia la Francia e le sue nuove inattese ostilità vale lo slogan “Israel c’est ma maison”, Israele è la mia casa. E per tutti, lasciate le scalette dell’aereo El Al come fossero le passerelle della nave Exodus che portava i migranti ebrei nel 1947, è il momento di seppellire le delusioni del Vecchio Continente e lasciarsi abbracciare nella nuova famiglia. L’anno prossimo a Gerusalemme, si auguravano tradizionalmente gli ebrei di tutto il mondo. Ma l’anno prossimo è lontano, forse non c’è più tempo per aspettare, se l’Europa comincia a far paura.
La parola è ritornata, forte come non si sentiva da anni: Aliyah, l’ascesa, la decisione di abbracciare fino in fondo l’ideale sionista e trasferirsi in Israele. Non è ancora un esodo, ma la tendenza è chiara. Nel 2013 gli Olim, cioè gli ebrei che hanno fatto l’Aliyah, sono aumentati ancora: più sette per cento rispetto all’anno precedente, segnala l’Agenzia ebraica per Israele.
E dei 19.200 nuovi cittadini, oltre un terzo è partito dall’Europa occidentale: soprattutto dalla Francia (con un aumento del 63 per cento rispetto al 2012), ma anche dall’Olanda (più 57 per cento) e dal Belgio (46 per cento). I motivi sono espliciti: alle ragioni dell’economia si aggiunge il disagio per le ombre dell’antisemitismo in crescita. «Le cifre assolute non sono impressionanti, ma la tendenza è significativa », dice Sergio Della Pergola, massima autorità in tema di demografia del popolo ebraico. Assieme ad altri esperti, Della Pergola ha lavorato a un grande sondaggio dell’Agenzia europea per i Diritti fondamentali, con lo scopo di mettere a fuoco esperienze e percezioni della popolazione ebraica negli otto Stati dell’Unione che ne ospitano la stragrande maggioranza. I risultati, resi pubblici nelle scorse settimane, non sono confortanti: due terzi degliintervistati considerano l’antisemitismo un problema reale, tre quarti lo considerano in aumento negli ultimi cinque anni, uno su due ha paura di aggressioni verbali, uno su tre teme persino laviolenza fisica. E 29 su cento hanno considerato la possibilità di lasciare il paese dove vivono, proprio per la paura che l’ostilità diventi aperta.
«È insopportabile dover assistere alle funzioni religiose sotto la protezione della polizia», ha detto un’ebrea tedesca ai rilevatori. Ma l’incubo dei pogrom non sembra davvero attuale: «In questo momento ci sono tre motivi per preferire Israele al-l’Europa», dice Della Pergola: «Il primo è la situazione economica nel vecchio continente, con la crisi che colpisce gli strati medio-bassi della società. Poi c’è il fattore economico israeliano: qui la disoccupazione è bassa, mentre gli indicatori della crescita sono positivi, e c’è una buona capacità di assorbimento della forza lavoro. E infine c’è una percezione di antisemitismo in crescita, difficile da cogliere in modo preciso, ma presente». Insomma, i fattori economici sono due, simmetrici: e la conferma di quanto siano importanti è anche nell’età dei nuovi immigrati, visto che sei su dieci hanno menodi 35 anni. Per Natan Sharansky, presidente dell’Agenzia ebraica, «questa è un’era in cui l’Aliyah è una scelta, non l’unica salvezza». Ma resta il terzo motivo, psicologico, forse più impalpabile ma non meno decisivo.
«In Francia le pressioni stanno diventando insostenibili, soprattutto per chi si riconosce pubblicamente nell’identità ebraica», aggiunge Erik Cohen, docente di Antropologia e Sociologia all’università Bar-Ilan, anch’eglicuratore del rapporto per l’Agenzia europea: «Al contrario che in Ungheria, dove l’antisemitismo ha matrici politiche, in Francia è un tema sociale e culturale. Ma lasciare il paese dove si vive non è facile, anzi. Andarsene richiede sacrifici. Io sono di origini marocchine, ricordo quando sono stato accolto in Francia, 56 anni fa. È stato meraviglioso. Ci hanno aiutato in tutto, ho avuto un sostegno daquando ho cominciato a studiare fino al dottorato. Ma la Francia di oggi non è più quella dei miei ricordi».
L’Italia invece propone agli ebrei un’immagine meno inquietante. «I nuovi arrivi so-no poche centinaia», conferma Beniamino Lazar, avvocato e presidente del Comites, che raccoglie gli italiani di Israele: «C’è un aumento, ma legato soprattutto ai motivi economici. Non ho mai sentito invece di persone che hanno lasciato l’Italia per paura, come invece è successo per Francia, Belgio. Credo che in questi paesi si possa vedere un legame fra l’antisemitismo e la presenza diffusa di arabi oltranzisti». Un anziano italiano, intervistato in modo anonimo per il sondaggio dell’agenzia europea, ha commentato: «Penso che in Italia l’antisemitismo stia diminuendo, anche se lentamente ». Se in Francia ci sono stati persino attacchi omicidi, nel nostro paese l’ostilità antiebraica sembra marginale: «Le istituzioni hanno sempre un atteggiamento corretto. Tutt’al più ci sono cadute di stile, come quella di Berlusconi, secondo cui Mussolini aveva fatto bene fino alle leggi razziali. Una dichiarazione resa proprio mentre a Milano si ricordava la Shoah davanti al binario 21, da cui partivano i convogli per Auschwitz», dice Della Pergola.
Neanche l’atterraggio in una realtà completamente nuova è facile. Israele è un paese abituato ad accogliere immigrati da tutto il mondo, offre corsi di lingue e assistenza, ma l’inserimento non è facile. «Anche se l’inizio è duro, gli europei in genere non hanno troppe difficoltà.Ben più complicato è ad esempio per gli anziani ebrei provenienti dall’Etiopia. Ma in fondo, questo è un paese dove vivono persone da 120 nazioni diverse», conclude Lazar.
Una parte del disagio, però, resterà, anche fuggendo dall’Europa e approdando alla terra d’Israele: il rapporto dell’agenzia europea prova al di là di ogni dubbio che lo spazio prediletto per razzismo e pregiudizi è nel mondo virtuale, dove le espressioni antisemite continuano ad aumentare. «Da quando vado su Facebook, ho più commenti antisemiti di quanti ne avevo sentito in tutta la vita. E questo dà unprofondo disagio, anche se è slegato dalla vita quotidiana », ha detto un’ebrea di mezza età ai rilevatori europei. «Internet è il terreno più contaminato, ma in fondo è solo un clic, qualcosa che si può scegliere di evitare», taglia corto Della Pergola: «Però questo vale fino a un certo punto. Quando sul web compaiono liste di ebrei, come è successo, allora la preoccupazione è giustificata».