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 2014  gennaio 03 Venerdì calendario

TOTTI: «LA ROMA È PIÙ FORTE DELLA JUVE»


Francesco Totti, il capitano della Roma, gioca in anticipo la super sfida di domenica sera in casa della Juventus. «Noi siamo più forti dei bianconeri, non ci interessa il pareggio e vogliamo vincere. Abbiamo battuto tutte le migliori, ci manca solo la Juventus. Lo scudetto? È presto per parlarne ma sarà fino alla fine una corsa a due tra noi e i bianconeri, il Napoli è dietro. Garcia ha ricostruito un gruppo sfaldato nel quale ognuno pensava solo a se stesso».
Totti, si ricorda il suo primo Roma-Juventus?
«No».
Maggio 1995. E il suo primo gol alla Juventus?
«No...».
Dicembre 2002. Neppure la sua prima rete a Torino alla Juve?
«Sì, tre o quattro anni fa con Ranieri (23 gennaio 2010, ndr). Calcio di rigore. Ero entrato a freddo al posto di Toni, infortunato. Non stavo in piedi...».
Quale sfida alla Juve ricorda con maggior piacere?
«Quella del mio primo gol a Torino, visto che era, con la Fiorentina, uno dei pochi campi tabù e poi quella dell’anno dello scudetto. Dopo pochi minuti perdevamo due a zero, poi sono uscito io e abbiamo pareggiato...».
Che cosa rappresenta per lei la Juventus?
«Il derby è sfida unica, poi però viene la partita con la Juve. Il mio secondo derby. Anche da tifoso lo era, visto che tra le due squadre c’è sempre stato odio calcistico».
I suoi juventini preferiti?
«Tanti... Zidane, Cabrini, Tardelli, il povero Scirea, Del Piero, Vidal...».
Vidal?
«Per me è tra i centrocampisti più forti in Europa».
Perché la Juve attuale è riuscita a vincere due scudetti di fila ed è l’attuale capolista?
«Perché sono cattivi. Hanno un gruppo forte, solido, sono tignosi, con voglia di vincere. E in più giocano da tre anni insieme».
Alla Roma manca cattiveria?
«Un po’ sì, perché singolarmente, cioè presi uno per uno, noi siamo più forti. Loro, però, sono più forti come gruppo. La differenza tra noi e la Juve è che loro si conoscono da più tempo, e poi hanno vinto e le vittorie ti aiutano a crescere. E chiunque arriva alla Juve sa che deve vincere. E sa che lì, in un modo o nell’altro, vince».
Cioè?
«Una volta (2005, ndr) ho detto che contro la Juve si gioca sempre 11 contro 14 e mi hanno deferito...».
Le cose sono cambiate?
«Qualche aiutino ce l’hanno sempre: l’evidenza è quella c’è poco da fare».
Volontario o involontario?
«Involontario, spero. Ma dopo una, due, dieci volte devi stare sempre attento...».
La nuova Roma ha più incassato che speso eppure va meglio. Il mercato conta poco?
«Quando sono stati ceduti Marquinhos, Lamela e Osvaldo io mi sono preoccupato: erano tre titolari inamovibili. Speravo che i soldi incassati venissero rimessi sul mercato, così è stato pure se sono arrivati giocatori meno affermati. Che, però, stanno dando più di quelli andati via».
Garcia è il vero artefice della rinascita della Roma?
«Ha influito tantissimo, è riuscito a compattare un gruppo sfaldato, all’interno del quale ognuno pensava a se stesso. Quando non c’è un gruppo, fai poco. Come prima cosa lui ha portato il rispetto reciproco tra i giocatori e poi verso di lui. Ci ha rimesso in piedi e tutti sulla stessa strada con un unico obiettivo, riportare la Roma in Europa».
La delusione dell’anno scorso è stata tutta colpa di Zeman?
«No, la colpa è stata di tutti. Giocatori e mister. Non può essere mai colpa di uno: anzi, è stata più dei giocatori perché non facevamo quello che lui ci chiedeva. Noi facevamo tutto l’opposto. Se vai a rivedere le partite del primo Zeman e quelle dell’anno scorso ti accorgi che sono completamente diverse».
A proposito di allenatori: come era Conte da giocatore?
«Un bravo ragazzo, uno che faceva gruppo».
Si aspettava che potesse diventare un allenatore così bravo?
«No, perché pensavo che diventasse un tecnico. La cosa che mi fa effetto è che lui fa l’allenatore e io ancora gioco... Stesso discorso per Montella. Li vedo in panchina e dico: io ancora gioco? Boh, mi fa strano... Da una parte è una bella cosa, ma da un’altra no...».
Conte è bravo, ma anche Montella lo è.
«Uno allenatore ci nasce. E, come prima cosa, deve avere un carattere forte. Sono due con personalità e competenza».
Lei ha mai pensato di fare in futuro l’allenatore?
«No, non mi ci vedo».
Il motivo?
«Sono troppo buono. Non riuscirei a guardare in faccia tutti i miei giocatori e a dire tu sì, tu no e tu vai in tribuna... Io li farei giocare tutti. Mi dispiacerebbe troppo lasciar fuori qualcuno. Magari tra qualche anno cambio idea, chissà... Io mi metto nei panni sia del giocatore che del tecnico e so che quando uno non gioca ci rimane male e manda l’allenatore a quel paese: se uno lo dovesse fare con me, io sbroccherei perché sono un rosicone...».
Prandelli continua a dire di pensare a lei per il Brasile, ma non le ha fatto neppure una telefonata...
«Prandelli già lo sa chi deve portare al mondiale».
Almeno una telefonata, però...
«Tanto so che non mi porterà...».
Tra i meriti di Garcia l’aver fissato regole certe nello spogliatoio. Impensabile, oggi, un altro caso Osvaldo-tournée americana.
«Quello è stato un errore di Dani, che è mio amico e che difenderei fino alla morte, nei confronti dei compagni ma anche la società ha sbagliato: doveva imporsi e obbligare Osvaldo a presentarsi, quando non aveva più l’influenza, per metterlo con le spalle al muro. Garcia oggi ha il coltello dalla parte del manico grazie ai risultati e la società deve stare per forza dalla sua parte».
Quest’anno dopo la sosta tutti puntali.
«E sotto peso. Sono cambiate tante cose, anche a livello dirigenziale. Cambi decisivi, sotto questo aspetto».
Non c’è più Baldini.
«L’ha detto pure Sabatini che si trova meglio senza Baldini, anche perché due persone che fanno lo stesso lavoro è difficile farle andare d’accordo».
Lei fisicamente come si sente?
«Bene, e alla mia età non è facile mantenersi in forma. Diete? Ma de che... Mangio bene e mi alleno. Mica ho più venti anni che posso mangiare le merendine».
Che partita sarà domenica?
«Le ultime tre volte che ci siamo presentati a Torino abbiamo subito undici gol. E in un quarto d’ora... Stavolta sarà una partita divertente, tra due squadre che giocano a pallone e a viso aperto. Sarà un confronto duro, ma noi andiamo lì per vincere: il pareggio non ci interessa perché abbiamo la possibilità di battere anche la Juve. Del resto, abbiamo vinto contro tutte le altre grandi, ci mancano solo loro».
Puntate allo scudetto?
«Ora è presto per parlarne, manca tutto il girone di ritorno. E normale che se a marzo, aprile saremo ancora così a due, tre punti ci devi pensare, non puoi nasconderti. Io spero di stare davanti alla Juve ma anche se resti a tiro di una partita va bene: al ritorno loro dovranno venire all’Olimpico. Se vai a meno otto, invece, diventa tutto più difficile perché la Juve è una schiacciasassi. Complicato che perda punti. Però dovranno cominciare a giocare in Europa League... Vincendo daremmo un segnale importante a noi stessi a al campionato perché fino alla fine saremo noi e la Juve, non il Napoli, a giocarci lo scudetto».
Parliamo di singoli: Tevez?
«Un top player».
Pogba?
«Non pensavo che fosse così bravo. Ma giocare nella Juve, non nel Bologna o nel Catania, aiuta».
Pirlo?
«Se parliamo male di Pirlo... C’è qualcuno che ancora lo critica, che lo vede lento. Ma è lui a far girare la Juve».
È pigro anche Pirlo?
«Fossero tutti pigri come me e lui...».
A Buffon ha segnato dieci volte.
«Un caso, penso. Per me Gigi resta ancora il più bravo du tutti».
Quanto dà lo Juventus Stadium alla squadra di Conte?
«Un settanta per cento in più, anche perché non mi sembra che il pubblico della Juve sia così caloroso. Se ci fossero i tifosi della Roma, il contributo salirebbe al novanta per cento... L’impatto per chi arriva in quello stadio è duro. In più, la Juve è già forte di suo. L’Olimpico è imponente, bello, ma se in casa ci fosse più gente attaccata al campo sarebbe meglio. Anche perché si sentirebbe tutto e le cose, in certi casi, devono andare bene per forza...».
I cori razzisti?
«Io non sono di colore ma è come se lo fossi visto che in ogni stadio mi insultano. Non è razzismo anche quello? Se dicono Totti figlio di puttana o mi fanno buuu cosa cambia? E allora o chiudi un occhio per tutti o chiudi le curve a tutti. Lo stadio è bello anche per i cori, per il tifo, per gli sfottò: se ti dicono romano bastardo ci può stare e te lo tieni, ma se vai allo stadio e devi stare zitto è un altro calcio».
C’è un altro Totti in giro per il mondo?
«Io non l’ho ancora visto. Però ho detto ai dirigenti di sbrigarsi a vederlo: uno lo devono trovare in fretta. Ma con quello che c’è in giro...».
Uno che le piace?
«Vedo poco calcio, ormai. Spero un giorno mio figlio Cristian».
È mai stato davvero sul punto di lasciare la Roma?
«Un’indecisione c’è stata al momento del cambio di proprietà, non sapevo se gli americani entravano realmente e chi usciva. Potevo andare in America. Se avessi pensato ai soldi sarei andato via. E avrei preso il doppio».
Quanto si è arrabbiato per la storia del pigro?
«Me la sono portata dietro tanto, mi ha dato molto fastidio. Se un dirigente tornato dopo tanti anni dice subito quelle cose... Diciamo che c’è stata una piccola incomprensione poi tutto si è chiarito. Dà fastidio se da dentro la società si attacca mediaticamente un giocatore importante invece di difenderlo; avrei preferito che me le dicesse in faccia quelle cose, ma lui ha risposto che non aveva detto niente, che era stato frainteso...».
Totti sempre nell’occhio del ciclone...
«Io ogni anno mi devo mettere in discussione con tutti, e più vado avanti e peggio è. Perché come sbaglio due partite diranno: è vecchio, non ce la fa più, si fa sempre male. Poi appena realizzo due gol, cambia tutto. Titoloni e prime pagine. All’Olimpico non segno dallo scorso aprile, ma io non penso più - non ci ho mai pensato - al gol. Non è il mio obiettivo principale. A me interessa far fare gol, divertire la gente. Non è vero che penso ai record personali: penso più alla squadra che a me stesso, come all’inizio della carriera. Ma tanti ancora non l’hanno capito».
Questa società sa che deve esportare Totti come simbolo?
«Certo. Ogni volta che siamo all’estero, si vede l’accoglienza nei miei confronti. Non siamo andati in Indonesia perché io non potevo partire. Mi hanno portato in Romania con il crociato rotto per un’amichevole: era scritto sul contratto. Ogni volta che si muove la Roma, deve starci Totti. Adesso avendo un giocatore di questa caratura internazionale lo usano giustamente. In passato forse mi potevano sfruttare meglio».
Quale tipo di dirigente può diventare per la Roma?
«Mi prenderete per matto, ma non ci ho pensato ancora. Come non mi immagino allenatore, così non mi vedo dietro una scrivania. Io so’ strano... Mi piace andare in giro a guardare e scoprire».
Chi è la sorpresa tra i nuovi compagni?
«Un po’ tutti. Ognuno ha un ruolo differente ma tutto sono entrati in punta di piedi. Strootman non lo conoscevo proprio e non pensavo mai fosse così forte. Gervinho l’avevo visto due-tre volte all’Arsenal, ma da vicino è una belva. Se facesse pure gol sarebbe Cristiano Ronaldo e la Roma non lo avrebbe mai preso. Maicon è un matto scocciato e un campione di livello internazionale. Con De Sanctis ho fatto il militare, sapevo chi fosse: una persona che trasmette positività e fiducia. Per vincere servono giocatori così. Se compri solo giovani di diciotto, venti e ventidue anni in Italia ci fai poco. L’ho sempre detto che serve un miscuglio: per vincere occorrono giocatori forti e giovani. E stavolta sono arrivati. Negli ultimi due anni, invece, erano stati presi tredici giocatori, solo ragazzini a parte Heinze. Adesso è un’altra squadra. L’allenatore è bravo, uno che ti insegna, uno che ti fa vedere mille cose e che cura i particolari».
E’ stata la Coppa Italia persa a cambiare la strategia del club?
«Se avessimo vinto penso che sarebbe rimasto Andreazzoli. E sarebbe stata un’altra Roma. Non so se migliore o peggiore. Comunque i dirigenti avrebbero toccato poco. Io volevo un allenatore affermato, uno di nome. Si parlava di Ancelotti, Allegri o Mazzarri. Non di Garcia. Quando hanno scelto lui, ho temuto che sarebbe stata un’altra scommessa. Andavano a prendere un allenatore in Francia, a Lille, mentre noi avevamo bisogno di una certezza. Di uno italiano e anche esperto. Quando Garcia è arrivato qui ha avuto un impatto straordinario. Diretto con tutti. Non ha peli sulla lingua. Nè esternamente nè internamente. Tutti sanno come la pensa: dal sottoscritto che sono il più vecchio al più giovane. Quando parla, o è bianco o è nero. Vede tutti alla stessa maniera. Non fa differenze».
Con Sabatini come è il rapporto?
«Buono. Normale, tra dirigente e calciatore».
Vedendo le sue ultime operazioni di mercato, sembra aver dato ragione a lei che da anni chiedeva campioni.
«Si è mosso bene, ha fatto un buon mercato. Ma non ha seguito le mie indicazioni».
Ma non era lei a decidere acquisti e cessioni, a scegliere l’allenatore?
«Sono anni che ripetono questa cosa. Tipo che non volevo un centravanti. Sono almeno dieci anni. Dai tempi di Spalletti in panchina, quando decise di farmi giocare da prima punta. Io sono sempre un problema. Anche quando non giocherò più. Lì se ne accorgeranno...»